Pio XII ai gesuiti: “Dovete rimanere fedeli a Sant’Ignazio”

Ringraziamo il lettore Latinista che per il blog Chiesa e post-concilio ha tradotto l’Allocuzione di Pio XII alla Compagnia di Gesù in occasione della loro 29^ Congregazione Generale, pubblicata sul sito ufficiale della Santa Sede solo nella versione latina.

Allocuzione di Sua Santità Pio XII alla Compagnia di Gesù in occasione della XXIX congregazione generale dell’ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola.

17 settembre 1949

Benché corrano tempi inquieti e difficili, voi, carissimi, avete riunito a Roma la vostra legittima assemblea o congregazione generale; e ora in modo concorde ed attivo, tranquillo ed operoso, provvedete agli affari del vostro Ordine perché, unendo le forze e rinsaldando la disciplina, sempre di più promuova la lode di Dio e sia al servizio dell’utilità della Chiesa. Di questa vostra assemblea è già maturato il frutto principale: avete eletto il vostro nuovo preposito generale, che abbracciamo qui presente con l’animo e gli occhi Nostri. Sia degno di colui a cui è succeduto, Włodzimierz Ledóchowski, insigne tra i prepositi generali per devozione, prudenza e altre virtù, che sia i Nostri due ultimi predecessori sia Noi stessi abbiamo molto stimato da vivo e ora Noi insieme a voi piangiamo morto con grande rimpianto. Questo vostro supremo direttore provveda al bene della Compagnia di Gesù e badi ai suoi nuovi bisogni con la stessa costanza e alacrità.

La disastrosa guerra appena finita non ha risparmiato il vostro Ordine, o almeno moltissime delle sue province e sacre missioni. Non pochi vostri confratelli sono morti nelle battaglie e nei bombardamenti; molti sono stati chiamati alle armi o condannati ai lavori forzati; molti fatti prigionieri hanno patito freddo, miseria, vessazioni, pesanti fatiche e soprattutto i lunghi disagi e gli affanni della prigionia.

Ma la Compagnia di Gesù, la vostra madre, mescolando gioie ai dolori, può a buon diritto far sue le parole del Salmista: “Quando le angosce si moltiplicano nel mio cuore, i tuoi conforti allietano la mia anima” (Psalm. 93, 19). Non va forse considerato un singolare dono e beneficio di Dio che essa, per quanto corrano tempi burrascosi, veda ancora aumentare le schiere dei suoi membri e veda dimostrare le sue virtù con luminosi esempi? Ammirando con voi le testimonianze di vita evangelica per cui si sono distinti i vostri confratelli tra i soldati e i prigionieri, ammiriamo la molteplice solerzia dell’opera di apostolato con cui i sacerdoti e gli altri della vostre file hanno portato ai commilitoni in Cristo salute, pace, letizia. E che dire delle imprese di apostolato che i vostri confratelli hanno avviato nelle regioni occupate dagli eserciti vincitori, a volte non senza pericolo di morte? La loro virtù merita la più alta lode, così come l’attiva carità che le vostre province meno danneggiate dalla guerra hanno rivolto a vantaggio dei fratelli oppressi da miserie e tribolazioni, bisognosi di tante cose necessarie, impegnati nella ricostruzione di lacrimevoli rovine. E la vostra operosità non si limita solo a questo. Quando si è messo fine all’incendio della guerra, voi, confidando nell’aiuto di Dio, non solo avete provveduto ai vostri affari con accresciuto impegno, avete ripristinato o migliorato i noviziati e i collegii, ma vi siete anche dedicati a gara a ricostruire e correggere l’ordine religioso, morale e sociale – opera assai ardua – e vi siete impegnati a lenire per quanto era possibile gli animi degli uomini esasperati dall’odio.

Ora non c’è niente che si richieda in modo più urgente ed incalzante, carissimi, che riportare l’autorità della religione e la disciplina morale cristiana nel debito onore e vigore. Ahimè, in che tempi siamo caduti, per colpa della trascuratezza dei beni immortali! In qualsiasi gruppo umano si trova chi ignori del tutto la fede cattolica, anzi i rudimenti della religione stessa; si trova chi non veda niente di empio nei misfatti e nella licenza, chi trascuri persino le più elementari norme della morale e della giustizia; ci sono dei furiosi che infieriscono sulle cose sacre e dei letargici dissennati che le trascurano; in intere regioni e nazioni si stravolge l’ordinamento sociale. Sono tempi malvagi perché sono malvagi gli uomini. Devono diventar buoni gli uomini, perché anche i tempi diventino buoni.

La Chiesa sente, capisce che sta soprattutto a lei respingere una tale piena di mali, curare i popoli malati. Ed essa intraprende quest’opera, confidando soprattutto nell’aiuto e nella grazia di Dio. Perché si può adattare anche ai nostri tempi ciò che disse il Dottore delle genti: “Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rom. 5, 20). Anche ai nostri tempi splende “il Sole della salvezza”, dato che Cristo invita anche noi all’opera di apostolato con quelle parole: “Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Jo. 4, 35). Queste parole del divino Redentore valgono innanzitutto per le sacre missioni e portano loro uno straordinario conforto. Ma valgono anche per le terre e i popoli da tempo del tutto cristiani e cattolici. Dappertutto infatti il fervore religioso dei Cristiani aumenta e si infiamma con nuovi incitamenti; dappertutto gli occhi e la mente degli uomini si rivolgono alla Chiesa, aspettandosi da essa più che da chiunque altro la salvezza; dappertutto sono moltissimi coloro che hanno davvero “fame e sete di giustizia” (Matth. 5, 6) e bruciano del desiderio di luce e grazia divine.

Ecco il grande lavoro che la Chiesa deve compiere! Nell’eseguire questo proposito essa confida anche in voi, confida nel vostro zelo nel dedicarvici, confida soprattutto nella vostra professione religiosa e nella vostra dottrina. La Nostra speranza cadrà come vana? Niente affatto. Sappiamo per esperienza con quanto zelo vi muova e vi infiammi la voglia di agire. Si agisce per Gesù; e la Compagnia di Gesù darà un grande contributo a preparare un tale santissimo trionfo, e trascinerà molti altri col suo esempio.

Dovete però osservare alcune condizioni, perché riesca bene ciò che Ci ripromettiamo che accada e perché voi soddisfacciate le Nostre aspettative. Prima di tutto bisogna che siate fermamente fedeli alle vostre costituzioni e a tutte le loro prescrizioni. Le regole del vostro Ordine, se pare opportuno, possono essere qua e là adeguate alle novità del tempo; le cose principali in esse però non vengano in alcun modo toccate e restino perpetue. Per esempio: si conservino indenni il terzo anno di prova, che altre famiglie religiose hanno adottato imitandovi, e grazie al quale la vena dell’intima vita spirituale cresce in voi più copiosa; le consuetudini della meditazione e del silenzio, e specialmente le regole tradizionali sull’istruzione degli alunni. Questa istruzione per voi consueta dura a lungo, e per questo è attiva ed efficace. Come sono necessari lunghi periodi perché le robuste querce si rinsaldino, così per formare un uomo di Dio si richiede sempre lunga pazienza. Quindi si tenga a freno la generosa audacia dei giovani che li trascina ad agire anzi tempo: un’operosità troppo precipitosa disperde più di quanto edifichi, e nuoce sia a chi agisce sia alle stesse opere di apostolato.

Se volete essere veri ed intrepidi apostoli, sforzatevi assiduamente, tutti formati e imbevuti dello spirito degli esercizi del vostro santo padre Ignazio (cfr. Epist. Inst. S.J. n. 174 bis), di acquistare solide virtù soprannaturali ed impegnare con fede ardente tutte le vostre facoltà al servizio di Cristo Signore; vive membra del Corpo mistico di Cristo, sforzatevi di accrescervi in questo modo i mezzi di grazia celeste; mossi dall’amore del divino Redentore, reprimete il sentimento perverso dell’amore di voi stessi, umiliatevi, frenando e moderando innanzitutto le emozioni, e con la disciplina di questa astinenza vi renderete idonei e pronti ad eseguire tutti i compiti, a sopportare tutte le difficoltà.

Da questo conseguirà anche che la virtù dell’obbedienza non poggerà mai su fondamenta instabili. La vostra parola d’ordine, il vostro onore, la vostra forza è l’obbedienza, che bisogna che sia rivolta soprattutto a che siate completamente flessibili al cenno dei vostri direttori, senza lamenti, senza mormorii, senza la biasimevole critica, la quale, morbo della nostra epoca, dissipa le forze e rende fiacche ed infruttuose le iniziative di apostolato. Le cose gravose che impone l’austera obbedienza per voi diventeranno leggere, se spira la carità: e quando c’è questa c’è Dio stesso, perché “Dio è carità”. In voi sia dunque “la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera, [1 Tim. 1, 5] *** obiezioni della cosiddetta scienza” (1 Tim. 6, 20).

Vostro dovere è essere di nome e di fatto non solo uomini davvero religiosi, ma anche di grande dottrina. Adempiete voi stessi il compito di insegnare, a voce e per iscritto, la teologia, le Sacre Lettere e le altre discipline ecclesiastiche, e anche la filosofia: a voi compete questo esimio onore, una nobile fatica ma anche l’alta ragione per cui avete assunto questo ministero. Per tutti e per ciascuno di coloro a cui è stato affidato questo compito risuona alta la voce dell’Apostolo: “O Timoteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza” (1 Tim. 6, 20).

Dunque i membri della Compagnia di Gesù, per corrispondere fedelmente a una tale speranza, osservino con ogni diligenza le loro leggi, che prescrivono loro di seguire la dottrina di San Tommaso “come la più solida, la più sicura, la più approvata e conforme alle costituzioni” (cfr. Epitom. nn. 315-318), e aderiscano al magistero della Chiesa con l’indefessa costanza propria della vostra schiera, avendo, per usare le parole del santo fondatore stesso della vostra Compagnia, “l’animo preparato e pronto ad obbedire in tutto alla vera Sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra santa Madre Chiesa Gerarchica”, e “credendo che tra Cristo nostro Signore, Sposo, e la Chiesa, sua Sposa, ci sia lo stesso spirito, che ci governa e regge per la salvezza delle nostre anime; perché tramite lo stesso spirito e nostro Signore, che diede i dieci comandamenti, si regge e si governa la nostra santa Madre Chiesa” (Exerc. Spirit., Regulæ ad sentiendum cum Eccl., 1a et 13a).

E se essi devono coltivare prima di tutto la fede, devono anche procurarsi un’accurata e compiuta cultura, e, seguendo le gloriose orme della loro regola, perseguire il progresso delle dottrine, quanto possono e come possono, essendo convinti di poter contribuire moltissimo per questa via, per quanto ardua, alla maggior gloria di Dio e all’edificazione della Chiesa. Inoltre devono parlare agli uomini del loro tempo, tanto a voce quanto per iscritto, in modo da essere ascoltati con comprensione e volentieri. Ne consegue che nel proporre ed esprimere le questioni, nel portare gli argomenti, e anche nello scegliere il loro stile, bisogna che adattino sapientemente i lori discorsi al carattere e alla tendenza del loro secolo. Ma ciò che è immutabile, nessuno lo turbi e lo muova. Molto si è detto, ma non abbastanza a ragion veduta, sulla “nouvelle théologie”, che muovendosi insieme a tutte le cose in moto perenne, sarà sempre in cammino e non arriverà mai. Se sembrasse di dover accogliere una simile opinione, che ne sarebbe dei dogmi cattolici, che non devono mai cambiare? Che ne sarebbe dell’unità e della stabilità della fede?

Considerando dunque santa e solenne la venerazione dell’indefettibile Verità, applicatevi ad investigare e risolvere con zelo i problemi che pongono i tentennamenti dell’epoca, soprattutto se possono ingenerare ostacoli e difficoltà ai cristiani eruditi; anzi, gettando luce su di essi e trasformando l’intralcio in aiuto, confermate in questo modo la loro fede. Ma quando si esaminano questioni nuove o ardite, i principii della dottrina cattolica risplendano sempre davanti alla mente; ciò che suona del tutto nuovo in teologia venga soppesato con vigile cautela; si distingua ciò che è certo e fermo da ciò che si dice per congettura, da ciò che un uso labile e non sempre lodevole può introdurre e immettere anche nella teologia e nella filosofia; a chi sbaglia si porga una mano amica, ma non si indulga per niente agli errori delle opinioni.

Dopo avervi esortato a questo, carissimi, vi impartiamo con amore la benedizione apostolica e invochiamo su di voi con molte preghiere l’aiuto di Dio, senza il quale nulla possiamo e con il quale possiamo tutto, perché consacriate voi e i vostri mezzi al modo antico e con nuovo zelo alla santissima causa del Vangelo. Siete forti, fate imprese forti.

“Crescete nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. A lui la gloria, ora e nel giorno dell’eternità. Amen” (2 Petr. 3, 18).