Amoris laetitia? I sacramenti ridotti a morale

Nel proliferare discorde di commenti e interpretazioni sull’esortazione post-sinodale Amoris laetitia, il presente saggio intende percorrere una via diversa e originale. Non ha come obiettivo una valutazione immediatamente morale o pastorale delle indicazioni contenute nel documento pontificio, ma cerca di mettere in luce i presupposti impliciti e sottintesi che vi agiscono nascostamente e da cui scaturiscono soprattutto i problematici orientamenti del capitolo VIII. La diagnosi a cui si approda è che in realtà, alla radice della «nuova disciplina» sui cosiddetti «divorziati risposati» che Amoris laetitia propone, si riscontra una carente impostazione dei rapporti fra sacramenti e morale cristiana e una riduzione della morale specifica del sacramento del matrimonio a etica generale. La morale del discernimento e del «caso per caso», che l’esortazione pontificia presenta, mostra una debolezza originaria: lo sradicamento della morale matrimoniale dal suo naturale terreno liturgico-sacramentale. Ma questo è anche il limite di un’idea e di una prassi pastorali, oggi largamente diffuse (e di cui l’esortazione pontificia è un esempio), che a loro volta fanno a meno del carattere di culmen et fons della celebrazione e del sacramento. Una pastorale del discernimento, se staccata dalle coordinate comprensive della natura e dell’azione sacramentali della Chiesa, non rappresenta più un semplice e neutrale «metodo» che traduce nell’oggi il vangelo di sempre, ma rischia piuttosto di compromettere il nucleo più profondo della vita e della fede cristiane. Il volume di dom Giulio Meiattini osb, nonostante questi rilievi critici, non intende porsi come contestazione al magistero in quanto tale, ma come un tentativo di riorganizzazione del principio supremo della caritas, nelle sue conseguenze di verità teorica e vitale.

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LA NOSTRA INTERVISTA ALL’AUTORE


Estratto

“AMORIS LAETITIA” È CONFUSA. E IL DOCUMENTO DEI VESCOVI ARGENTINI LA CONFONDE ANCORA DI PIÙ

di d. Giulio Meiattini OSB

I dieci “Criteri” promulgati dai vescovi della circoscrizione di Buenos Aires danno indicazioni su come comportarsi relativamente alla “situazione di qualche divorziato che vive una nuova unione”, senza specificare se la nuova unione sia quella di un matrimonio civile a tutti gli effetti o una semplice convivenza o una unione di fatto.

E qui subito ci troviamo dinanzi a una imprecisione di fondo proprio nel testo che dovrebbe dissipare le ambiguità di “Amoris laetitia”. Questa infatti si riferisce ai “battezzati che sono divorziati e risposati civilmente”, dunque a una categoria ben precisa, mentre qui una persona potrebbe aver divorziato da un matrimonio civile e poi ancora da un altro matrimonio anche sacramentale e poi trovarsi attualmente in una unione di fatto, e rientrare ugualmente nel novero delle situazioni alle quali si riferiscono i “Criteri” per l’eventuale accesso ai sacramenti.

Al n. 5 del documento si legge: “Quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, in particolare quando entrambi sono cristiani con un cammino di fede, si può proporre l’impegno di vivere la continenza sessuale”.

Sottolineo il “si può proporre”. Dunque non solo è facoltativa la continenza, ridotta da esigenza a proposta, ma è facoltativo anche per il sacerdote presentarla come tale. Stando alle parole del testo, il confessore potrebbe anche non proporre la continenza, per un qualche motivo non specificato, passando direttamente all’assoluzione.

Le conseguenze sul piano pratico sono radicali. È possibile, infatti, che anche il semplice tentativo di incoraggiare il proposito sia scavalcato, senza essere preso neppure in considerazione. La domanda che sorge è se il penitente debba almeno essere messo al corrente che egli quel proposito dovrebbe tentare di configurarlo, per esprimere se non altro un inizio di pentimento. Altrimenti, in assenza di questo pentimento-proposito, l’assoluzione non è valida e il peccato rimane. Siamo sicuri che la dottrina non è cambiata?

L’obiezione si rafforza se passiamo al n. 6 del documento, dove si parla di “altre circostanze più complesse”, non specificate, nelle quali “l’opzione [della continenza] appena menzionata può di fatto non essere percorribile”.

Ciò significa liquidare del tutto il pentimento-proposito come condizione dell’assoluzione. Dunque, dopo aver presentato come facoltativa la proposta di fare il proposito di continenza, si elimina di fatto anche il proposito stesso. Il che è perfettamente conseguente, in questo tipo di logica non teologica.

Affermare, infine, che i sacramenti della penitenza e della eucaristia “disporranno la persona a continuare il processo di maturazione e a crescere con la forza della grazia”, anche senza proposito e dunque senza pentimento, mi induce ad affermare che questi “criteri” non concordano con l’insegnamento del Concilio di Trento e la dottrina del Catechismo della Chiesa cattolica sul sacramento della penitenza.

Degno di nota è poi il fatto che la parola “scandalo”, usata una volta al n. 8, è riferita non a quello procurato dai fedeli che vivono un’unione irregolare, ma alle “ingiustizie” che eventualmente un coniuge può aver esercitato verso l’altro provocando la separazione.

Questo particolare può essere utile per comprendere tutte le implicazioni racchiuse nel successivo n. 9, dove si afferma: “Può essere opportuno che un eventuale accesso ai sacramenti si realizzi in modo riservato, soprattutto quando si possano ipotizzare situazioni di disaccordo”.

Si tratta di un punto importante, perché di fatto viene suggerito che la comunione eucaristica per queste persone può avvenire anche in modo a tutti noto, non in modo riservato.

Questa affermazione rende di fatto facoltativa la via della riservatezza e dunque permette a coloro che vivono in palese e oggettivo adulterio di accostarsi pubblicamente alla comunione sacramentale. Naturalmente non v’è nessun accenno a una qualche forma penitenziale visibile, sia pur minima e blanda, come per esempio è in uso nelle Chiese ortodosse per chi accede alle seconde nozze.

Si capisce che quella qui indicata dai “Criteri” non è la via del foro interno in senso proprio, la quale, nel caso specifico, richiederebbe che l’accesso alla comunione eucaristica avvenisse in modo da non arrecare scandalo o confusione nei fedeli, in modo cioè da non far credere loro che non ci sia più differenza fra unione legittima e adulterio.

I “Criteri”, invece, contemplano la possibilità di superare anche questa ultima forma di riservatezza per coloro che vivono in condizione oggettiva di adulterio. Non solo, ma subito aggiungono: “Non bisogna smettere di accompagnare la comunità per aiutarla a crescere in spirito di comprensione e di accoglienza”. È chiaro il concetto: è la comunità che ha bisogno di essere accompagnata e convertita, è lei che deve abituarsi ad accogliere come “normali” questi nuovi comportamenti, fino a poco tempo fa moralmente ed ecclesialmente non accettabili. Difficile negare che qui avviene un vero e proprio ribaltamento: non dev’essere chi vive in situazione di oggettivo scandalo a cambiare o a comunicarsi in via riservata, previa assoluzione, lì dove non è nota la sua condizione irregolare, ma è la comunità ecclesiale che deve essere capace di non “scandalizzarsi” più.

In questa cornice, la frase finale del n. 9, con cui si esorta a “non creare confusioni a proposito dell’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio”, suona quasi come una battuta di spirito fuori luogo. Se la prassi ammette che chi vive un’unione oggettiva di adulterio si possa accostare “coram populo” alla comunione eucaristica, senza neanche premettere un gesto ecclesialmente riconosciuto di pentimento per un peccato pubblico, l’indissolubilità e l’unicità del matrimonio cristiano diventano un semplice ectoplasma. Perché è quello che si fa che conta, non quello che si dice! E la forza dei comportamenti sta proprio nel loro conformare e plasmare il pensare, il sentire e il vivere.

In questo caso, la realtà è davvero più importante dell’idea, e la realtà è che nel pensare e sentire comune si instaurerà ben presto l’equiparazione pratica fra regolare e irregolare, fra matrimonio indissolubile e matrimonio “solubile”.

Non vi sarà più nessun marcatore visibile a distinguere davanti alla comunità i coniugi fedeli che si accostano alla comunione da quelli adulteri che fanno lo stesso. E in questa assuefazione priva di “disaccordi” scomparirà forse la reazione scandalizzata , cioè lo scandalo psicologico, e si affermerà lo scandalo oggettivo: la percezione della normalità dell’adulterio pubblico.

È questa la conseguenza di una sottovalutazione della dimensione visibile e sacramentale a favore di un discernimento puramente morale.


Rassegna stampa

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«Amoris laetitia» e il sacramento perdutoAldo Maria Valli

Quella Babele argentina che manda in confusione l’intera ChiesaSandro Magister sul blog «Settimo Cielo»

Padre Meiattini: “La Amoris Laetitia disorienta le famiglie”«La Fede Quotidiana»