Quanto veniamo a proporvi di meditare lo abbiamo tratto da un Breviario, la Filotea del 1889 ad uso dei Laici, completato col Catechismo e il Magistero della Chiesa. Ricordiamo inoltre la nostra raccolta di video-catechesi qui, molte anche sullo stesso argomento e, cliccando qui, i riferimenti ad altri articoli sul medesimo tema.
Divozione per le Anime Defunte dette Purganti
Istruzione sul Purgatorio
Quando si riflette che il Buon Dio, come Santità per essenza, non può non aborrire qualunque più piccola macchia, e come bontà Sua, per natura, non può supporsi così severo da condannare ad eterna esclusione dal di Lui Regno chi, morendo, non ha sull’anima peccati mortali, li ha piccoli che non fece in tempo a detestarli per morte sopraggiunta, perciò ha residui di pena da scontare anche per peccati rimessi ma non del tutto soddisfatti, nulla può riconoscersi più giusto e più conveniente di un raccordo di mezzo tra il Paradiso e l’Inferno in cui, chiunque muore in tal stato ma pur sempre in grazia di Dio, possa scontare quei debiti rimasti in sospeso di cui l’anima trovansi aggravata, così da acquistare – sempre per i meriti infiniti di Gesù Cristo – la totale purificazione per poter accedere nella beatitudine eterna.
Di questa somma verità e somma Bontà Divina ci ricorda lo stesso Apostolo Giovanni quando, nell’Apocalisse, come vedremo.
Proprio perché si parla di espiazione e di purificazione che la Chiesa trasse da queste considerazioni di soprannominare tal luogo “Purgatorio”.
Per chi lo preferisse, cliccando qui, vi offriamo lo stesso articolo, più semplificato, in video-audio:
L’esistenza del Purgatorio è perciò un postulato della ragione stessa e di quella stessa domanda che alcuni si fanno circa la misericordia di Dio; imperciocché, se Dio infinitamente giusto punisce ogni colpa anche leggera perchè: “Nec intrabit in ea aliquid coinquinatum et faciens abominationem et mendacium, nisi qui scripti sunt in libro vitae Agni. / Non entrerà in essa nulla d’impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello” (Apoc.21,27), o bisogna ammettere uno stato di purgazione per i Defunti, o abbandonarsi al desolante pensiero, che basti ogni leggera colpa per essere condannati all’Inferno. E’ perciò che la esistenza di un luogo, dove le anime che si purgano delle loro colpe, si trova persino espressa nelle tradizioni di tutti i popoli. Maggiormente noi abbiamo la Rivelazione che ce ne parla con la Santa Tradizione.
La Sacra Scritturadel Vecchio Testamento ci prepara a questa dottrina attraverso la storia di Giuda Maccabeo il quale mandò a Gerusalemme una somma di danaro, acciocché s’offrissero sacrifici espiatori per i peccati dei morti in battaglia, perché è santo e salutare il pensare di pregare per i Defunti, affinché siano sciolti dei loro peccati (cfr 2Maccab.12,43-46); nel Nuovo Testamento, Gesù Cristo dice che tutto potrà essere perdonato a chi bestemmierà persino al Figlio dell’Uomo, cioè a Lui medesimo, ma che ogni perversione contro lo Spirito Santo non sarà perdonato, né in questo secolo, né in quello futuro (Mt.12,32), ci sono così peccati che potranno essere perdonati e peccati che non potranno essere condonati. Per i peccati che si possono perdonare deve esserci una purificazione per quelle anime che vi muoiono e forse anche senza loro colpa, perché uccisi in un tranello, o perché hanno avuto un incidente, e se è vero che siamo ammoniti al vigilare perché la morte sopraggiunge come un ladro nella notte, è pur vero che la misericordia di Dio conosce chi si era avviato già sulla strada della perfezione, imperciocché come nulla di impuro può entrare nel Regno dei Cieli, è vero che se non abbiamo peccato contro lo Spirito Santo, possiamo avere modo di essere purificati per un certo tempo che solo Iddio conosce a noi necessario.
La Santa Tradizione attraverso i Padri della Chiesa ci parlano della purificazione pelle anime nell’altro mondo. San Cipriano scrive: “Altra cosa è il ricevere tosto la mercede della fede e della virtù, altra il venir mondato dai peccati, afflitto da lungo dolore e lungamente venir purificato dal fuoco” (Ep.52), e Sant’Agostino, lagnandosi del fatto che taluni fanno poco affidamento al Purgatorio, scrive: “Quel fuoco sarà più grave di quanto nella vita presente l’uomo possa soffrire” (Om. Salm.37).
Tutte le Liturgie fin dal primo secolo hanno dei Suffragi pei Defunti, e la Santa Chiesa definì nel Concilio di Trento, che v’è il Purgatorio e che le anime che in esso vi si trovano, vengono sollevate dai Suffragi dei viventi, colle opere di misericordia, coi digiuni e colle penitenze, ma soprattutto e specialmente col Sacrificio dell’Altare, nel quale è Cristo stesso che viene offerto al Padre per la loro purificazione. (Conc. Trid. Sess.XXV. de Purgat.).
In certo qual modo, le pene del Purgatorio, consistono come quelle dell’Inferno: nella privazione della visione beatifica, e nei tormenti positivi (positivi perchè sofferti per un tempo e di espiazione; negativi per il dannato perché saranno eterni e di nessuna espiazione), solo che non sono pene eterne e l’anima è definita già “santa e beata” e per mezzo dei Suffragi offerti dalla Chiesa essa stessa è sollecitata a pregare per noi viventi, poiché per essa non può più fare nulla.
Con la Sacra Scrittura l’insegnamento della Chiesaci conferma l’esistenza del fuoco purificatore “equiparandolo alle pene positive”, ma come al fuoco infernale. San Paolo scrive che il fuoco proverà quale sia il lavoro, e che quello, il lavoro del quale arderà, sarà salvo, così però come attraverso il fuoco (1Cor.3,14-15) e Sant’Ambrogio dice che: “Gesù preparò un fuoco ai suoi servi per mondarli dalle impurità che contrassero vivendo in mezzo ai peccatori” (S.Ambr. de laps. Virg. cap.8 n.32), “Nolite errare: Deus non irridetur. Quae enim seminaverit homo, haec et metet / Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato” (Gal.6,7). La dottrina sul Purgatorio è perciò vincolante per il Cattolico, così come fu affermato al concilio di Firenze prima e quello di Trento poi, due grandi Concili cui il primo pose fine alle dispute tra i Greci e i Latini, l’altro con Decreto sul Purgatorio al capo I sessione XXV, rispondendo definitivamente a Lutero e a tutti i suoi seguaci.
Quale nesso fra i vivi e i morti?
Non tutti i vivi né tutti i morti appartengono alla Comunione dei Santi; imperciocché, essendo la carità il vincolo che unisce le membra della Chiesa Cattolica, e che il primo vincolo che unisce è la carità che si esplica nell’Eucaristia, Sacramento di unità feconda; chi non ha questa carità, sia egli defunto o ancora vivo in questo mondo, non partecipa dei beni comuni. Perciò:
non c’é alcun nesso fra i vivi, membra della Chiesa militante, e i dannati, questi non appartengono alla Città di Dio, ma al regno del demonio, o come un tralcio staccato dalla vite non riceve alcun succo dalla medesima, così i reprobi, segregati per sempre dalla società dei Santi, non possono partecipare dei frutti della vite, che è Cristo Signore (Gv.15,1);
non appartengono al nesso della Comunione dei Santi coloro che, seppur battezzati, vivono e sono ostinati nel peccato mortale, perché rinunziando alla grazia santificante, né possono partecipare delle opere buone fatte dagli altri e del merito del Divino Sacrificio, né sono essi in grado di fare opere meritorie per la vita eterna. Tutto il vantaggio spirituale che possono ricavare dalle opere dei Santi, sia vivi che Defunti, è che la misericordia di Dio, sollecitata dalle loro suppliche, e dalle penitenze dei vivi, conceda ad essi la grazia, il tempo di convertirsi, e che l’opera ch’essi compiono, possa risultare gradita a Dio “nella persona o per commissione” di un altro, appunto, e concedere un merito che possa essere applicabile per la salvezza di qualche anima. In sostanza attenti al concetto della GRAZIA: noi abbiamo la Grazia attraverso il Battesimo e gli altri Sacramenti – vedi qui le altre catechesi – e siamo DIS-GRAZIATI quando perdiamo la Grazia a causa del Peccato…. e peccato grave, mortale.
Tale sarebbe, per esempio, il caso di un Sacerdote che in peccato mortale celebrasse la S. Messa, o facesse le Esequie per un Defunto, o d’un secolare che in peccato mortale facesse delle opere pie a cui è obbligato per volontà d’un vivente o di un Defunto (cfr. S. Thom. Summ. Suppl. P.III quest. 71 art.3), nel primo caso opererebbe il Sacerdote come ministro della Chiesa, nel secondo caso, il secolare, sarebbe uno strumento del committente che la misericordia Divina non trascurerebbe. Il nesso della Comunione dei Santi non ha dunque luogo, che per quelli che godono in qualche modo della vita spirituale in Cristo, cioè per i viventi che si trovano in grazia di Dio: fra di loro; colle Anime sante del Purgatorio; coi Santi tutti che godono la vita eterna.
I viventi che si trovano in grazia di Dio – essi sono coloro che rifiutano di giacere nel peccato mortale, si confessano assiduamente e conducono una vita nel sacro timor di Dio, ascoltano la Santa Messa con somma devozione e ricevono spesso la santa Eucaristia nel medesimo stato di grazia e, naturalmente, che compiono anche le opere di misericordia – partecipano non solo dei beni spirituali comuni a tutti, cioè delle orazioni della Chiesa, del frutto dei Sacramenti e specialmente di quello della Santa Messa, ma pur anche ognuno secondo la sua capacità partecipa del merito delle opere buone fatte dagli altri.
La ragione di questa grande opportunità è semplice: perché – spiega S. Tommaso d’Aquino – le opere buone hanno una radice comune, esse provengono dall’unico vero Bene e colui che le compie è in qualche modo innescato a questo Bene, imperciocché tutti quelli che per la carità vi si connettono, ossia che le compiono senza pensare a sé stessi o al guadagno che da queste potrebbero trarvi ma lo fanno gratuitamente in Nome del Sommo Bene, ricavano dalle mutue opere buone un qualche prezioso vantaggio, e questo vantaggio è maggiore quando l’operante ha l’intenzione di applicare ai più bisognosi l’opera sua, specialmente verso chi necessità di soccorso spirituale a salvamento dell’anima, in tal senso così scrive San Paolo: “Sed sicut in omnibus abundatis, fide et sermone et scientia et omni sollicitudine et caritate ex nobis in vobis, ut et in hac gratia abundetis. / E come vi segnalate in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest’opera generosa” (2Cor.8,7), e ancora “in praesenti tempore vestra abundantia illorum inopiam suppleat, ut et illorum abundantia vestram inopiam suppleat / Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza” (2Cor.8,14) e dove per indigenza, l’apostolo intende soprattutto l’indigenza spirituale.
Le Anime del Purgatorio, avendo la carità che le unisce come membra del Corpo mistico di Cristo, partecipano dei beni spirituali comuni a tutti quei che sono in grazia di Dio. La Chiesa stessa suffraga ogni giorno per i Defunti in generale, pei quali non conosciamo i nomi ma che di tutti auspichiamo la salvezza, ed anche per i Defunti in particolare sollecitando i fedeli a fare altrettanto attraverso il dono delle Sante Messe di Suffragio, quelle Messe da applicarsi per un Defunto familiare ad esempio o nello specifico quando la sia applica per le Anime del Purgatorio, e questi suffragi sono i più graditi a Dio, che li raccoglie per raddolcire le loro pene ed abbreviare il tempo del loro purgatorio. Tutte le opere buone concorrono a questo bene ma, spiega S. Tommaso d’Aquino, nate a suffragare i morti sono specialmente quelle opere che Dio ama di più: opere che concorrono alla comunione nella carità, e perciò prima opera fra tutte è la Comunione eucaristica da riceversi nello stato di grazia, Essa è vincolo d’unione ecclesiastica, l’elemosina data in nome di Cristo e guardando alla Divina Provvidenza con fiducia, questa elemosina è fondamentale per essere graditi a Dio, scrive l’Apostolo: “Beneficientiae autem et communionis nolite oblivisci; talibus enim hostiis oblectatur Deus. / Non scordatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace” (Ebr.13,16), ed infine le orazioni, come quella che manifesta la intenzione verso l’altro.
I suffragi dei viventi, scrive Sant’Agostino: “giovano a quei Defunti, i quali mentre vivevano hanno meritato ch’essi possano loro giovare”. Imperciocché v’é un modo di vivere così deciso nel bene da non aver bisogno di suffragi, ed avviene che altri siano stati così decisi nel male che, quando termina la loro vita, anche i suffragi non gli giovano, come ammonisce l’Apostolo: “Si quis videt fratrem suum peccare peccatum non ad mortem, petet, et dabit ei Deus vitam, peccantibus non ad mortem. Est peccatum ad mortem; non pro illo dico, ut roget. Omnis iniustitia peccatum est, et est peccatum non ad mortem. / Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita; s’intende a coloro che commettono un peccato che non conduce alla morte: c’è infatti un peccato che conduce alla morte; per questo dico di non pregare. Ogni iniquità è peccato, ma c’è il peccato che non conduce alla morte” (1Gv.5,16), e quali sono questi peccati per cui si va alla morte?
I destinatari della Lettera erano forse informati su questo peccato di una gravità eccezionale. Può essere il peccato contro lo Spirito Santo, contro la verità (Mt 12,31) o l’apostasia degli anticristi, perciò, che cosa significa non pregare per questo peccato? Quando San Giovanni dice di non pregare per questo peccato non intende dire che dobbiamo escludere qualcuno dalla preghiera. Gesù non ha escluso nessuno dalla sua preghiera. Quando in croce ha detto: “Pater, dimitte illis, non enim sciunt quid faciunt / Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”(Lc.23,34) non ha inteso escludere i farisei, i sommi sacerdoti, Giuda, ecc… E non intendeva escludere neanche coloro che commettono un peccato contro lo Spirito Santo. San Giovanni non proibisce assolutamente di pregare per gli apostati e neppure dice che tali preghiere non saranno mai esaudite. Ma fa notare che la sua raccomandazione, che le preghiere fatte per questi ostinati più difficilmente saranno esaudite, a motivo senza dubbio dell’indurimento nel male che si verifica in coloro che abbandonano Gesù Cristo e la sua Chiesa. San Giovanni intende affermare che per quanto riguarda i fratelli che si sono macchiati di particolari peccati mortali, peccati ostinati contro lo Spirito Santo, è opportuno abbandonarli al giusto giudizio di Dio, sospendendo ogni contatto con essi.
Questo giudizio di Dio imperciocché, non significa una condanna irrevocabile, ma implica un castigo che il Signore nella sua giustizia infligge a questi peccatori perché serva loro di salutare richiamo: in tal modo questi peccatori, tempestivamente puniti da Dio, se accoglieranno questa Grazia, eviteranno una condanna eterna (cfr. 1 Cor 5,5; 1 Tm 1,20).
“Quando occorrono nella S. Scrittura o nei Padri sentenze che sembrano affermare che per alcuni peccati non c’è remissione, bisogna intenderle nel senso che il loro perdono è oltremodo difficile. Come una malattia vien detta insanabile quando il malato respinge l’uso della medicina, così c’è una specie di peccato che non si rimette né si perdona perché rifugge dalla grazia di Dio, che è il rimedio suo proprio” (Catechismo Romano, c. 5,19). È questo il motivo per cui S. Tommaso affermava: “Questo non impedisce all’onnipotenza e alla misericordia di Dio di trovare la via del perdono e della guarigione che talora sana spiritualmente anche costoro in una maniera quasi prodigiosa” (Somma Teologica, II-II, 14, 3).
Perciò -risponde Sant’Agostino – quando per tutti i battezzati Defunti si offrono sacrifici, o di Sante Messe, o di elemosine, essi pei molti buoni sono rendimenti di grazie, pei non molto cattivi sono propiziazioni, ma pei molto cattivi e reprobi, benché nulla giovino ai morti (si intende i dannati, morti nell’anima), servono a consolare in qualche modo i viventi, e non ultimo, è lode che s’innalza a consolare il Divino Crocefisso che ha dato la Sua vita anche per coloro che hanno voluto dannarsi.
I Santi sono per tanto in un intimo nesso con noi, scrive San Cipriano: “Trovandosi a Dio famigliarmente vicini, sono consci dei divini secreti, e costantemente pregano la clemenza del Signore per i nostri travagli e per il conseguimento della beatitudine eterna”, imperciocché, osserva San Girolamo: “Se gli Apostoli e i Martiri possono pregare per altri trovandosi col corpo, quando devono ancora essere solleciti della propria salvezza, quanto più potranno in seguito alle corone, alle vittorie, ai trionfi?” Infine ci rammenta San Tommaso d’Aquino: “non già come se in Dio vedessero o sapessero ogni cosa, ma perché spettando alla loro beata condizione il poter soccorrere chi ne abbisogna, il Signore concede loro la cognizione che a ciò si riferisce, e così è chiaro ch’essi nel Divin Verbo conoscono i voti, e le devozioni, e le preghiere degli uomini che ricorrono al loro aiuto”.
– Le obiezioni
I Protestanti pur ammettendo che vi sia una specie di Comunione dei Santi che pregano “con noi”, di fatto sostengono ed insegnano che noi non possiamo invocarli, e che l’unico tramite fra noi e Dio è solo Gesù Cristo, l’unico che deve essere pregato e invocato in avvocatura, l’uno mediatore fra noi e Dio.
Osserviamo in primo luogo che se i Santi intercedono per noi, non credono di offendere Gesù Cristo giacché sanno che ogni intercessione avviene tramite di Lui, se i Santi non vengono a noi infatti è perché è Gesù a non concederlo, e non v’é dunque alcuna ragione per pensare di offendere Nostro Signore poiché, quando ai Santi ricorriamo, sappiamo che ogni supplica, la stessa Santa Messa, tutto passa attraverso di Lui.
Osserveremo in secondo luogo che la parola intercessione s’applica in modo differente da quello in cui si applica a Nostro Signore Gesù Cristo, Egli solo è infatti l’intercessore imperciocché se gli uomini ricevono grazie, e per grazia possono rivolgersi ai Santi in Cielo, questo avviene solo per tramite Suo, per i meriti infiniti del Suo Divino Sacrificio, Gesù è pertanto l’intercessore necessario ed indispensabile, e chi non invoca la sua intercessione, o pretende di essere ascoltato senza vivere dei Sacramenti, dei Comandamenti e della dottrina, non può conseguire alcuna grazia, ogni intercessione infatti è subordinata alla intercessione di Gesù Cristo, è Lui che decide a chi accordare le preghiere rivolte ai Santi, è Lui che decide come e quando i Santi possono rispondere ai fedeli che li invocano (es. il compiersi dei miracoli in nome di un santo: non è il santo a decidere, ma è Gesù ad accordare o meno la grazia), è Lui elargitore e distributore della grazia, i Santi sono il tramite dello spargimento dei misteri, delle grazie, dei favori divini, così come è il Sacerdote, Ministro Ordinato, il tramite attraverso il quale il Signore Gesù Cristo, e tutta la Santissima Trinità, vivificano il Sacrificio dell’Altare, o come quando assolvono i penitenti dai propri peccati: il penitente riceve questa assoluzione tramite il Sacerdote il quale non agisce in nome proprio ma “nel Nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo”. Il Concilio di Trento ha definito perciò: “essere cosa buona ed utile l’invocare supplichevolmente i Santi ed il ricorrere alle loro azioni, al loro soccorso e al loro aiuto, affine di impetrare da Dio dei benefici per mezzo del Suo Figliolo Gesù Cristo, nostro Signore, ch’é il solo nostro Redentore e Salvatore” (Conc. Trid. Sess. XXV).
Ricordiamo il racconto fatto da San Paolo per la nostra edificazione nella 2Cor.12,1-5, come negare perciò che i Santi che sono puri spiriti, chiamati a condividere l’opera e le meraviglie del Signore, non conoscano per Sua grazia le cose di questa terra? La stessa parabola di Lazzaro e del ricco Epulone ci rammentano che c’è conoscenza fra questi mondi, ma un abisso li separa: Et ait: “Rogo ergo te, Pater, ut mittas eum in domum patris mei — habeo enim quinque fratres — ut testetur illis, ne et ipsi veniant in locum hunc tormentorum”. / E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento” (Lc.16,19-31), l’abisso che separa il mondo dei dannati resta separato, mentre il Cielo che separa i Santi dai viventi santificanti è raggiungibile per mezzo di Cristo, questo proprio perché la nostra meta è il Cielo e non l’Inferno, e Gesù è venuto per portarci in Cielo dove già vivono e con Lui operano i Santi, coloro che sono morti in Cristo.
Il dogma Cattolico della Comunione dei Santi – e il vantaggio che possiamo e dobbiamo procurare ai Defunti per mezzo dei Suffragi – fa di tutti i figliuoli di Dio una sola famiglia, separata dal luogo ma unita col vincolo della carità, prima carità unitiva, come abbiamo spiegato, è proprio la Divina Eucaristia. Questo affetto unitivo corrisponde al bisogno del nostro cuore, ed il tributo di suffragi e preghiere, di elemosine e penitenze che diamo a quelli che ci lasciarono su questa terra, per mezzo di Nostro Signore Gesù Cristo fa sì che viviamo ancora con essi, perché essi sono vivi seppure in un modo a noi ancora incomprensibile.
Infine, si risponderà, come questo dogma proviene dalla Sacra Scrittura e che la Tradizione della Chiesa ha confermato e vincolato nella fede comune, ci solleva dagli interessi puramente materiali e ci trasporta nel modo corretto nel mondo soprannaturale:
le Anime del Purgatorio pregano per noi e ci ricordano anche della nostra sorte;
l’invocazione e il culto dei Santi ci parlano della gloria che è stata per noi preparata;
e la memoria, i Suffragi eucaristici per coloro che ci hanno preceduto col segno della Croce e “dormono il sonno della pace”, è per noi causa di dolci emozioni e scuola di cristiane virtù.
Non esiste infatti alcuna specie di “comunione con i dannati”, anzi, ogni contatto con loro è espressamente vietato da Dio in tutta la Sacra Scrittura, un regno definito dei “morti”, morti alla grazia, morti alla partecipazione della divinità, morti alla beatitudine. Chiunque invochi od evochi questi Defunti, si mette contro Dio e mette in pericolo la propria anima lasciandola in balia di forze occulte e demoniache. Il dogma cattolico, infatti, distingue sapientemente dal culto dei Santi con il suffragio per i Defunti, da coloro che divinizzano i santi che sono Dèmoni e evocano gli spiriti dei morti. La Dottrina cattolica, invece, imparata sapientemente, aiuta a capire dove sono gli errori, le eresie e le gravi apostasie.
Concludiamo questa parte ricordando che, per aiutare davvero le Anime dei Defunti, le armi che il Buon Dio ci ha dato sono: la Santa Messa di Suffragio, a cui prendervi parte in stato di grazia, confessati e accostandosi alla santa Eucaristia; le Preghiere e le Novene, in particolare la pratica del Santo Rosario; e le opere di carità quali, per esempio, privarsi di qualcosa per suffragare l’anima di un Defunto, visitare gli ammalati, vestire gli ignudi, dar da mangiare agli affamati, e così via, queste opere fatte in suffragio per i Defunti, acquistano per essi un bene immenso, il sollievo delle pene e la definitiva purgazione permettendo il loro ingresso definitivo nella Beatitudine eterna.
Ricordiamo che – queste tre componenti – non vanno mai disgiunte tra loro, entrambe sono necessarie e per i Defunti, quanto per chi le compie specialmente in stato di grazia, come ammonisce lo stesso Signore Iddio in Ezechiele «Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l’iniquità, io porrò un ostacolo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l’avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate; ma della morte di lui domanderò conto a te. Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato»(cap.3,20-21)
Gentile Padre Angelo Bellon, è vero che le anime del purgatorio che hanno commesso colpe gravi (anche se non mortali ovviamente) possono beneficiare fino a un certo punto dei suffragi di riparazione che i viventi fanno per loro, in quanto la Giustizia esige l’espiazione personale di certe colpe gravi? Ringraziandola di cuore, le invio distinti saluti
Risposta del sacerdote
Carissima, 1. non è facile rispondere alla domanda che mi hai fatto. Dalla Sacra Scrittura emerge chiaramente che le anime del Purgatorio possono essere aiutare dai suffragi dei vivi. La più preziosa testimonianza è quella che ci viene dai libri dei Maccabei: “Poi fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dracme d’argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio per il peccato, compiendo così un’azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della risurrezione. Perché, se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli pensava alla magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato” (2 Mac 12,43-45).
2. Nello stesso tempo comprendiamo anche che i suffragi fatti dagli altri non possono sostituire la purificazione dell’anima, o per meglio dire la purificazione dell’amore. La purificazione dell’amore non può essere che un atto personale.
3. Di qui si comprende che i suffragi sono un aiuto, non una sostituzione. In questo senso il Concilio di Trento dice: “Le anime tenute nel purgatorio possono essere aiutate dai suffragi dei fedeli e in modo particolarissimo col santo sacrificio dell’altare” (DS 1820).
4. Più che parlare di esigenze di giustizia mi pare più giusto parlare di esigenze di purificazione, anzi, di purificazione dell’amore.
5. Devo infine fare due precisazioni su quanto mi hai scritto. La prima riguarda queste parole: “le anime del purgatorio che hanno commesso colpe gravi (anche se non mortali ovviamente)” Ora secondo il Magistero della Chiesa le colpe gravi si identificano con le mortali. Per la Chiesa non c’è distinzione, come ha affermato Giovanni Paolo II in Reconciliatio et Paenitentia: “Durante l’assemblea sinodale è stata proposta da alcuni padri una distinzione tripartita fra i peccati, che sarebbero da classificare come veniali, gravi, e mortali. La tripartizione potrebbe mettere in luce il fatto che fra i peccati gravi esiste una gradazione. Ma resta sempre vero che la distinzione essenziale e decisiva è fra peccato che distrugge la carità e peccato che non uccide la vita soprannaturale: fra la vita e la morte non si dà via di mezzo… Perciò, il peccato grave si identifica praticamente, nella dottrina e nell’azione pastorale della Chiesa, col peccato mortale” (RP 17).
6. La seconda precisazione: in Purgatorio ci si purifica anche dai peccati mortali rimessi, poiché nel soggetto anche dopo la confessione possono rimanere le inclinazioni disordinate. Ora si legge nell’Apocalisse che nella Gerusalemme celeste “non entrerà nulla d’impuro” (Ap 21,27).
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico. Padre Angelo
Perfetta uniformità delle Anime purganti al volere di Dio (dal cap. I del Trattato del Purgatorio)
Nel giorno in cui contempliamo la moltitudine dei santi che già partecipano alla gloria di Dio, la Chiesa ci invita anche a volgere lo sguardo verso coloro che ancora non sono giunti alla visione beatifica, ma vi camminano nella fiamma dell’Amore purificante. Santa Caterina da Genova apre il suo Trattato con un paradosso luminoso: le anime del Purgatorio sono pienamente felici e pienamente sofferenti, perché la loro volontà è ormai perfettamente unita a quella di Dio.
Ella scrive: «Le anime che sono nel Purgatorio non possono avere altra elezione che di essere in esso luogo, e questo è per l’ordinazione di Dio, il quale ha fatto questo giustamente. Né si possono più voltare verso se stesse… ma hanno un tanto contento di essere nella ordinazione di Dio, e che Egli adoperi tutto quello che gli piace, e come gli piace» (Tratt., I, 1-2).
Queste parole sono una rivoluzione spirituale. Il Purgatorio non è una sala d’attesa della pena, ma un altare di conformità. L’anima non discute più con Dio, non calcola, non teme. Vive immersa in un fuoco che non distrugge, ma purifica. Non dice più “perché mi succede?”, ma “sia fatta la tua volontà”. Non conosce più la ribellione, perché in lei ogni fibra è accordata alla carità divina.
La libertà, che in vita si agitava tra scelte e resistenze, ora trova finalmente pace. L’anima non ha più memoria del male commesso né invidia per chi la precede nel Paradiso, perché tutto ciò sarebbe ancora imperfezione. Vive solo nell’atto puro della carità che accetta, crede e ama. È la forma più alta della libertà: quella che non deve più scegliere, perché è già tutta unita a Dio.
Caterina chiama questa condizione “contento perfettissimo”: un’estasi silenziosa, dove il dolore non è rifiutato ma trasfigurato in amore. Non vi è più “pena” nel senso umano del termine, ma la gioiosa certezza che Dio sta compiendo la sua opera nell’anima.
In questo primo giorno dell’Ottavario, la Santa ci invita a guardare la vita con gli occhi del Purgatorio: ogni prova, ogni purificazione, ogni ritardo nell’essere compresi o amati, è un fuoco che ci rende più trasparenti alla luce di Dio. Le anime del Purgatorio ci insegnano che la santità è quando la volontà umana tace e lascia parlare l’Amore.
Chi ama così è già in cielo, anche se ancora cammina sulla terra.
A chi offrire l’indulgenza plenaria per i defunti?
In questi giorni dell’Ottavario dei Defunti la Chiesa ci ricorda un dono prezioso: possiamo ottenere ogni giorno un’indulgenza plenaria per un’anima del Purgatorio. Non è una formula automatica, ma un atto di carità soprannaturale, un modo di amare come ama Dio.
Molti si domandano: a chi dedicarla? chi “mandare in Paradiso”? La tradizione cattolica ci insegna un ordine di carità, semplice e sapiente, che nasce dal cuore stesso del Vangelo.
1. Per le anime dimenticate. Sono le più povere. Nessuno le nomina più, nessuno le ricorda. Eppure Dio non le ha dimenticate. Offrire per loro l’indulgenza significa partecipare alla misericordia che cerca chi è rimasto solo anche nell’eternità.
2. Per i genitori e i benefattori. La pietà cristiana non conosce ingratitudine. Pregare per chi ci ha amato è un atto di giustizia e riconoscenza.
3. Per i sacerdoti e i consacrati. Essi hanno portato anime a Dio; ora noi le riportiamo a Dio pregando per loro. È la comunione dei santi che si compie nel Sangue di Cristo.
4. Per chi è morto improvvisamente. Molti non hanno avuto tempo di prepararsi. La nostra preghiera può essere per loro una porta che si riapre, una fiamma accesa nel buio della sorpresa.
5. Per l’anima più prossima alla gloria. È l’offerta più disinteressata e più bella: lasciare a Dio la scelta, perché sa chi ha più bisogno in quell’istante.
Ogni atto d’amore diventa così luce per chi attende, pace per chi soffre, speranza per chi resta.
E mentre offriamo per i defunti, il fuoco della carità ci purifica anche noi. Il Paradiso è più grande quando ci si va insieme.
Preghiera per offrire l’indulgenza plenaria per i defunti
Signore Gesù Cristo,
Redentore dell’uomo e vincitore della morte, nel mistero del tuo Sangue prezioso hai purificato ogni colpa e aperto le porte del cielo.
Oggi, unito alla Chiesa pellegrina, ti offro l’indulgenza che la tua Sposa concede nel tuo Nome e per la potenza del tuo Amore.
Accoglila, ti prego, per l’anima di (dire il nome), o per quella che più desideri tu liberare, o per quella più dimenticata e sola, perché possa contemplare il tuo volto nella pace.
Accetta, o Padre di misericordia, questo atto di fede e di carità, come riparazione dei miei peccati e come suffragio per i fratelli defunti. Maria, Madre della speranza, accompagnali alla gioia eterna; e fa’ che anche noi, purificati nel tuo Figlio, viviamo in questa vita con cuore penitente e giungiamo un giorno, insieme a loro, alla luce che non tramonta. Amen.
Recita e rammenta questa Giaculatoria: «Vita breve, morte certa, del morire l’ora è incerta, un’anima sola si ha: se si perde che sarà? Se perdi il tempo che adesso hai, alla morte non lo avrai, Dio ti vede, Dio ti giudicherà, Paradiso o Inferno ti toccherà. Finisce tutto, finisce presto, l’eternità non finisce mai.»
IL 2 NOVEMBRE NON È IL GIORNO DEI MORTI, MA DELLA MISERICORDIA CHE LIBERA
La Chiesa, dopo aver contemplato il trionfo dei santi, si china con amore sulle anime che ancora non sono nella visione di Dio.
Non commemora i morti, ma accompagna i vivi che si purificano nel fuoco dell’amore divino. È il giorno delle anime purganti, non dei defunti in quanto tali.
La sapienza della Chiesa, che è madre, mostra una prudenza divina: essa può dichiarare chi è santo, ma non osa mai dire chi è dannato. Nessun nome è stato mai scritto nel libro dell’eternità perduta, perché solo Dio conosce il cuore.
Quanti sembravano giusti, agli occhi di Dio non lo sono; e quanti parevano lontani, forse si sono salvati in un istante di verità. La misericordia di Dio agisce ad personam. Perciò, nell’incertezza del giudizio, la Chiesa prega per tutti i fedeli defunti come se fossero in purificazione, affidandoli alla bontà di Dio.
È per questo che nessuno si avvicina al corpo di un santo e recita “l’eterno riposo”: i santi già vivono nella luce del Signore.
Se la commemorazione fosse per i “defunti” in senso generico, dovremmo ricordare anche loro.
Ma oggi la Chiesa si rivolge a coloro che non sono ancora santi, a coloro che attendono di esserlo. È la liturgia dell’intercessione, non della memoria.
Il Purgatorio non è castigo, è misericordia della giustizia in atto.
È il fuoco purificatore dell’amore, dove l’anima si libera dalle scorie del peccato e arde del desiderio di Dio. Non soffre per timore, ma per amore.
Le nostre preghiere, le Messe, le indulgenze abbreviamo quella purificazione, perché l’amore non è mai inutile, nemmeno oltre la morte.
Eppure, molti cattolici hanno smarrito il senso di questo giorno.
Il 2 novembre è diventato per molti una giornata del ricordo umano, svuotata del suo significato spirituale. Gesti come portare fiori, accendere luci, ornare tombe, belli se nascono dalla fede, sono spesso ridotti a riti di rispetto e di nostalgia, più sociali che religiosi. Il motivo è semplice: è cambiato l’approccio alla morte.
Non stupisce, allora, che anche i funerali cattolici, pur celebrati in chiesa, assumano sempre più un tono sentimentale e laicizzato. La liturgia, che dovrebbe proclamare la speranza nella risurrezione, viene talvolta oscurata da una teatralità mondana: applausi, palloncini, musiche, elogi umani. Tutto serve a suscitare emozioni intense e fugaci, ma non conduce al mistero cristiano della vita eterna.
Anche il linguaggio è mutato.
I giovani defunti diventano “angeli”, i buoni “anime che Dio si è voluto prendere con sé”, e per gli altri vale il detto popolare: si nasce tutti belli, si muore tutti bravi. Insomma, tutti già degni del Paradiso. Basterebbe ascoltare alcune omelie per accorgersi di ciò che manca davvero: la serietà della morte, la coscienza che ogni anima passa attraverso il giudizio di Dio e che la misericordia non elimina la verità.
Si preferisce una retorica consolatoria, che svuota la fede e riduce la misericordia a sentimentalismo, senza conversione e senza responsabilità. È una misericordia deresponsabilizzata, che cammina insieme all’indifferenza morale.
A questo clima si aggiungono nuove derive spiritualiste: la reincarnazione presentata come certezza, le presunte comunicazioni con l’aldilà, la ricerca di medium e scritture automatiche. E come ultimo frutto di questa smaterializzazione del sacro, la cremazione e la dispersione delle ceneri sono diventate pratiche comuni, quasi un’abitudine civile. Tutto questo è il segno di un mondo che ha perduto la fede e si affida soltanto al sentimento umano.
Ma questa crisi non è nata ieri.
Affonda le sue radici in oltre due secoli di trasformazioni culturali. L’uomo moderno, educato al razionalismo, ha dimenticato il linguaggio della speranza. Le generazioni formate alla fede resistevano a questa deriva; oggi, scomparsa quella memoria, il vuoto spirituale è apparso in tutta la sua evidenza.
Con l’avvento dell’Illuminismo, quando l’uomo volle spiegare la vita senza Dio, la morte cambiò volto. Come ha mostrato lo storico Philippe Ariès, la società occidentale è passata dalla “morte addomesticata”, condivisa, pregata, accompagnata, alla “morte proibita”, nascosta, medicalizzata, privata di rito. Il cosiddetto Secolo della Ragione, esaltando progresso e autonomia, ha finito per isolare l’uomo proprio nell’ora suprema. Il cristiano di un tempo vedeva nella morte un passaggio illuminato dalla fede; l’uomo moderno la percepisce come un problema da gestire.
Da qui due conseguenze decisive.
La prima è che la morte è stata espulsa dal centro della vita comunitaria: morenti e defunti non sono più parte del tessuto umano, ma casi clinici o pratiche amministrative. Se non c’è rito, non c’è accompagnamento; se non c’è accompagnamento, cresce la paura. Ariès parlava, appunto, della “morte proibita”.
La seconda conseguenza è la nascita di un vuoto simbolico: la fede che prima sosteneva il mistero è stata sostituita dall’estetica dell’orrore. È in questo vuoto che nasce il romanzo gotico e con esso la fascinazione per il soprannaturale, i fantasmi, le ombre. L’orrore diventa surrogato del sacro, un modo per esorcizzare l’assenza di Dio.
L’Illuminismo avrà pure reso la morte più “efficiente” da un punto di vista sanitario, ma l’ha resa infinitamente più solitaria e angosciosa. La fede, che un tempo addolciva il trapasso con la preghiera e la speranza, è stata sostituita da una cultura che parla di emozioni ma non di eternità. Il risultato è un uomo che non sa più morire, e dunque non sa più vivere.
Ed è proprio qui che il 2 novembre rivela la sua necessità e la nostra testimonianza di credenti in Gesù e nella risurrezione. Anche se tutti si sono appropriati della nostra memoria, non dobbiamo lasciarci trascinare n questa metamorfosi che ha declassato la memoria della fede in una memoria terrena.
Oggi è la celebrazione della carità che attraversa le tombe. È il giorno in cui la Chiesa ricorda a ogni credente che i defunti non sono “assenti”, ma “in cammino”; che la morte non è un confine, ma una purificazione.
Quando l’uomo dimentica questa verità, sostituisce la fede con l’emozione. Ma il cristiano sa che l’amore, per essere vero, deve farsi preghiera.
Il 2 novembre è giorno di preghiera per le anime che vivono ancora nel desiderio di Dio. È la giornata della misericordia che opera nel silenzio, la liturgia dell’intercessione per coloro che non sono perduti, ma non sono ancora giunti alla visione beatifica.
Le anime purganti non ci chiedono fiori, né monumenti, né candele di circostanza. Ci chiedono la preghiera: l’unico linguaggio che le raggiunge. In essa la carità diventa ponte tra cielo e purgatorio, tra chi attende e chi può soccorrere. Ogni Messa offerta, ogni Rosario recitato, ogni atto di penitenza compiuto in loro suffragio è una goccia di luce che entra nel buio del loro amore incompiuto.
Oggi non ricordiamo chi “non c’è più”, ma chi ci chiama da quella soglia misteriosa in cui l’anima si lascia purificare dall’amore. È la loro memoria che si fa appello alla nostra fede: “Non dimenticatemi, aiutatemi a vedere il volto di Dio.”
In questo grido si manifesta la comunione dei santi nella sua forma più pura: la Chiesa della terra che sostiene la Chiesa del purgatorio, mentre la Chiesa del cielo intercede per entrambe.
Quando comprenderemo tutto questo, anche i nostri gesti davanti alla tomba cambieranno: non saranno un omaggio alla memoria, ma un atto di carità viva; non guarderanno una pietra, ma un’anima che chiede luce; non diranno “non c’è più”, ma “sta per entrare nella gloria di Dio.”
Il 2 novembre è, dunque, il giorno in cui la fede diventa l’opera di misericordia spirituale che ci impone, dopo aver pregato per i vivi, di farlo anche per i morti, perché si compia in loro la purificazione e possano abbracciare il Signore. È il giorno dell’amore che non dimentica, del cielo che attende e della terra che spera.
Solo allora anche il cimitero tornerà a essere un luogo di speranza: non la città dei morti, ma quel dormitorio dove riposano coloro che si sono addormentati in Cristo, o quel campo dei santi che si trovano sulla soglia dei vivi in attesa di rinascere, quanto prima, alla luce eterna.
2 GIORNO DI OTTAVARIO: 2 NOVEMBRE – “LA GIOIA CHE CRESCE NEL FUOCO”
dal cap. II del Trattato del Purgatorio: Gioia delle anime e loro crescente visione di Dio
Dopo aver contemplato ieri la santità come piena conformità alla volontà di Dio, oggi ci inchiniamo davanti al mistero delle anime che ancora si purificano, immerse in un fuoco che non distrugge ma trasforma. Santa Caterina da Genova, che aveva provato in sé il “Purgatorio dell’amor divino”, ci conduce oltre le immagini terrene del castigo per rivelarci la logica profonda della misericordia: l’anima, una volta toccata da Dio, non può che desiderarlo sempre di più. Il suo cammino è fatto di luce crescente, come l’alba che sorge dopo una notte di fuoco.
È la certezza che la salvezza non si compie in un istante, ma si dilata nel tempo dell’amore, fino a che ogni ombra sia vinta dalla gloria.
Caterina scrive: «Non credo che si possa trovare contentezza da comparare a quella di un’anima del Purgatorio, eccetto quella dei santi del Paradiso. E ogni giorno questa contentezza cresce, per l’influsso di Dio in esse anime, il quale va crescendo, siccome va consumando l’impedimento dell’influsso. La ruggine del peccato è l’impedimento, e il fuoco va consumando la ruggine; e così l’anima sempre più si va discoprendo al divino influsso» (Tratt. II, 1-3).
Per Santa Caterina, la purificazione non è un supplizio, ma un’educazione dell’anima alla luce. L’immagine della “ruggine” è di sorprendente finezza teologica: come il ferro non perde la sua natura ma ritrova la sua lucentezza, così l’anima non perde sé stessa, ma risorge al suo splendore originario.
Il fuoco del Purgatorio è lo stesso amore divino che in Paradiso è beatitudine, ma che, in chi non è ancora puro, diventa ardore purgante.
Non vi sono due fuochi, ma un solo Amore che agisce secondo la disposizione dell’anima. Tommaso d’Aquino scrive: “Il fuoco del Purgatorio è opera della giustizia divina, ordinata dalla carità” (Suppl., q. 70, a. 3). È la carità di Dio che, penetrando l’anima, consuma tutto ciò che la separa da Lui.
C’è nel Purgatorio una gioia misteriosa: quella di sapere che tutto il dolore ha un fine buono. Le anime non gemono perché sono amate troppo, ma perché ancora non possono amare abbastanza. Ogni scintilla che brucia dentro di loro è una benedizione, perché annuncia che il volto di Dio si fa più vicino. Chi si lascia purificare dall’amore scopre che il dolore non è il contrario della pace, ma la sua gestazione. In fondo, anche nella vita, ciò che ci ferisce non è il male che patiamo, ma il bene che ancora non sappiamo accogliere.
Viviamo questa seconda giornata dell’Ottavario con gratitudine. Ogni croce che accettiamo, ogni resistenza che cede alla grazia, è già un piccolo Purgatorio terreno. Visitando oggi i cimiteri e pregando per i nostri cari defunti, lasciamo che il fuoco della speranza accenda anche in noi il desiderio del cielo. Ogni atto d’amore, ogni preghiera offerta per un’anima, è un frammento di luce che si aggiunge alla loro gioia crescente. E quando preghiamo per loro, essi, nella carità che ormai non può più peccare, pregano per noi. È lo scambio più santo tra la terra e il cielo: il nostro dolore si fa speranza, la loro attesa si fa pace.
Preghiera per offrire l’indulgenza plenaria per i defunti
Signore Gesù Cristo,
Redentore dell’uomo e vincitore della morte, nel mistero del tuo Sangue prezioso hai purificato ogni colpa e aperto le porte del cielo.
Oggi, unito alla Chiesa pellegrina, ti offro l’indulgenza che la tua Sposa concede nel tuo Nome e per la potenza del tuo Amore.
Accoglila, ti prego, per l’anima di (dire il nome), o per quella che più desideri tu liberare, o per quella più dimenticata e sola, perché possa contemplare il tuo volto nella pace.
Accetta, o Padre di misericordia, questo atto di fede e di carità, come riparazione dei miei peccati e come suffragio per i fratelli defunti.
Maria, Madre della speranza, accompagnali alla gioia eterna; e fa’ che anche noi, purificati nel tuo Figlio,
viviamo in questa vita con cuore penitente e giungiamo un giorno, insieme a loro,
alla luce che non tramonta. Amen.
Recita e rammenta questa Giaculatoria: «Vita breve, morte certa, del morire l’ora è incerta, un’anima sola si ha: se si perde che sarà? Se perdi il tempo che adesso hai, alla morte non lo avrai, Dio ti vede, Dio ti giudicherà, Paradiso o Inferno ti toccherà. Finisce tutto, finisce presto, l’eternità non finisce mai.»
TERZO GIORNO DI OTTAVARIO – 3 NOVEMBRE: “IL DOLORE DELL’ASSENZA”
dal cap. III del Trattato del Purgatorio: La separazione da Dio, pena suprema delle anime purganti
Il cammino dell’Ottavario ci porta oggi nel punto più profondo del mistero: la pena delle anime purganti non è un castigo materiale, ma una sete interiore.
Dopo aver contemplato la loro pace e la gioia crescente che nasce dall’amore purificante, entriamo ora nel silenzio di un dolore che non ha parole: la distanza da Dio, temporanea ma lacerante. Santa Caterina non descrive fuochi o tormenti esteriori: parla di un fuoco che nasce dal cuore stesso dell’anima, che anela alla visione divina e ancora non la possiede. È un dolore d’amore, la nostalgia più alta che esista, quella del Cielo perduto solo per un istante.
Caterina scrive: «Dell’altra parte poi hanno una pena tanto estrema, che non si trova lingua che la possa narrare, né intelletto che possa capirne una minima scintilla, se Dio non gliela mostrasse per grazia speciale… Dio ha creata l’anima pura, semplice, e netta di ogni macchia di peccato, con un certo istinto beatifico verso di Lui, dal quale istinto il peccato… l’allontana; e quanto più se ne fa lontana, tanto più diventa maligna, imperocché Dio meno le corrisponde» (Trattato del Purgatorio, cap. III, 1–3).
L’amore è l’essenza del Paradiso, e la privazione temporanea di quella pienezza è la pena del Purgatorio. Santa Caterina, con intuizione profondamente teologica, descrive questa sofferenza come conseguenza del peccato che “riduce la corrispondenza con Dio”. Il linguaggio è quasi tomista: l’anima è ordinata naturalmente alla visione beatifica (Summa theologiae, I-II, q. 3, a. 8); il peccato ne interrompe la dinamica, introducendo disordine e privazione. Quando muore in grazia ma ancora imperfetta, l’anima conserva in sé questo istinto verso Dio: è attratta irresistibilmente dal Bene supremo, e allo stesso tempo impedita dal raggiungerlo.
La pena più grande non è dunque un fuoco che arde la carne, ma la consapevolezza che il proprio Amore la chiama e lei non può ancora rispondere. È la stessa logica della Croce: il Figlio anela al Padre e grida “Perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46), non per disperazione ma per perfetta partecipazione al dolore dell’umanità lontana da Dio.
In questa prospettiva, il Purgatorio ci rivela quanto poco comprendiamo il peccato.
Ci sembra cosa leggera, ma davanti alla luce di Dio ogni macchia è una barriera alla comunione.
Le anime purganti soffrono perché amano, e amano perché hanno visto la verità. Il loro dolore è simile a quello dell’amante che scorge l’Amato dietro un velo: più lo contempla, più lo desidera, e più il desiderio stesso diventa bruciore. È un dolore santo, che non genera ribellione ma adorazione. Se il Paradiso è l’amore posseduto e l’Inferno è l’amore rifiutato, il Purgatorio è l’amore che ancora impara a dire il suo “sì” definitivo.
Ogni anima che si purifica ci insegna a non vivere distratti da ciò che davvero conta. Anche sulla terra sperimentiamo, a volte, la stessa pena della distanza da Dio: quando la preghiera si spegne, quando la grazia sembra lontana, quando il cuore resta freddo. In quei momenti, non siamo abbandonati: stiamo imparando l’arte del desiderio puro. Chi vive la fede come ricerca, chi non si accontenta di una devozione superficiale, sta già percorrendo il cammino del Purgatorio. Oggi, mentre la Chiesa ci fa pregare per i defunti, ricordiamo che la lontananza da Dio è la sola vera sofferenza, e che ogni passo verso la comunione è già redenzione. Le anime del Purgatorio ci sussurrano una lezione semplice: non si può amare Dio a metà.
Preghiera per offrire l’indulgenza plenaria per i defunti
Signore Gesù Cristo, Redentore dell’uomo e vincitore della morte, nel mistero del tuo Sangue prezioso hai purificato ogni colpa e aperto le porte del cielo.
Oggi, unito alla Chiesa pellegrina, ti offro l’indulgenza che la tua Sposa concede nel tuo Nome e per la potenza del tuo Amore.
Accoglila, ti prego, per l’anima di (dire il nome), o per quella che più desideri tu liberare, o per quella più dimenticata e sola,
perché possa contemplare il tuo volto nella pace.
Accetta, o Padre di misericordia, questo atto di fede e di carità, come riparazione dei miei peccati e come suffragio per i fratelli defunti.
Maria, Madre della speranza, accompagnali alla gioia eterna; e fa’ che anche noi, purificati nel tuo Figlio,
viviamo in questa vita con cuore penitente e giungiamo un giorno, insieme a loro,
alla luce che non tramonta. Amen.
Recita e rammenta questa Giaculatoria: «Vita breve, morte certa, del morire l’ora è incerta, un’anima sola si ha: se si perde che sarà? Se perdi il tempo che adesso hai, alla morte non lo avrai, Dio ti vede, Dio ti giudicherà, Paradiso o Inferno ti toccherà. Finisce tutto, finisce presto, l’eternità non finisce mai.»
QUARTO GIORNO DI OTTAVARIO – 4 NOVEMBRE: “LO STESSO FUOCO, DUE DESTINI”
dal cap. IV del Trattato del Purgatorio: Differenza tra i dannati e le anime purganti
Dopo aver contemplato la pena dell’assenza di Dio, oggi guardiamo la grande distinzione che Santa Caterina da Genova stabilisce tra le anime del Purgatorio e i dannati dell’Inferno. È un tema che tocca la radice della libertà e della grazia.
Non esistono due giustizie, ma due risposte all’unico Amore divino: l’una è accoglienza, l’altra è rifiuto. Il fuoco che purifica e il fuoco che distrugge hanno la stessa origine, ma non la stessa destinazione. L’amore di Dio non cambia: cambia il cuore che lo riceve. In questo sta la differenza tra la purificazione e la perdizione.
Caterina scrive: «Le anime che sono nel Purgatorio, perciò che sono senza colpa di peccato, non hanno impedimento tra Dio e loro, salvo quella pena che le ha ritardate…. Quelli dell’Inferno, per essere trovati al punto della morte con la volontà di peccare, hanno con sé la colpa infinitamente, e la pena, non però tanta quanta meritano; ma pur quella che hanno è senza fine. Ma quelli del Purgatorio han solamente la pena, perciocché la colpa fu cancellata nel punto della morte» (Trattato del Purgatorio, cap. IV, 1–7).
L’intuizione di Santa Caterina è limpida e cattolicamente impeccabile: l’unica differenza tra i dannati e le anime purganti è la presenza o l’assenza della colpa. Nel momento della morte, l’anima si fissa nella volontà che ha scelto. Chi muore in stato di peccato mortale, avendo deliberatamente rifiutato Dio, si chiude all’amore per sempre. Chi invece muore in grazia, ma ancora imperfetto, resta aperto alla grazia che continua a operare in lui. Il Concilio di Trento conferma: “Se qualcuno afferma che dopo la giustificazione non rimane in alcun modo la pena temporale da scontare… sia anatema” (DS 1580). La giustificazione rimette la colpa, non sempre le conseguenze del peccato. La purificazione post mortem è dunque giustizia di Dio unita alla sua misericordia: Egli non distrugge ciò che ha amato, ma lo porta alla perfezione. All’Inferno l’amore è odiato; nel Purgatorio, l’amore è amato pur nel dolore. La differenza non è geografica, ma morale: sta nella direzione del cuore.
Ogni anima che sceglie Dio sceglie il fuoco della verità. Quello stesso fuoco, se accolto, diventa luce; se respinto, diventa tenebra. L’Inferno è il dramma dell’amore rifiutato, il Purgatorio è la purificazione dell’amore imperfetto. In fondo, ogni uomo vive già un anticipo dell’uno o dell’altro stato: quando amiamo in purezza, conosciamo la pace del cielo; quando resistiamo alla grazia, sperimentiamo la pena della lontananza. Santa Caterina non descrive il Purgatorio come un compromesso tra giustizia e misericordia, ma come la loro piena armonia. L’anima purgante non vuole fuggire, perché vede in quel fuoco la mano di Dio che la rifinisce come oro nel crogiuolo.
Questo giorno ci invita a distinguere tra sofferenza e disperazione. La sofferenza può essere redenta; la disperazione, no. Chi porta nel cuore la grazia, anche se attraversa prove e oscurità, è già nella logica del Purgatorio: il dolore diventa medicina. Chi invece rifiuta Dio, anche se gode di ogni bene terreno, sperimenta già l’aridità dell’Inferno. Pregare per i defunti significa credere che il bene non si perde mai, che l’amore vince il tempo, che la misericordia di Dio continua dove il nostro sguardo si ferma. Il fuoco dell’Amore è uno solo. Sta a noi decidere se vogliamo che bruci o che illumini.
Preghiera per offrire l’indulgenza plenaria per i defunti
Signore Gesù Cristo, Redentore dell’uomo e vincitore della morte, nel mistero del tuo Sangue prezioso hai purificato ogni colpa e aperto le porte del cielo.
Oggi, unito alla Chiesa pellegrina, ti offro l’indulgenza che la tua Sposa concede nel tuo Nome e per la potenza del tuo Amore.
Accoglila, ti prego, per l’anima di (dire il nome), o per quella che più desideri tu liberare, o per quella più dimenticata e sola,
perché possa contemplare il tuo volto nella pace.
Accetta, o Padre di misericordia, questo atto di fede e di carità, come riparazione dei miei peccati e come suffragio per i fratelli defunti.
Maria, Madre della speranza, accompagnali alla gioia eterna; e fa’ che anche noi, purificati nel tuo Figlio,
viviamo in questa vita con cuore penitente e giungiamo un giorno, insieme a loro,
alla luce che non tramonta. Amen.
Recita e rammenta questa Giaculatoria: «Vita breve, morte certa, del morire l’ora è incerta, un’anima sola si ha: se si perde che sarà? Se perdi il tempo che adesso hai, alla morte non lo avrai, Dio ti vede, Dio ti giudicherà, Paradiso o Inferno ti toccherà. Finisce tutto, finisce presto, l’eternità non finisce mai.»
QUINTO GIORNO DI OTTAVARIO – 5 NOVEMBRE: “LA BONTÀ CHE NON SI RITIRA”
dal cap. V–VI del Trattato del Purgatorio: La bontà di Dio verso i dannati e la gioiosa purificazione delle anime
Nel cuore dell’Ottavario, Santa Caterina da Genova ci porta a contemplare un aspetto che sconvolge la logica umana: la bontà di Dio non si arresta neppure davanti all’Inferno. Per lei, Dio è Amore assoluto, e anche quando l’anima si perde, Egli non cessa di effondere misericordia. Non la può salvare contro la sua volontà, ma la sua bontà continua a vibrare come un sole che non si spegne mai. Il Purgatorio, in questa luce, non è un corridoio oscuro, ma il luogo dove la misericordia divina opera con gioia la purificazione dell’anima, restituendole la purezza perduta.
Caterina scrive: «La pena dei dannati non è infinita in quantità; imperocché la dolce bontà di Dio spande il raggio della sua misericordia ancora nell’Inferno. […] Ma le anime del Purgatorio hanno in tutto conforme la loro volontà con quella di Dio: e però Dio corrisponde loro con la sua bontà, ed esse restano contente e purificate dal peccato… quanto alla colpa» (Trattato del Purgatorio, cap. V–VI, 1–2).
Caterina tocca qui la frontiera estrema della teologia cattolica: Dio non può smettere di essere buono, neppure dinanzi al rifiuto eterno delle creature. Non si tratta di negare la realtà dell’Inferno, ma di riconoscere che la sua pena stessa, pur terribile, è temperata dalla misericordia divina. Dio limita la pena all’intensità giusta, non alla crudeltà.
Per contro, nel Purgatorio, la stessa bontà di Dio diventa fiamma di consolazione: l’anima purificata è felice, perché riconosce la sapienza con cui Dio la plasma. È la gioia di chi si lascia guarire. San Tommaso d’Aquino spiega che “le anime purganti sono unite a Dio per la carità, e perciò si rallegrano del giusto ordine con cui Egli le purifica” (Suppl., q. 71, a. 2).
La giustizia di Dio non è mai separata dalla misericordia, e la pena non è mai fine a sé stessa: è strumento della grazia.
In queste parole della Santa c’è una verità che consola: la misericordia non si arresta ai confini della morte. Il male non ha l’ultima parola, perché l’amore di Dio è più profondo dell’abisso. Le anime del Purgatorio sono immerse in questo Amore, e da esso si lasciano purificare senza resistenza. Esse non soffrono contro Dio, ma in Dio.
La loro pena è il dolore del distacco, ma la loro gioia è il sapere che nulla si perde: ogni lacrima, ogni pentimento, ogni desiderio buono viene raccolto e trasformato in luce. Il loro fuoco è quello dell’Amore che non si ritira mai, che si piega, che purifica, che attende.
Questa giornata dell’Ottavario ci chiama a riconoscere la bontà di Dio anche nei passaggi oscuri della vita. Ogni prova è un invito alla fiducia.
Quando la grazia ci purifica attraverso il dolore, ricordiamo che ciò che ci appare come fuoco è in realtà la tenerezza di Dio che ci raffina. E quando preghiamo per i defunti, entriamo nel flusso di questa bontà che non si ritira: partecipiamo alla misericordia divina che continua ad agire, anche oltre la soglia della morte. La fede nel Purgatorio non nasce dal timore, ma dalla certezza che l’Amore non si arrende finché non ci ha resi simili a Lui.
Preghiera per offrire l’indulgenza plenaria per i defunti
Signore Gesù Cristo, Redentore dell’uomo e vincitore della morte, nel mistero del tuo Sangue prezioso hai purificato ogni colpa e aperto le porte del cielo.
Oggi, unito alla Chiesa pellegrina, ti offro l’indulgenza che la tua Sposa concede nel tuo Nome e per la potenza del tuo Amore.
Accoglila, ti prego, per l’anima di (dire il nome), o per quella che più desideri tu liberare, o per quella più dimenticata e sola,
perché possa contemplare il tuo volto nella pace.
Accetta, o Padre di misericordia, questo atto di fede e di carità, come riparazione dei miei peccati e come suffragio per i fratelli defunti.
Maria, Madre della speranza, accompagnali alla gioia eterna; e fa’ che anche noi, purificati nel tuo Figlio,
viviamo in questa vita con cuore penitente e giungiamo un giorno, insieme a loro,
alla luce che non tramonta. Amen.
Recita e rammenta questa Giaculatoria: «Vita breve, morte certa, del morire l’ora è incerta, un’anima sola si ha: se si perde che sarà? Se perdi il tempo che adesso hai, alla morte non lo avrai, Dio ti vede, Dio ti giudicherà, Paradiso o Inferno ti toccherà. Finisce tutto, finisce presto, l’eternità non finisce mai.»
SESTO GIORNO DI OTTAVARIO – 6 NOVEMBRE: “IL DESIDERIO CHE INCENDIA IL CIELO”
dal cap. VII–VIII del Trattato del Purgatorio: La violenza d’amore e la sapienza di Dio che ordina il Purgatorio
Più il cammino si inoltra, più il Purgatorio appare come un luogo del desiderio: non dell’attesa impotente, ma di un’ardente tensione verso Dio.
Santa Caterina, che sperimentò in sé la fiamma del divino amore, descrive con linguaggio quasi estatico la fame che spinge le anime verso il loro Signore. Esse vedono il Pane, ma non possono ancora gustarlo; e questo desiderio diventa fuoco, non di disperazione, ma di amore purissimo. La Santa ci invita a guardare questo incendio non con paura, ma con ammirazione: è il desiderio di Dio che crea in noi la vera vita.
Caterina scrive: «Trovano una conformità tanto unitiva con il loro Dio… che non si può dare ragione né figura che basti a chiarire questa cosa. […] Se in tutto il mondo non vi fosse se non un pane, il quale dovesse levare la fame a tutte le creature, e che solamente vedendolo si saziassero… e non potendolo vedere, la fame sempre crescerebbe… Ma le anime del Purgatorio hanno speranza di vedere il Pane e in tutto saziarsene. Perciò tanto patiscono fame e tanto stanno in pena, quanto staranno a potersi saziare di quel Pane, Gesù Cristo, vero Dio Salvatore, Amor nostro» (Trattato del Purgatorio, cap. VII, 1–4).
Il desiderio di Dio è inscritto nella natura stessa dell’anima umana: “Fecisti nos ad te, Domine, et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te” (Sant’Agostino, Confessiones, I, 1). Nel Purgatorio questo desiderio raggiunge la sua purezza assoluta. Le anime non possono più peccare, né deviare dal Bene; perciò il loro anelito verso Dio è perfetto e ininterrotto. Santa Caterina descrive questa tensione come “violenza d’amore”: un’urgenza divina che travolge ogni residuo di egoismo. È la dinamica stessa della carità, che tende irresistibilmente all’unione. La sapienza di Dio regge questo fuoco: Egli permette che l’anima arda finché ogni imperfezione sia consumata. Non per crudeltà, ma per fedeltà al proprio amore. Così il dolore e la gioia diventano una sola realtà: l’Amore che purifica amando.
Ogni vero amore porta in sé la ferita del desiderio. Non si ama senza bruciare. Nel Purgatorio questo desiderio è portato al suo estremo, ma è anche la certezza della salvezza. Le anime non temono più, non dubitano più, non si smarriscono più: sanno che il loro Amato le attende. Il dolore del Purgatorio non nasce dal castigo, ma dalla sproporzione tra il desiderio e il possesso: più vedono la luce, più ne sono assetate. Questa tensione verso Dio è il segreto di ogni vita spirituale autentica: più ci avviciniamo al Signore, più lo desideriamo. E quando questo desiderio diventa preghiera, allora il fuoco non consuma, ma illumina.
Il mondo moderno teme il desiderio, perché lo confonde con la mancanza. Santa Caterina ci insegna che il desiderio è invece la forma più alta della fede: l’attesa fiduciosa di Colui che verrà. Viviamo spesso come se bastassero i beni presenti, ma il cuore dell’uomo è più grande di tutto. In questi giorni di suffragio, chiediamo di avere la stessa sete delle anime purganti: la fame di Dio, la fame di santità, la fame di cielo. Pregare per i defunti significa lasciarsi contagiare dal loro desiderio: mentre noi chiediamo per loro la visione di Dio, essi chiedono per noi la grazia di desiderarla. Così la Chiesa viva e la Chiesa purgante si incontrano nella stessa preghiera, nello stesso amore che incendia il cielo.
Preghiera per offrire l’indulgenza plenaria per i defunti
Signore Gesù Cristo, Redentore dell’uomo e vincitore della morte, nel mistero del tuo Sangue prezioso hai purificato ogni colpa e aperto le porte del cielo.
Oggi, unito alla Chiesa pellegrina, ti offro l’indulgenza che la tua Sposa concede nel tuo Nome e per la potenza del tuo Amore.
Accoglila, ti prego, per l’anima di (dire il nome), o per quella che più desideri tu liberare, o per quella più dimenticata e sola, perché possa contemplare il tuo volto nella pace.
Accetta, o Padre di misericordia, questo atto di fede e di carità, come riparazione dei miei peccati e come suffragio per i fratelli defunti.
Maria, Madre della speranza, accompagnali alla gioia eterna; e fa’ che anche noi, purificati nel tuo Figlio,
viviamo in questa vita con cuore penitente e giungiamo un giorno, insieme a loro,
alla luce che non tramonta. Amen.
Recita e rammenta questa Giaculatoria: «Vita breve, morte certa, del morire l’ora è incerta, un’anima sola si ha: se si perde che sarà? Se perdi il tempo che adesso hai, alla morte non lo avrai, Dio ti vede, Dio ti giudicherà, Paradiso o Inferno ti toccherà. Finisce tutto, finisce presto, l’eternità non finisce mai.»
SETTIMO GIORNO DI OTTAVARIO – 7 NOVEMBRE: “LA PORTA SENZA CHIAVE” dal cap. IX–X del Trattato del Purgatorio: La necessità del Purgatorio e la natura terribile ma misericordiosa del suo fuoco Più si avanza nella lettura di Santa Caterina, più il Purgatorio si rivela come un mistero di luce inaccessibile. La Santa non nega la terribilità del fuoco, ma lo vede come la più alta manifestazione dell’amore divino. Non è Dio a chiudere la porta del Paradiso: è l’anima stessa che, vedendo la propria impurità, sceglie di fermarsi sulla soglia. La purezza dell’amore divino è tale che nulla di imperfetto può sostenerla. E tuttavia, in quella scelta di attesa, l’anima riconosce la misericordia di Dio che le permette di essere purificata. Il Purgatorio diventa allora un atto d’amore reciproco: Dio che aspetta, e l’anima che si prepara all’abbraccio.
Caterina scrive: «Vedo, quanto per parte di Dio, il Paradiso non aver porta: ma chi vi vuole entrare vi entra; perché Dio è tutto misericordia, e sta verso di noi con le braccia aperte per riceverci nella sua gloria. Ma ben vedo quella divina essenza di essere di tanta purità e nettezza, che l’anima, la quale in sé abbia tanta imperfezione, quanta sarebbe un minimo bruscolo, si getterebbe più presto in mille Inferni, che trovarsi in presenza della divina maestà con quella macchia. E perciò vedendo il Purgatorio ordinato per levarle esse macchie, vi si getta dentro, e le par trovare una gran misericordia» (Trattato del Purgatorio, cap. IX, 1–3). Queste righe contengono una delle più sublimi sintesi della dottrina cattolica sul Purgatorio. Dio non rinchiude l’uomo: è l’anima stessa che, illuminata dalla verità, riconosce la propria indegnità e sceglie liberamente la purificazione. Il Paradiso, dice Caterina, “non ha porta”: l’ostacolo non è in Dio, ma nella creatura. La teologia cattolica, da San Gregorio Magno a San Tommaso, insegna che l’anima purificata è attratta irresistibilmente dal Bene supremo; ma fintantoché porta in sé un disordine, non può sopportare quella luce senza dolore. Il fuoco del Purgatorio, dunque, non è pena inflitta da fuori, ma fuoco interiore di verità e di amore. Dio non condanna: Egli attira. Ed è questa attrazione stessa che brucia, perché la distanza tra la santità di Dio e la nostra imperfezione diventa sofferenza finché non è colmata. Il Purgatorio è l’ultimo dono della misericordia: la pedagogia della santità.
Il pensiero di Santa Caterina è insieme dolce e tremendo. Tremendo, perché ci mostra la serietà del peccato: basta un “bruscolo” d’imperfezione per rendere insopportabile la luce di Dio. Dolce, perché ci assicura che nessuna macchia è eterna: ogni ferita può essere sanata, ogni ombra dissolta. L’anima che si getta nel Purgatorio con gioia è come l’oro che accetta la fornace, sapendo che solo così brillerà. Il fuoco dell’amore non uccide, ma rende puri. Non è pena imposta, è scelta d’amore. Quando l’uomo si lascia purificare dalla grazia, anche nella vita presente, sperimenta già questo fuoco: la verità che brucia l’orgoglio, la pazienza che leviga l’impazienza, la carità che corregge la durezza. Oggi la Chiesa invita a guardare la vita alla luce del giudizio di Dio, non come minaccia, ma come purificazione. Ogni volta che ci confessiamo, ogni volta che perdoniamo, ogni volta che accettiamo una croce, viviamo un frammento di Purgatorio. Dio non chiude le porte: siamo noi che ci tratteniamo sulla soglia, finché non impariamo ad amare. Pregare per i defunti significa partecipare a questo movimento di amore che sale: Dio tende le braccia, e noi aiutiamo i fratelli a corrervi incontro. Il Purgatorio ci ricorda che la giustizia di Dio è misericordia in atto. E il fuoco che ci spaventa è, in realtà, lo stesso fuoco che illumina i santi.
Preghiera per offrire l’indulgenza plenaria per i defunti
Signore Gesù Cristo, Redentore dell’uomo e vincitore della morte, nel mistero del tuo Sangue prezioso hai purificato ogni colpa e aperto le porte del cielo.
Oggi, unito alla Chiesa pellegrina, ti offro l’indulgenza che la tua Sposa concede nel tuo Nome e per la potenza del tuo Amore.
Accoglila, ti prego, per l’anima di (dire il nome), o per quella che più desideri tu liberare, o per quella più dimenticata e sola, perché possa contemplare il tuo volto nella pace.
Accetta, o Padre di misericordia, questo atto di fede e di carità, come riparazione dei miei peccati e come suffragio per i fratelli defunti.
Maria, Madre della speranza, accompagnali alla gioia eterna; e fa’ che anche noi, purificati nel tuo Figlio,
viviamo in questa vita con cuore penitente e giungiamo un giorno, insieme a loro,
alla luce che non tramonta. Amen.
Recita e rammenta questa Giaculatoria: «Vita breve, morte certa, del morire l’ora è incerta, un’anima sola si ha: se si perde che sarà? Se perdi il tempo che adesso hai, alla morte non lo avrai, Dio ti vede, Dio ti giudicherà, Paradiso o Inferno ti toccherà. Finisce tutto, finisce presto, l’eternità non finisce mai.»
OTTAVO ED ULTIMO GIORNO DI OTTAVARIO – 8 NOVEMBRE: “IL FUOCO CHE FA DIO”
dal cap. XI–XIV del Trattato del Purgatorio: Il fuoco che divinizza, la gioia e il dolore perfetti, e l’esortazione ai viventi
L’ultimo passo dell’Ottavario è una contemplazione luminosa: l’amore di Dio che purifica è lo stesso che divinizza.
Caterina, ormai totalmente trasformata dal fuoco interiore, comprende che la pena non è altro che un atto d’amore spinto fino alla fine.
Nel Purgatorio, l’anima non solo viene mondato da ogni imperfezione, ma diventa conforme a Dio, partecipando del suo stesso modo di amare. È il compimento della beatitudine preparata dal Sangue di Cristo, che “lava e trasfigura”.
In queste pagine, la Santa si fa voce della speranza universale: nulla di ciò che è toccato da Dio resta imperfetto.
Caterina scrive: «Vedo sì gran conformità di Dio con l’anima, che quando la vede in quella purità nella quale Sua Maestà le creò, le dà un certo modo attrattivo d’affocato amore… Dio la tiene tanto al fuoco, che le consuma ogni imperfezione e la conduce alla perfezione di ventiquattro carati. Quando è purificata resta tutta in Dio, senza alcuna cosa in sé propria, e il suo essere è Dio. […] Le anime in Purgatorio hanno contento grandissimo e pena grandissima, e l’una cosa non impedisce l’altra.» (Trattato del Purgatorio, cap. XI–XIV).
Qui Caterina tocca il punto più alto della dottrina cattolica sulla santificazione. Il fine del Purgatorio non è soltanto la purificazione, ma la deiformazione, cioè la partecipazione reale alla vita divina. La Santa riprende in linguaggio mistico ciò che la teologia afferma con rigore: “Finis purgatorii est gloria” (Sant’Anselmo). L’anima, resa trasparente, non ha più nulla di suo: la sua volontà è quella di Dio, la sua luce è la Sua luce. San Tommaso lo dice in termini filosofici: “In patria voluntas beatorum est immutabiliter conformis divinae voluntati” (Summa theologiae, I-II, q. 5, a. 4).
Santa Caterina, invece, lo canta come esperienza viva: “Il suo essere è Dio”. Nel Purgatorio si compie ciò che la grazia aveva iniziato: la carità diventa sostanza dell’anima. È per questo che in esso convivono pena e gioia: il dolore è il segno che l’amore lavora, la gioia è la certezza che l’amore vincerà.
Le parole di Caterina sono come una finestra spalancata sull’eterno.
Il fuoco di Dio non brucia per vendicare, ma per unire. Le anime del Purgatorio non subiscono: si lasciano trasformare. E mentre la fiamma consuma, nasce in esse la pace: perché il dolore accettato nell’amore diventa somiglianza con Cristo Crocifisso. Caterina parla anche a noi: “Quello che l’uomo giudica perfezione, davanti a Dio è difetto” (cap. XIV).
Ci ricorda che la santità non è opera nostra, ma di Dio in noi. Solo quando smettiamo di resistere al fuoco dell’amore, comincia la vera vita spirituale. Così, il Purgatorio diventa figura dell’anima che si lascia amare fino a diventare amore.
Concludendo l’Ottavario, la Santa lancia un grido che attraversa i secoli: “O miseri, perché vi lasciate accecare da questo mondo?” (cap. XVII). Il suo invito è un atto di misericordia: non aspettare il Purgatorio per lasciarti purificare, ma vivilo già ora, nel quotidiano.
Ogni confessione sincera, ogni atto di umiltà, ogni dolore offerto in unione a Cristo è un frammento di fuoco purgativo che libera e divinizza. Pregare per i defunti significa riconoscere che anche noi abbiamo bisogno della stessa misericordia.
E mentre loro si avvicinano al volto di Dio, noi impariamo a vivere da risorti: con un cuore che arde, ma non si consuma. Il Purgatorio non è un abisso da temere, è la fucina dove l’Amore di Dio plasma i santi. Alla fine del cammino, resta solo una parola: Dio tutto in tutti (1 Cor 15,28).
Preghiera per offrire l’indulgenza plenaria per i defunti
Signore Gesù Cristo, Redentore dell’uomo e vincitore della morte, nel mistero del tuo Sangue prezioso hai purificato ogni colpa e aperto le porte del cielo.
Oggi, unito alla Chiesa pellegrina, ti offro l’indulgenza che la tua Sposa concede nel tuo Nome e per la potenza del tuo Amore.
Accoglila, ti prego, per l’anima di (dire il nome), o per quella che più desideri tu liberare, o per quella più dimenticata e sola, perché possa contemplare il tuo volto nella pace.
Accetta, o Padre di misericordia, questo atto di fede e di carità, come riparazione dei miei peccati e come suffragio per i fratelli defunti.
Maria, Madre della speranza, accompagnali alla gioia eterna; e fa’ che anche noi, purificati nel tuo Figlio,
viviamo in questa vita con cuore penitente e giungiamo un giorno, insieme a loro,
alla luce che non tramonta. Amen.
Recita e rammenta questa Giaculatoria: «Vita breve, morte certa, del morire l’ora è incerta, un’anima sola si ha: se si perde che sarà? Se perdi il tempo che adesso hai, alla morte non lo avrai, Dio ti vede, Dio ti giudicherà, Paradiso o Inferno ti toccherà. Finisce tutto, finisce presto, l’eternità non finisce mai.»