San Carlo Borromeo il vero Riformatore contro il protestantesimo e l’apostasia del suo tempo

“Durante l’episcopato di san Carlo, tutta la sua vasta Diocesi si sentì contagiata da una corrente di santità che si propagò al popolo intero. In che modo questo Vescovo, così esigente e rigoroso, riuscì ad affascinare e conquistare il popolo cristiano?
È facile rispondere: san Carlo lo illuminò e lo trascinò con l’ardore della sua carità. “Deus caritas est”, e dove c’è l’esperienza viva dell’amore, lì si rivela il volto profondo di Dio che ci attira e ci fa suoi.
Egli era consapevole che una seria e credibile riforma doveva cominciare proprio dai Pastori, affinché avesse effetti benefici e duraturi sull’intero Popolo di Dio.
In tale azione di riforma seppe attingere alle sorgenti tradizionali e sempre vive della santità della Chiesa cattolica: la centralità dell’Eucaristia, nella quale riconobbe e ripropose la presenza adorabile del Signore Gesù e del suo Sacrificio d’amore per la nostra salvezza; la spiritualità della Croce, come forza rinnovatrice, capace di ispirare l’esercizio quotidiano delle virtù evangeliche; l’assidua frequenza ai Sacramenti, nei quali accogliere con fede l’azione stessa di Cristo che salva e purifica la sua Chiesa; la Parola di Dio, meditata, letta e interpretata nell’alveo della Tradizione; l’amore e la devozione per il Sommo Pontefice, nell’obbedienza pronta e filiale alle sue indicazioni, come garanzia di vera e piena comunione ecclesiale.
Cari giovani, lasciate che vi rinnovi questo appello che mi sta molto a cuore: Dio vi vuole santi, perché vi conosce nel profondo e vi ama di un amore che supera ogni umana comprensione. Dio sa che cosa c’è nel vostro cuore e attende di vedere fiorire e fruttificare quel meraviglioso dono che ha posto in voi. Come san Carlo, anche voi potete fare della vostra giovinezza un’offerta a Cristo e ai fratelli. Come lui, potete decidere, in questa stagione della vostra vita, di “scommettere” su Dio e sul Vangelo.”
 (Benedetto XVI – Lettera “Lumen Caritas alla Chiesa ambrosiana nel 4° Centenario della canonizzazione di san Carlo Borromeo)

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26 ottobre 1570 attentato a san Carlo Borromeo, attentato contro la Fede


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E, continua Benedetto XVI nella Lettera: “L’epoca in cui visse Carlo Borromeo fu assai delicata per la Cristianità. In essa l’Arcivescovo di Milano diede un esempio splendido di che cosa significhi operare per la riforma della Chiesa. Molti erano i disordini da sanzionare, molti gli errori da correggere, molte le strutture da rinnovare; e tuttavia san Carlo si adoperò per una profonda riforma della Chiesa, iniziando dalla propria vita. È nei confronti di se stesso, infatti, che il giovane Borromeo promosse la prima e più radicale opera di rinnovamento.”

La figura di san Carlo è grandemente provocatoria, perché mette in crisi molti aspetti del modo di pensare e di vivere del mondo attuale. Non a caso affermiamo da sempre che sono i SANTI i veri Riformatori della Chiesa in ogni tempo, mentre – rivoluzionari – sono tutti coloro che pretesero e pretendono di “cambiare” la Chiesa. Carlo Borromeo, a fronte dell’avanzata protestante si rende subito conto che il vero problema non è “Lutero” in sé, ma sta nelle più svariate forme di concupiscenza, avidità, pigrizia, vizi d’ogni sorta, abbandono del SACRO di quanti, pur dicendosi cristiani e pur ricoprendo incarichi prestigiosi nella Chiesa, a causa dei vizi corrompevano l’immagine della santa Chiesa.

L’attenzione al gregge del cardinale di Santa Prassede – dal maggio 1577 in poi si firma così e sostituisce al simbolo araldico dei Borromeo la parola Humilitas – arriva fino a toccare il quotidiano di ogni singolo fedele, come la preoccupazione per chi si spostava per lavoro in “terre eretiche”, o il permesso di lavorare il legname necessario per i restauri all’interno della chiesa in caso di neve. Che si tratti di consigliare i sacerdoti su questioni apparentemente troppo minute per essere rilevanti (come l’invito ricorrente a scrivere in bella grafia, scegliendo fogli adeguati a essere rilegati) o su delicati temi dottrinari, l’intento è sempre lo stesso: rafforzare in chi lo ascolta la consapevolezza che essere cristiani significa essere stati toccati dall’amore divino.

Negli Acta Ecclesiae Mediolanensis  è raccolto tutto il lavoro del grande ed umile Riformatore, Lettere e moniti che divennero per tutta Europa un testo di riferimento per la vera e più autentica riforma della Chiesa. Egli “vede” e partecipa al concilio di Trento non tanto per accanirsi contro Lutero e i Protestanti, ma per dimostrare che con una vera Riforma di costumi soprattutto e con la FERMEZZA DOTTRINALE, il protestantesimo sarebbe decaduto da solo. In sostanza non bisognava foraggiarlo, ma contrastarlo con una vita santa e con la santa Dottrina della Chiesa Cattolica. In tal senso si prodigherà per combattere L’IGNORANZA sostenendo e collaborando alla stesura del Catechismo detto poi “tridentino”, il Catechismo Romano.

“Reverendo vicario – scrive in un messaggio datato 26 settembre 1574 – per iniziare i fedeli alla devozione della Compagnia del Santissimo Sacramento e riscaldarli ad abbracciarla con fervore, date ordine…”. Nell’epistolario il verbo “riscaldare” ricorre spesso; i curatori del libro, Armando e Roberto Nava, lo traducono con “stimolare a”, ma forse è meglio non trovare un sinonimo a una parola così ricca e affettivamente significativa, che getta una luce calda e familiare sull’attivismo del vescovo e sulla sua puntigliosa cura del particolare, facendo capire la differenza tra formalismo e carità che “urge” all’azione. Non a caso porta all’interno del Duomo milanese LA CONFRATERNITA DEL SANTO ROSARIO, appuntamento che lo vedrà spesso inginocchiato per primo davanti al Crocefisso a dire il Rosario insieme ai Fedeli.

UN SANTO RACCOMANDATO
San Carlo era quello che ad oggi molti chiamerebbero “raccomandato”.
“Facile fare il cardinale quando hai lo zio Papa!” qualcuno direbbe.
Eppure san Carlo, questo gigante di più di un metro e ottanta con la barba (a dispetto dell’iconografia), fu un esemplare uomo di Chiesa.
Nemico dell’eresia che danna, nemico del malcostume e del cattivo esempio; poteva tranquillamente crogiolarsi fra i lussi ma ha scelto di morire a meno di cinquant’anni, sfiancato dai digiuni.
Non sono le circostanze ma le scelte che determinano il tutto.

Da vescovo, Carlo ha un senso acuto del dovere del proprio stato di vita, e chiede questo anche ai suoi preti e ai fedeli laici, secondo la loro condizione. Visita per due volte tutte le parrocchie della diocesi, la più popolosa del mondo; fissa le visite nei mesi più caldi perché, ama dire, “è bello fare del bene nelle giornate che molti dedicano al riposo“. E siccome le ore più afose del pomeriggio invitano al sonno, in quelle ore, per non perdere tempo, viaggia. Ma per il Borromeo, la fedeltà al dovere del proprio stato di vita come forma propria dell’identità del cristiano è fondamentale e di vitale importanza per la vita della Chiesa stessa, contro il dilagare del protestantesimo. Aveva chiara la consapevolezza vivissima di che cosa significasse essere vescovo di una importante diocesi in tempi difficili di transizione, di riforma e di cambiamento: e proprio per questo cercò sempre di adeguare le sue scelte e le sue azioni a una vera “deontologia” che si mantenesse INTEGRA NELLA TRADIZIONE E NELLA CULTURA CATTOLICA, cui rimase fedele in maniera eroica e davanti alla quale seppe sacrificare tutto il resto.

Nelle discussioni in seno al concilio ecumenico di Trento emerse la volontà di riunire in un unico testo ufficiale le basi di tutti gli insegnamenti della Chiesa Cattolica:

  • “Mossi da tale stato di cose i Padri del Concilio Ecumenico Tridentino, con il vivo desiderio di adottare qualche rimedio salutare per un male così grave e pernicioso, non si limitarono a chiarire con le loro definizioni i punti principali della dottrina cattolica contro tutte le eresie dei nostri tempi, ma decretarono anche di proporre una certa formula e un determinato metodo per istruire il popolo cristiano nei rudimenti della fede, da adottare in tutte le chiese da parte di coloro cui spetta l’ufficio di legittimi pastori e insegnanti.” (Prefazione del Catechismo Romano, n°4)

Questa decisione fu presa nel corso della diciottesima sessione del Concilio Ecumenico (26 febbraio 1562) su suggerimento del cardinale San Carlo Borromeo che desiderava ardentemente una riforma del clero. Lasciando da parte i particolari che raccontano dell’attentato subito dal santo cardinale, è bene tuttavia sottolineare che la storia è vera. San Carlo Borromeo proprio a causa della riforma dei costumi del Clero, si beccò una scarica di pallottoloni…. non venne colpito a morte, ma la ferita gli procurò enormi problemi e molto dolore, ma divenne per lui anche l’emblema e il ricordo del martirio a cui era votato prima come vescovo, poi quando accettò la veste cardinalizia, simbolo della fedeltà al papato ed alla Chiesa in tutta la dottrina, contro ogni attentatore e mistificatore.

E’ per questo che troviamo davanti a noi un vero Santo valido in tutti i tempi. Egli rivalutò e difese il CELIBATO SACERDOTALE contro il tentativo protestante di abolirlo, facendo leva per altro proprio SUL VALORE DELLA FAMIGLIA CRISTIANA la cui unità dell’amore cristiano, veramente vissuto in coerenza, dava alla Chiesa sacerdoti santi… Per fare questo sa quanto sia importante L’ISTRUZIONE E LA FORMAZIONE CATTOLICA, da qui l’impegno per la creazione di seminari per il Clero e del Catechismo non solo per la loro formazione, ma anche per la formazione delle FAMIGLIE. Lo stesso san Pio V consegnerà simbolicamente il Catechismo AI LAICI, AI GENITORI impegnandoli a prendersi cura dei figli all’interno di una formazione cattolica fondata sulla TRADIZIONE della Chiesa e sulla Dottrina.

Durante la terribile peste del 1576 assiste personalmente i malati, senza temere il contagio, edificando i fedeli per il suo coraggio e la sua abnegazione assolvendo, benedicendo, incoraggiando.
Il 2 novembre del 1584 il santo Vescovo è colpito da grave febbre, di ritorno da una visita pastorale sul Lago Maggiore attraverso il Naviglio Grande, a bordo del famoso “Barchett” di Boffalora, dapprima sosta a Cassinetta di Lugagnano e poi a Corsico, per riprendersi. Indi, prosegue per la città ambrosiana in lettiga. Ma la febbre diventa un febbrone e alla sera del 3, alle dieci e mezza, si spegne. Aveva 46 anni.
Nel 1610 Papa Paolo V lo canonizza.
San Carlo Borromeo fu davvero un campione della Controriforma, una vita spesa per il cattolicesimo in difesa della Tradizione e della sana Dottrina, ma tutta intrisa di carità. Qualcuno l’ha definito l’anti Lutero per eccellenza tanto che – nella sua Diocesi – per molti anni il Protestantesimo non riuscì a porvi le sue velenose radici.

In sostanza la dinamica fu questa: laddove clero, fedeli laici e pastori vivevano nella corruzione, nei vizi, nell’apostasia, il Protestantesimo metteva le sue radici e faceva adepti nel gregge cattolico, depredandolo; ma laddove il clero, fedeli e pastori si impegnavano per una vera Riforma a partire da una consolidata conversione alla Tradizione ed alla Dottrina della Chiesa, RIMETTENDO AL CENTRO L’EUCARISTIA, L’ADORAZIONE AL CROCEFISSO E IL CULTO MARIANO…. il gregge veniva messo al sicuro, e il brigantaggio protestante FUGGIVA A GAMBE LEVATE, SUBENDO SCONFITTE MOLTO SIGNIFICATIVE.. Questa fu la tattica di san Carlo Borromeo, queste le sue armi vincenti.

Laudetur Jesus Christus


SOSTA – Perché l’eresia è ciò che offende di più Dio?

  1. San Carlo Borromeo dice con chiarezza“(…) da nessun’altra colpa è Dio più gravemente offeso, da nessuna provocato a maggiore sdegno quanto dal vizio delle eresie (…).”. (Conc.Prov. V, Pars I).
  2. Possono sembrare strane queste parole, ma se ci si riflette è così. L’eresia è ciò che snatura Dio. Essa pretende affermare che ciò che Dio ha rivelato non sia vero o, perlomeno, non sia del tutto vero. E’ come se gli altri dicessero cose ben diverse da come tu sei.
  3. L’eresia presenta un Dio falsificato e falso. L’eresia esige che si segua non il vero Dio, ma una sua copia creata dall’uomo.

 


4 novembre – San Carlo Borromeo
Nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, sul Lago Maggiore, era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l’uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Studente brillante a Pavia, venne poi chiamato a Roma, dove venne creato cardinale a 22 anni. Fondò a Roma un’Accademia secondo l’uso del tempo, detta delle «Notti Vaticane». Inviato al Concilio di Trento, nel 1563 fu consacrato vescovo e inviato sulla Cattedra di sant’Ambrogio di Milano, una diocesi vastissima che si estendeva su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Un territorio che il giovane vescovo visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli, preoccupandosi con somma carità che non vi si attecchisse l’eresia protestante. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Utilizzò le ricchezze di famiglia in favore dei poveri. Impose ordine all’interno delle strutture ecclesiastiche, difendendole dalle ingerenze dei potenti locali. Un’opera per la quale fu obiettivo di un fallito attentato. Durante la peste del 1576 assistette personalmente i malati. Appoggiò la nascita di istituti e fondazioni e si dedicò con tutte le forze al ministero episcopale guidato dal suo motto: «Humilitas», promosse la sana devozione del santo Rosario e dell’adorazione al Crocefisso del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, per combattere le eresie del suo tempo. Morì a 46 anni, consumato dalla malattia il 3 novembre 1584. “Le anime – diceva San Carlo Borromeo – si conquistano con le ginocchia”. Si conquistano cioè con la preghiera, e preghiera umile. Con questa somma carità e amore alla Verità, fu uno dei maggiori conquistatori di anime di tutti i tempi.

+ O Gloriosissimo San Carlo, modello per tutti di fede, di umiltà, di purità, di costanza nel patire, di ogni più eletta virtù, Voi che arricchito dall’Altissimo dei doni più eccelsi, tutti li impiegaste nel promuovere la gloria di Dio e la salvezza delle anime fino a restar vittima del vostro zelo, impetrateci dal Signore, vi supplichiamo, la grazia di essere vostri imitatori, come voi lo foste di Gesù Cristo. Otteneteci ancora, vi preghiamo, lo spirito di sacrificio, lo zelo indefesso per il bene dei nostri fratelli, la fedeltà a Dio, l’amore alla Chiesa, la rassegnazione nelle avversità e la perseveranza nel bene. E voi, Dio delle misericordie, e Padre di ogni consolazione, che vedete i mali onde è afflitta la cristiana famiglia, deh ! muovetevi a pietà di noi, soccorreteci e salvateci. Non guardate, no, ai meriti che non abbiamo, ma a quelli del vostro servo e nostro protettore San Carlo. Esaudite le sue preghiere a favor nostro, ora che trionfa nei Cieli, come esaudivate quelle che vi innalzava pel suo popolo quaggiù sulla terra.
Così sia. 1Pater, Ave e Gloria…

San Carlo Borromeo: NO Eucaristia a chi vive nel peccato


Dal Discorso tenuto da san Carlo, vescovo, nell’ultimo Sinodo
(Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, 1177-1178)
Vivere la propria vocazione
Tutti siamo certamente deboli, lo ammetto, ma il Signore Dio mette a nostra disposizione mezzi tali che, se lo vogliamo, possiamo far molto. Senza di essi però non sarà possibile tener fede all’impegno della propria vocazione.
Facciamo il caso di un sacerdote che riconosca bensì di dover essere temperante, di dover dar esempio di costumi severi e santi, ma che poi rifiuti ogni mortificazione, non digiuni, non preghi, ami conversazioni e familiarità poco edificanti; come potrà costui essere all’altezza del suo ufficio?
Ci sarà magari chi si lamenta che, quando entra in coro per salmodiare, o quando va a celebrare la Messa, la sua mente si popoli di mille distrazioni. Ma prima di accedere al coro o di iniziare la Messa, come si è comportato in sacrestia, come si è preparato, quali mezzi ha predisposto e usato per conservare il raccoglimento?
Vuoi che ti insegni come accrescere maggiormente la tua partecipazione interiore alla celebrazione corale, come rendere più gradita a Dio la tua lode e come progredire nella santità? Ascolta ciò che ti dico. Se già qualche scintilla del divino amore è stata accesa in te, non cacciarla via, non esporla al vento. Tieni chiuso il focolare del tuo cuore, perché non si raffreddi e non perda calore. Fuggi, cioè, le distrazioni per quanto puoi. Rimani raccolto con Dio, evita le chiacchiere inutili.
Hai il mandato di predicare e di insegnare? Studia e applicati a quelle cose che sono necessarie per compiere bene questo incarico.
Da’ sempre buon esempio e cerca di essere il primo in ogni cosa. Prèdica prima di tutto con la vita e la santità, perché non succeda che essendo la tua condotta in contraddizione con la tua prèdica tu perda ogni credibilità.
Eserciti la cura d’anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso.
Comprendete, fratelli, che niente è così necessario a tutte le persone ecclesiastiche quanto la meditazione che precede, accompagna e segue tutte le nostre azioni: Canterò, dice il profeta, e mediterò (cfr. Sal 100, 1 volg.). Se amministri i sacramenti, o fratello, medita ciò che fai. Se celebri la Messa, medita ciò che offri. Se reciti i salmi in coro, medita a chi e di che cosa parli. Se guidi le anime, medita da quale sangue siano state lavate; e «tutto si faccia tra voi nella carità» (1 Cor 16,14). Così potremo facilmente superare le difficoltà che incontriamo, e sono innumerevoli, ogni giorno. Del resto ciò è richiesto dal compito affidatoci. Se così faremo avremo la forza per generare Cristo in noi e negli altri.


L’incontro fra San Carlo e San Filippo in via del Paradiso

L’uno intellettuale e studioso, l’altro semplice e burlone: l’amicizia tra i due santi è testimoniata a Roma dai loro profili marmorei, proprio dove le loro strade tanto diverse si incrociarono, nel comune desiderio di servire il Signore.

Due volti, o meglio due profili. L’uno di fronte all’altro. Sembrano quasi parlarsi, in quel silenzioso marmo. Sono i profili di due santi: uno di San Filippo Neri (Firenze, 21 luglio 1515 – Roma, 26 maggio 1595), l’altro di San Carlo Borromeo (Arona, Novara, 1538 – Milano, 3 novembre 1584) di cui oggi ricorre la memoria liturgica. È interessante comprendere dove sono collocati questi profili marmorei: il luogo, infatti, racconta una storia davvero affascinante per diversi motivi. Primo fra tutti, forse, perché riguarda due personaggi, due santi, assai diversi fra loro ma con lo stesso desiderio del cuore: servire il Signore.

Ci troviamo a Roma. In uno dei quartieri più belli e caratteristici della Capitale: la Garbatella. Un quartiere non proprio centrale ma assai grazioso per il suo carattere artitettonico: piccole villette familiari e tanti alberi attorno, questa è la scenografia. Il tutto immerso in un silenzio un po’ surreale nella caotica Roma. Il tempo, qui, sembra essersi fermato agli anni ‘20 del Novecento, l’epoca in cui il quartiere fu costruito. Fra queste piccole villette, a un certo punto, si apre un piazzale con una chiesa: è la chiesa di San Filippo Neri, costruita tra il 1952 ed il 1955, su progetto dell’architetto Pier Luigi Maruffi e su suggerimento dell’allora sostituto alla Segreteria di Stato della Santa Sede Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI. Ma proprio vicino a questa chiesa moderna ne sorge una assai piccola: è la chiesetta dei Santi Isidoro ed Eurosia che per gli abitanti del quartiere è conosciuta però con il semplice nome de “la chiesoletta”. Nel 1800, una parte del tracciato di questo luogo sacro, cadeva nella cosidetta “Tenuta dei 12 Cancelli” di monsignor Alessandro Niccolai, ministro dell’Agricoltura sotto papa Gregorio XVI. Fu monsignor Niccolai a desiderare questa chiesa che doveva rappresentare un luogo di spiritualità per i contadini della sua tenuta e per il conforto dei pellegrini. La costruzione dell’edificio – su disegno dell’architetto Giuseppe Valadier  – iniziò intorno al 1818 per terminare nel 1822, anno in cui avvenne la consacrazione della chiesa.

Ma ciò che colpisce di più di questo tempio cattolico è la sua posizione: infatti, è stata costruita sul tragitto della famosa visita delle Sette Chiese, ideata dal santo fiorentino (ma romano d’adozione), e infine istituita ufficialmente da Papa Sisto V. Ed è proprio in quest’area che avvenne un incontro del tutto particolare. A descriverlo è Mariano Armellini, archeologo e storico della Capitale, che nelle pagine del suo Le chiese di Roma (1891), scrive: «È situata nel sito detto via Paradisi, come leggesi in una lapide in marmo bianco, a lettere dipinte a minio, posta nella parte meridionale della chiesa lungo la strada tra due medaglioni in marmo bianco, ove a rilievo in uno è scolpito s. Carlo Borromeo e nell’altro s. Filippo Neri, in memoria dell’incontro avvenuto tra i due santi nel 1575 in una visita che ambedue facevano delle Sette Chiese».

Un incontro di cui poco sappiamo, in verità, ma che comunque segnò profondamente le biografie dei due. Tra l’altro, fa un certo effetto tutto ciò visto anche la diversità dei due illustri personaggi: l’uno, intellettuale e studioso, San Carlo Borromeo; l’altro, fiorentino di nascita e romano d’adozione, semplice e “burlone”, San Filippo Neri. A testimoniare l’amicizia tra i due sono due oggetti conservati nelle stanze di San Filippo Neri nella chiesa di santa Maria in Vallicella (ora detta “Chiesa Nuova”): una mozzetta cardinalizia con una stola bianca del santo arcivescovo custodite in un’urna preziosa e il «Reliquiario del Card. Borromeo Vecchio»  (il «Vecchio»  sta per San Carlo per distinguerlo dal cardinale Federico, suo cugino). Si tratta di un medaglione ovale, a doppia faccia, incorniciato di diaspro e finiture in argento, citato tra l’altro in una deposizione del processo canonico per san Filippo Neri da Francesco Zazzara, fedele figlio spirituale del Neri: «Il Padre mi disse, mentre stava bene, che tutte le sue infermità procedevano dalla palpitazione del cuore; et che sia il vero che i medici lo tenevano, alcune volte, per spedito et la mattina era guarito. Et lui, il Padre, diceva che pregava Dio che li medici intendessero et conoscessero la sua infermità. (…) Et burlando con li medici, quando era guarito, diceva: “Non siete stato voi che mi avete guarito, ma questo reliquiario (il quale reliquiario era del cardinale Borromeo vecchio, dove ci era il legno della Croce et delle reliquie di S. Pietro et di S. Paolo et di S. Francesco); et la sera era morto, la mattina si levava et camminava senza bastone; et li medici dicevano che era vero che loro non l’havevano guarito».

Da queste righe si comprende bene quanto san Filippo Neri avesse nel cuore il suo amico cardinale. Un connubio celebrato non solo dall’iscrizione della piccola chiesa a Roma ma anche da molti artisti come – per citarne solo uno – Domenico Mondo (1723-1806) che dipinse i due santi in maniera sublime: sono al centro della tela, posti sopra una scalinata; si abbracciano con grande affetto; i loro volti sono l’uno di fronte all’altro. Sembrano davvero ricordare quei due medaglioni posti sul muro vicino la piccola chiesetta dei santi Isidoro ed Eurosia nella via delle Sette Chiese a Roma, nel quartiere Garbatella. Fra i due volti marmorei posti su quel muro, l’iscrizione «Via Paradisi». Sembra questa davvero l’unica iscrizione possibile da inserire fra quei due volti poiché è proprio vero, la via del Paradiso passa per i santi.


BELLEZZA DEL TEMPO – Per la Festa di San Carlo Borromeo leggi questa novella sulla pastorale contemporanea

La “pastorale” di San Carlo

A cosa serve la creatività umana, se si dimentica la centralità di Dio? A cosa serve interessarsi della vita terrena dell’uomo, se si dimentica il suo destino eterno? A cosa serve l’essere sacerdote, se si dimentica che non c’è cosa più grave del peccato? Un povero parroco di campagna alle prese con la creatività pastorale …e a rincuorarlo una frase letta tanto tempo fa.


Il convegno pastorale diocesano era terminato. Gran bella conferenza quella di monsignor (*). Bella, avvincente, erudita e piena di speranza. Il piano pastorale era chiaro: era stato nominato Dalla sfida alla proposta e questo titolo era tutto un programma, come si suole solitamente dire. Bisognava, cioè, superare lo scontro per accettare e adottare solo un metodo di proposta.

Don Aldo era stato lì presente. Il vescovo si era raccomandato che ci fossero tutti i parroci della diocesi, e lui, che era solito ubbidire e non fare storie, non aveva voluto mancare. C’era rimasto un po’ male, questo sì. Aveva comunicato al segretario del vescovo che la sua presenza avrebbe significato il non poter celebrare la Messa serale nella sua parrocchia di campagna. Ma il segretario aveva risposto: il vescovo desidera che si sia presenti al convegno, costi quel che costi.

Non per lui c’era rimasto male (la Messa l’aveva celebrata al mattino presto nella sua canonica), ma per quelle poche vecchiette che erano sempre lì, ogni sera, come fedelissime sentinelle, alla Messa serale. Don Aldo le ammirava. Certo, avevano i loro difetti, non raramente bisticciavano fra loro, erano piene di scrupoli e pronte ad importunarlo per un non nulla, ma erano lì, sempre presenti: non mancavano mai. Recitavano il Rosario e si ricordavano di tutti. Pregavano per il Papa, per la parrocchia, per le famiglie della parrocchia e anche per il loro parroco. E don Aldo era convinto che quelle Ave andassero dritte-dritte al Cuore della Vergine, perché conosceva le singole storie di quelle povere donne: nelle frequenti confessioni le ripetevano per filo e per segno credendo di raccontarle per la prima volta. Chi aveva il marito alcolizzato, chi il figlio lontano e divorziato, chi il nipote con problemi di droga, chi una figlia a combattere una brutta malattia.

Don Aldo pensava queste cose, quando, rientrato a sera nella sua canonica, si mise a rileggere gli appunti che aveva diligentemente preso durante il convegno e anche la fotocopia che era stata distribuita a tutti i presenti: sacerdoti, religiosi, religiose, operatori pastorali, diaconi permanenti, ministri straordinari, ecc…  Si soffermò su queste parole: … gli operatori pastorali agiranno conformemente alle direttive che sul piano metodologico l’Ufficio Pastorale Diocesano stilerà per l’anno (*). Si raccomanda la conoscenza del piano pastorale, di evitare qualsiasi improvvisazione, di curare il coordinamento con chi è chiamato a svolgere la stessa missione. Si raccomanda inoltre un’adeguata conoscenza sociologica del territorio in cui si dovrà agire e di fornirsi degli strumenti più moderni e creativi …

Don Aldo continuava a leggere, e mentre leggeva gli venivano spontaneamente delle riflessioni: Ma a cosa sta servendo tutto questo? Nella mia parrocchia sono rimasto solo io e le mie vecchiette. I giovani sono andati via. Per chi frequenta la Messa domenicale il rispetto della Legge di Dio è ormai solo un dettaglio … Don Aldo si rammaricava e leggendo sentiva dentro di sé che quelle parole erano vuote, che non centravano la questione, che continuando così -forse- si sarebbe perso molto. Poi si rimproverò: non poteva mettere in discussione tutto, che in fin dei conti la Chiesa si reggeva su Qualcun altro. S’impose di non pensarci più.

Quel giorno era il 4 novembre, la festa di san Carlo Borromeo. Don Aldo si diresse verso la sua piccola e sgangherata libreria, prese un vecchio libro, era una vita del grande Vescovo di Milano. Aprì a caso, uscì tanta polvere, era da tempo che non sfogliava quel libricino. Risaltò una frase di san Carlo sottolineata a matita, forse l’aveva evidenziata quand’era giovane. Chissà: forse quando era ancora seminarista: Le anime si conquistano con le ginocchia.

Don Aldo chiuse il vecchio libro. Sorrise, ma era un sorriso serio e concluse: questo era il piano pastorale di san Carlo!   


RICORDA CHE:

Le chiedo come sia possibile che chi ha ricevuto il dono della fede, e pertanto sia stato predestinato alla salvezza, possa fare naufragio e perdere la fede

Quesito

Salve fratello Angelo,
sono un Cristiano che ha ricevuto la grazia della salvezza in Cristo e il dono dello Spirito Santo promesso.
Ho bisogno di sapere da lei qualcosa che non riesco ancora ad intendere e sento che mi può aiutare.
Noi tutti siamo salvati per Grazia mediante la fede. Grazie all’ opera di Dio che ha compunto il nostro cuore mediante la sua Parola e per il suo Spirito.
Tuttavia nella Scrittura vedo che alcuni che sono stati riscattati e sono stati resi partecipi dello Spirito Santo, hanno rinnegato, sono naufragati in quanto alla fede.
Ora mi chiedo può un eletto perdere la salvezza essendo stato predestinato ad essere adottato come figlio? 
Del resto anche l apostolo Paolo afferma di sé stesso e di Timoteo che se avessero rinnegato il Signore li avrebbe a sua volta rinnegati davanti al Padre celeste. 
Parlo del rigetto della fede ricevuta, non le nostre mancanze che se confessate a Dio con cuore contrito vengono lavate dal prezioso sangue di Gesù Cristo. 
Coloro che credono per un tempo sono eletti o no? Eppure chiunque crede è nato da Dio, nessuno può dire Signore senza lo Spirito Santo. 
Grazie del suo servizio, un abbraccio in Cristo.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. sì, la Sacra Scrittura attesta che alcuni hanno fatto naufragio nella fede.
San Paolo lo dice in maniera molto chiara nella prima lettera a Timoteo: “Questo è l’ordine che ti do, figlio mio Timoteo, in accordo con le profezie già fatte su di te, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia, conservando la fede e una buona coscienza. Alcuni, infatti, avendola rinnegata, hanno fatto naufragio nella fede” Tm 1,18-19).
Ne dice anche il motivo: non hanno conservato una buona coscienza, hanno permesso alla corruzione di entrare nella loro vita.

2. In genere la corruzione nella fede è preceduta da corruzione morale.
Nostro Signore l’ha detto in maniera molto chiara: “E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate” (Gv 3,19-20).
L’espressione di Gesù “odia la luce” rimanda a coloro che, corrotta la loro vita e offuscata la luce della coscienza, vogliono cambiare la dottrina per conformarla alla loro vita.
È la storia di sempre. Anche oggi è sotto i nostri occhi.

3. Ugualmente la Sacra Scrittura parla di apostasia. E per apostasia si intende proprio l’abbandono della fede.
San Paolo dice: “Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti verrà l’apostasia e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione” (2 Ts 2,3)
Talvolta si apostata da Dio con la ribellione dell’anima ai suoi comandamenti, conservando ancora l’unione mediante la fede.
Altre volte invece è anche abbandono della fede in senso pieno e assoluto per cui si cessa di credere.

4. Tu chiedi come sia possibile che una persona, chiamata la fede e pertanto eletta e predestinata, possa perdere la fede.
C’è un equivoco a proposito del concetto di predestinazione.
Comunemente per predestinazione s’intende un disegno che in maniera fatalista giunge al suo obiettivo.
Talvolta, come fanno i protestanti, accompagnano al concetto di predestinazione la negazione della libertà dell’uomo.
Infatti Lutero ne Il Servo arbitrio dice che la volontà umana è come una bestia da soma posta fra due cavalieri. “Se la cavalca Dio, vuole e va dove Dio vuole (…). Se invece la cavalca Satana, vuole e va dove Satana vuole. E non è nella sua facoltà scegliere o cercarsi uno dei due cavalieri” (m. lutero, Il servo arbitrio, in Opere Scelte, 6, a cura di e. de michelis pintacuda, Claudiana, Torino 1993, p. 125). 
Di qui il concetto luterano di doppia predestinazione: alla salvezza o alla dannazione.
Giustamente ci si può domandare, come fai tu, se uno che è stato eletto e che viene cavalcato da Dio, per usare linguaggio di Lutero, possa perdere la fede e andare all’inferno. Sembra una contraddizione.

5. Ma non è questo invece il concetto vero di predestinazione.
Predestinare significa in generale ordinare una cosa al suo obiettivo, al suo fine.
Secondo il significato che San Paolo da a questa parola, per predestinazione si intende la libera ed eterna decisione di Dio di portare la creatura umana ad un obiettivo di ordine soprannaturale.
Dice infatti: “In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà” ( Ef 1,4.5).

6. Trattandosi di un obiettivo di ordine soprannaturale, la predestinazione è opera esclusiva di Dio.
Come per chi viene alla luce di questo mondo non c’è alcun intervento da parte di chi viene generato, così analogamente per chi viene elevato alla vita divina diventando per grazia figlio adottivo di Dio, non c’è nessun altra causa al di fuori dell’amore di Dio per lui.

7. Non c’è nessuna difficoltà a conciliare il concetto di predestinazione con la libertà umana perché Dio agisce rispettando la libertà che egli stesso ha dato all’uomo.
Egli la muove fortemente (fortiter) perché l’iniziativa e la conduzione dell’azione parte da lui. Nello stesso tempo la muove soavemente (et suaviter), sollecitando la volontà a dare il consenso rispettando la libertà.

8. La Sacra Scrittura dice che Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4).
Vale a dire: Dio  offre il suo piano di salvezza, chiamato anche di predestinazione, a tutti gli uomini. Ma alcuni lo rifiutano fin dall’inizio (“Venne nella sua casa, ma i suoi non l’hanno accolto”, Gv 1,11), altri lo rifiutano cammin facendo (“Alcuni, infatti, avendola rinnegata, hanno fatto naufragio nella fede”, Tm 1,18-19).

9. In coloro che – mossi da Dio e sollecitati dalla grazia – accolgono liberamente il piano della salvezza, Dio realizza e porta a compimento il piano della predestinazione.
Dice San Tommaso d’Aquino: “La predestinazione certissimamente e infallibilmente ottiene il suo effetto, e tuttavia non comporta coazione, nel senso che il suo effetto provenga in maniera costrittiva. (…).
Così dunque l’ordine della predestinazione è certo, e tuttavia non è abolito il libero arbitrio” (Somma teologica, I, 23, 6).

10. Pertanto avere la fede non significa ancora essere predestinati.
Sono predestinati in senso biblico e teologico solo quelli che si salvano, vale a dire solo coloro nei quali si compie la salvezza. In costoro non ci può essere assolutamente e in nessun modo naufragio.
Mentre il naufragio è possibile per chi ha ricevuto il dono della fede e ha iniziato il cammino di salvezza.
A questo cammino di salvezza fa riferimento a San Pietro quando dice: “Come bambini appena nati desiderate avidamente il genuino latte spirituale, grazie al quale voi possiate crescere verso la salvezza” (1 Pt 2,2).
Inoltre va ricordato che se si nega la libertà dell’uomo, il concetto di predestinazione viene falsato.

Ti ringrazio per il quesito tanto importante e prezioso.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo nella preghiera e ti benedico. 
Padre Angelo – dal sito AmiciDomenicani

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