Un’altra spina per papa Ratti (Pio XI) fu rappresentata dalla politica fortemente anticlericale e massone del governo messicano. Già nel 1914 furono iniziate vere persecuzioni nei confronti del clero e fu proibito ogni culto religioso (conseguentemente furono chiuse anche le scuole cattoliche). La situazione peggiorò nel 1917 sotto la presidenza Venustiano Carranza. Nel 1922 il nunzio apostolico fu espulso dal Messico. Le persecuzioni contro i cristiani portarono alla rivolta dei “cristeros” il 31 luglio 1926 a Oaxaca. Nel 1928 si sancì un accordo che riammetteva il culto cattolico ma non essendo stati rispettati i termini dell’accordo Pio XI condannò tali misure nel 1933 con l’enciclica Acerba Anima. Rinnovò la condanna nel 1937 con l’enciclica Firmissimam Constantiam.
Come si comportò il Vaticano durante la rivolta dei cristiani contro il governo Calles? Intervista con il giovane storico milanese Paolo Valvo.
Sul numero 40 di Tempi (2016) è apparso l’articolo José Sanchez Del Rio e i martiri guerrieri che prende spunto dai contenuti di un libro recentemente pubblicato: Pio XI e la Cristiada – Fede, guerra e diplomazia in Messico (1926-1929). Abbiamo intervistato l’autore, il giovane storico milanese Paolo Valvo.
Paolo Valvo, il suo libro Pio XI e la Cristiada è apparso nell’anno che segna il 90° anniversario dell’evento e la canonizzazione di José Sanchez Del Rio. Al suo interno si fa ampio riferimento alle fonti archivistiche della Santa Sede: che cosa apportano di nuovo alla storiografia su questo tema?
Le carte sul pontificato di Pio XI conservate presso gli archivi di Oltretevere ci permettono oggi di avere una visione piuttosto ampia e approfondita dell’atteggiamento che la Santa Sede assunse di fronte al conflitto “cristero”. Ne emerge a mio avviso una ricostruzione piuttosto distante da molti dei luoghi comuni che ancora oggi rischiano di condizionare la lettura di questa tragica pagina di storia del Novecento.
Conosciamo le dichiarazioni ufficiali di Papa Pio XI sulla Cristiada, molto equilibrate. Ma dentro di sé, era favorevole o contrario alla lotta armata dei cristeros?
Occorre tenere conto che la Chiesa messicana era assai divisa al suo interno quanto all’atteggiamento da tenere nei confronti delle autorità civili. La scelta di prendere le armi non era la sola possibile e non fu condivisa da diversi cattolici, così come dalla stragrande maggioranza dei vescovi. Di tutto questo Pio XI doveva tenere conto nell’elaborare il proprio giudizio. In ogni caso si può affermare che la sua posizione contemplasse da una parte la legittimità della ribellione sul piano dottrinale, dall’altra parte l’impossibilità per la Chiesa come tale (dal pontefice stesso fino all’ultimo sacerdote messicano) di compromettersi sul piano politico incoraggiando il movimento armato. Pio XI peraltro non dimenticò mai il principio prudenziale secondo il quale una rivolta anche “teoricamente lecita” poteva risultare “praticamente illecita” qualora priva di ragionevoli speranze di successo.
Negli anni è stato ripetuto e scritto che il Vaticano ha tradito i cristeros, spingendoli a deporre le armi quando avrebbero potuto vincere la loro guerra, e non riuscendo poi ad evitare che molti di loro fossero passati per le armi. Sono accuse giustificate?
Per tradire qualcuno occorre avere prima condiviso attivamente la sua causa per un certo tempo, cosa che in questo caso non si può dire sia avvenuta. La rivolta dei cristeros è scoppiata del tutto indipendentemente dalla Santa Sede, che anche in seguito non ha mai pensato di utilizzare la ribellione come un’arma di ricatto nei confronti del governo anticlericale. Va anzi sottolineato che Pio XI si mostrò molto duro verso quanti cercavano surrettiziamente di “mettergli in bocca” parole di approvazione per la rivolta armata. Il mito del tradimento dei cristeros non tiene conto di come la preoccupazione fondamentale del Papa – dopo tre anni di guerra ai quali si sovrapponeva la sospensione forzata del culto in tutto il Messico – fosse quella di preservare la fede del popolo messicano, soprattutto in quelle zone del Paese dove era più difficile ricorrere all’assistenza di un sacerdote. Anche l’idea che i cristeros fossero sul punto di vincere la guerra è un mito. È vero che le milizie cristere avevano ottenuto importanti risultati sul campo grazie a un impiego sapiente delle tecniche di guerriglia, ma è altrettanto vero che di fronte a un governo sostenuto politicamente, finanziariamente e militarmente dagli Stati Uniti d’America non sarebbe stato possibile alla distanza ottenere la vittoria. Di questo, in Vaticano, si era ben coscienti.
Perché la forma di protesta che la Chiesa messicana decise nel 1926 fu la sospensione dei servizi religiosi in tutto il paese? Che senso aveva?
Il senso di questa scelta era duplice: da una parte si voleva far vedere all’opinione pubblica e al mondo che le autorità civili non concedevano alla Chiesa la libertà necessaria per esercitare il proprio ministero spirituale, dall’altra parte si intendeva suscitare la mobilitazione dei cattolici, che con la loro azione avrebbero forse potuto ridurre a più miti consigli i loro governanti. Nel luglio del 1926, tuttavia, quando l’episcopato decide una sospensione generale del culto in tutto il Messico per protestare contro l’enforcement delle leggi anticlericali, succede qualcosa di imprevisto: a distanza di pochi giorni dalla chiusura delle chiese prendono piede i primi focolai spontanei di rivolta. La sospensione del culto rappresenta dunque la “miccia” per l’esplosione del conflitto.
Perché il Papa la approvò?
A questo proposito le carte vaticane rivelano un particolare di non poco conto: ciò che spinge Pio XI ad approvare la decisione dei vescovi è il fatto che essa gli viene presentata come condivisa da un’ampia maggioranza dell’episcopato. La preoccupazione del Papa per l’unità dei cattolici è in questo frangente l’elemento determinante. Le informazioni giunte a Roma al riguardo, tuttavia, non sono veritiere: lungi dall’essere una misura realmente condivisa dalla più gran parte dei vescovi, la sospensione del culto viene infatti sostanzialmente imposta a tutto l’episcopato (con una singolare operazione di manipolazione del consenso) da una minoranza particolarmente agguerrita e desiderosa di andare allo scontro con il governo, con il fondamentale appoggio dei gesuiti. Di questo clamoroso retroscena tuttavia il Vaticano si renderà conto solo anni dopo.
Nel 1937, quando alcuni discutono la possibilità di una ripresa della lotta armata, Pio XI pubblica la Firmissimam constantiam, che ribadisce la legittimità di principio della difesa violenta quando vengono attaccate certe libertà, come la libertà religiosa, ma la condiziona pragmaticamente alle circostanze, e lascia capire che il momento non è opportuno per una ripresa delle armi in Messico. Ma c’è un altro aspetto interessante: quando scrive che «la Chiesa, essendo una società di uomini, richiede, rispetto alla naturale esigenza della vita e del suo necessario incremento, una legittima libertà d’azione, e i suoi fedeli hanno diritto di trovare nella società civile possibilità di vivere in conformità ai dettami della loro coscienza». Si può dire che così Pio XI istituisce il diritto all’obiezione di coscienza?
Più che di pragmatismo (termine che può avere in sé anche una valenza di calcolo politico) credo si debba parlare di realismo: Pio XI, del tutto in linea con la dottrina tradizionale sulla guerra giusta e sulla ribellione contra tyrannum, afferma che la “difesa violenta” non deve causare mali maggiori di quelli che intende combattere, e deve inoltre avere una ragionevole probabilità di successo. Da questo punto di vista l’enciclica sembra guardare molto più alla Spagna della guerra civile che al Messico, che nel 1937 è un Paese sulla via della pacificazione religiosa de facto. Anche sui temi della libertas Ecclesiae e dell’obiezione di coscienza Pio XI si pone in continuità con il magistero precedente. La chiarezza del giudizio del Papa rende d’altra parte queste sue parole un punto di riferimento significativo per una riflessione sulla presenza dei cristiani nella società. Non è un caso che proprio questo passaggio della Firmissimam constantiam sia stato in seguito ripreso dalla dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, il che fa del magistero “messicano” di Papa Ratti una tappa decisiva nel complesso percorso verso la piena affermazione del diritto alla libertà religiosa da parte della Chiesa cattolica.
Alle classiche domande se la Santa Sede abbia seguito una linea coerente durante il conflitto, e se questa sia stata intransigente o conciliante; e se abbia avuto un ruolo passivo o decisivo nella conclusione del conflitto, cosa risponde il libro?
La linea seguita da Pio XI all’indomani della sospensione del culto pubblico e fino alla conclusione della Cristiada si può riassumere sinteticamente nel perseguimento della pacificazione del Paese sulla base di una riforma delle norme anticlericali della costituzione (che tuttavia avverrà solo nel 1992 sotto la presidenza di Carlos Salinas de Gortari). Solo a queste condizioni il Papa si mostra disposto a trattare con gli emissari governativi, che a più riprese sottopongono ai vescovi messicani proposte di accordo. Quindi il ruolo della Santa Sede nel promuovere il processo di pace che porta il 21 giugno 1929 alla conclusione dell’accordo tra l’episcopato e il governo è assolutamente centrale. Ciò detto, tenendo conto delle condizioni nelle quali l’accordo viene negoziato e infine concluso (con il contributo determinante della diplomazia statunitense), è lecito avanzare qualche riserva sulla sua effettiva rispondenza ai desiderata di Pio XI. Non si può d’altra parte trascurare il fatto che, a distanza di qualche anno dalla conclusione della Cristiada, lo stesso Pio XI si dirà convinto della necessità storica dell’accordo in questione.
La festa di Cristo Re e l’epopea dei Cristeros (di Cristina Siccardi)
La Solennità di Cristo Re dell’Universo nella Chiesa cattolica, secondo il calendario legato al rito liturgico di sempre, cade nell’ultima domenica di ottobre. Il Salvatore nacque Re e i Re Magi andarono proprio ad adorare non un Re, ma il Re, la cui Regalità sulle nazioni e sugli Stati è oggi messa in discussione in nome del concetto di libertà religiosa, figlio dell’Illuminismo e della visione massonica dell’esistenza umana.
La festa non è stata abolita, ma ha subito delle modifiche: nel nuovo calendario essa cade nell’ultima domenica dell’anno liturgico e sottolinea che la figura di Cristo rappresenta per i cattolici il Signore della storia e del tempo, perdendo quella concretezza di identità (non simbolica) della Regalità Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo.
Nel 1923 fu presentata una supplica a Pio XI, firmata da 340 cardinali, arcivescovi, vescovi e superiori generali; in essa si chiedeva: «Per riparare gli oltraggi fatti a Gesù Cristo dall’ateismo ufficiale, la Santa Chiesa si degni stabilire una festa liturgica che, sotto un titolo da essa definito, proclami solennemente i sovrani diritti della persona regale di Gesù Cristo, che vive nell’Eucaristia e regna, col Suo Sacro Cuore, nella società». Da qui nacque l’Enciclica Quas primas dell’11 dicembre 1925. Proprio sotto il Pontificato di Papa Ratti si scatenò una feroce persecuzione legata a Cristo Re, nella quale morirono 70/85.000 persone. Come conseguenza della politica anticlericale il numero di sacerdoti in Messico passò da circa 4.500 prima del 1926 a 334 nel 1934.
Nel 1917 venne promulgata in Messico una nuova Costituzione, ispirata a principi anticlericali, alla quale si rifece la presidenza di Don Plutarco Elìas Calles (1877-1945). Il «Nerone messicano» scatenò una tale persecuzione ai danni della Chiesa da ricordare le guerre di Vandea. Ebbe inizio la guerra civile (1926-1929), meglio conosciuta come Movimiento cristero. La rivolta dei Cristeros è chiamata anche guerra Cristera o Cristiada. Il nome Cristeros, contrazione di Cristos Reyes, fu dato spregiativamente dalle autorità governative ai ribelli, a motivo del loro grido di battaglia: «¡Viva Cristo Rey!».
Le logge contro le chiese, le leggi della plutocrazia contro le tradizioni della fede, eppure questa tragica vicenda fa parte degli omissis della storia: tutto si conosce della Shoah, nulla del martirio dei Cristeros. Qualcuno oggi, però, ha osato fare un film, boicottato in Europa. Si tratta di Cristiada: il regista è Dean Wright, gli attori: Peter O’Toole, Andy Garcia, Eva Longoria, Catalina Sandino Moreno, Oscar Isaac. Il produttore del Kolossal è il messicano Pablo Jose Barroso: 40 milioni di dollari, la produzione più impegnativa della storia del cinema messicano.
La persecuzione contro i messicani cattolici fu una vera ecatombe: fedeli, sacerdoti, parroci di villaggi, seminaristi, monaci barbaramente uccisi. Alcuni sono già stati canonizzati, altri beatificati o attendono di esserlo. Ai sacerdoti che lasciavano in vita venivano tagliate le braccia, per impedire che potessero celebrare la Santa Messa. Padre David Uribe Velasco (1889-1927) fu strappato al suo gregge. Il generale governativo Castrejon propose ai parrocchiani di riscattare il sacerdote consegnando tremila pesos. Furono raccolti, ma invano: si pretendeva un pubblico atto di apostasia e di adesione alla scismatica chiesa patriottica.
San David Uribe rifiutò, fu sottoposto a lunghe torture, tra le quali il supplizio della graticola; spirò la domenica delle Palme. Le sue ultime parole furono: «la morte piuttosto che rinnegare il Vicario di Cristo, io amo il Papa! Viva il Papa!». Si badi «io amo il Papa! Viva il Papa!» e non «Pio XI», perché, come sosteneva anche san Giovanni Bosco (1815-1888), i massoni possono tollerare che si inciti ad una figura precisa di Papa, ma non al Pontefice come istituzione.
LA STORIA DEL CINEMA.
«Cristiada», la rivolta per difendere la fede – di Luca Pellegrini 21 marzo 2012
Le logge contro le chiese, un sedicente illuminismo riformista contro una vituperata metafisica, le leggi della plutocrazia contro le tradizioni della fede: un periodo turbolento si scatena nella prima metà del ’900 in Messico, quando la massoneria al potere si scaglia contro un cattolicesimo radicato. Fu la guerra dei cosiddetti cristeros, il cui nome deriva da Cristos Reyes, i «Cristi-Re», come gli avversari definivano con intento spregiativo gli insorti cattolici che combattevano al grido di «Viva Cristo Re!», riprendendo il tema della regalità di Cristo, all’epoca molto popolare e in sintonia con l’istituzione della festa di Cristo Re proclamata nel 1925 da Pio XI.Una guerra civile nata con l’imposizione di leggi laiciste e oppressive volute dal nuovo presidente messicano, massone e intransigente, il generale Plutarco Elías Calles.
Lotta contro la Chiesa, le sue autonomie e le cosiddette «primitive» credenze del popolo al centro del programma presidenziale, condotto con rigidità assoluta e violenze ripetute, tali da far passare alla storia il personaggio con il nomignolo, poco lusinghiero, di Nerone messicano. Aveva, in effetti, incendiato una nazione e scatenato l’esercito governativo mandandolo a caccia, con vera furia iconoclasta, di fedeli e sacerdoti, che avevano addirittura proclamato la sospensione del culto pubblico.Su quei fatti ancora poco divulgati, e poco nobili per tutti, che finirono con una resa comune gravida di conseguenze, in cui brillarono intolleranze e fanatismi, ma anche molti dei martiri della terra messicana, Cristiada apre un sipario tragico e magniloquente.
La rivolta, come il film, inizia nel 1926 e si conclude, anche se non definitivamente (strascichi della storia ancora gravano sul Messico moderno), nel 1929, con l’accordo tra Governo e Santa Sede, che voleva evitare ulteriori spargimenti di sangue. Dean Wright firma con questo soggetto impegnativo la sua prima regia – fino ad oggi una vita al servizio degli effetti speciali – e per l’occasione viene chiamato un cast di stelle cine-televisive: Peter O’Toole, Andy Garcia, Eva Longoria, Catalina Sandino Moreno, Oscar Isaac, convinti dall’intraprendente, giovane produttore messicano Pablo Jose Barroso per una produzione da 40 milioni di dollari («la più impegnativa nella storia del cinema messicano»), che ha occupato maestranze e tecnici locali per trentasei settimane.Un profluvio di musica, di lacrime, di pallottole, di eroismi piccoli e grandi, di frasi grondanti sentimenti, conversioni e testimonianze di fede, per «un film uscito dal cuore – confessa il produttore nel corso della proiezione di ieri all’Augustinianum di Roma – e non da un calcolo politico. Per dare un’immagine autentica del popolo messicano, del mio popolo, della sua lotta per la libertà di culto e di religione ed evitare che questo passato ritorni».
Uscite previste? «Il 20 aprile in Messico, il primo giugno negli Stati Uniti (col titolo For greater glory)». E in Europa? «Non abbiamo per ora nessuna certezza che riusciremo a farlo uscire». Alla fine il film uscì….
LETTERA ENCICLICA
ACERBA ANIMI
AI VENERABILI FRATELLI
ARCIVESCOVI E VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
DEGLI STATI FEDERATI DEL MESSICO
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA:
SULLA PERSECUZIONE DELLA CHIESA
IN MESSICO.
PIO PP. XI
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE
La dolorosa ansietà per le tristissime condizioni presenti di tutta la società umana non attenua la Nostra particolare sollecitudine per i diletti figli della Nazione Messicana e specialmente per voi, Venerabili Fratelli, tanto più meritevoli delle Nostre premure paterne in quanto vi trovate da così lungo tempo vessati da gravissime persecuzioni.
Già all’inizio del Nostro Pontificato, seguendo l’esempio del venerato Nostro Predecessore, Ci adoperammo con ogni sforzo per allontanare la temuta applicazione di quelle disposizioni cosiddette « costituzionali » che la Santa Sede era stata più volte costretta a condannare come gravemente lesive dei diritti più elementari e inalienabili della Chiesa e dei fedeli; e a tale intento procurammo altresì che un Nostro Rappresentante risiedesse in cotesta Repubblica.
Ma mentre altri Governi in questi ultimi tempi gareggiavano nel riannodare accordi con la Santa Sede, quello del Messico precludeva ogni via ad intese, anzi nel modo più inaspettato veniva meno alle promesse poco prima fatte per iscritto, e bandiva ripetutamente i Nostri Rappresentanti, mostrando con ciò quali fossero le sue intenzioni verso la Chiesa. Così si giunse alla più rigorosa applicazione dell’art. 130 della « Costituzione », contro la quale, perché estremamente ostile alla Chiesa, come risulta dalla Nostra Enciclica « Iniquis afflictisque » del 18 novembre 1926, la Santa Sede aveva dovuto protestare nel modo più solenne.
Furono quindi promulgate gravi pene contro i trasgressori dell’articolo deplorato; e, con nuova offesa contro la Gerarchia della Chiesa, si procurò che ogni Stato della Confederazione determinasse il numero dei sacerdoti, ai quali sarebbe permesso l’esercizio del sacro ministero sia in pubblico come in privato.
Di fronte a così ingiuste e intolleranti ingiunzioni, che avrebbero assoggettato la Chiesa Messicana all’arbitrio dello Stato e del Governo ostili alla religione cattolica, voi, Venerabili Fratelli, deliberaste di sospendere il culto in pubblico; e nello stesso tempo invitaste i fedeli a protestare efficacemente contro l’ingiusta imposizione del Governo. Voi, per la vostra apostolica fermezza foste quasi tutti espulsi dalla Repubblica, e doveste assistere dalla terra d’esilio alle lotte e al martirio dei vostri sacerdoti e del vostro gregge; mentre quei pochissimi di voi, che quasi miracolosamente poterono rimanere nascosti nelle proprie diocesi, riuscirono di efficace incoraggiamento ai fedeli con il loro nobilissimo esempio di invitta fermezza.
Di queste cose Noi già parlammo in solenni allocuzioni, in pubblici discorsi e più diffusamente nella citata Enciclica « Iniquis afflictisque », confortati dalla grande ammirazione destata in tutto il mondo dal nobile coraggio dimostrato dal clero nell’amministrare i Sacramenti ai fedeli, fra mille pericoli, anche della stessa vita, e dal non minore eroismo di numerosi fedeli i quali, a costo di inaudite sofferenze e incontrando ingenti danni, coadiuvarono volenterosamente i loro sacerdoti.
Noi intanto non mancammo di incoraggiare con parole e consigli la legittima cristiana resistenza dei sacerdoti e dei fedeli, esortandoli a placare, con la penitenza e la preghiera, la giustizia di Dio, affinché la Sua misericordiosa Provvidenza abbreviasse la prova. In pari tempo invitammo ad unirsi alle Nostre preghiere per i fratelli messicani i Nostri figli di tutto il mondo; i quali, con ardore ammirabile, corrisposero pienamente al Nostro invito.
Né tralasciammo di ricorrere altresì a quei mezzi umani, che erano a Nostra disposizione, per venire in sollievo ai nostri diletti figli; e mentre lanciavamo un appello al mondo cattolico, perché desse soccorso, anche con generose oblazioni, ai fratelli messicani perseguitati, insistemmo presso i Governi, con i quali siamo in relazioni diplomatiche, perché considerassero l’anormale e grave condizione di tanti fedeli.
Di fronte alla ferma e generosa resistenza degli oppressi, il Governo cominciò a far intendere in diversi modi che non sarebbe stato alieno dal venire a intese, pur di uscire da una condizione di cose ch’esso non poteva modificare in suo favore. A questo punto, benché ammaestrati da una dolorosa esperienza a non fare affidamento su simili promesse, dovemmo tuttavia domandarCi se fosse conveniente al bene delle anime che si continuasse nella sospensione del culto in pubblico. Tale sospensione, se era riuscita efficace protesta contro gli arbitrii del Governo, tuttavia, ove si fosse ancora prolungata, avrebbe potuto portare gravi danni sia all’ordinamento civile, sia a quello religioso. Quel che più conta, tale sospensione, secondo gravissime notizie che Ci pervenivano da fonti varie ed ineccepibili, portava serio nocumento per i fedeli; i quali, privati di molti aiuti spirituali necessari alla vita cristiana, e non di rado costretti ad omettere i propri doveri religiosi, correvano il rischio di rimanere prima lontani, poi come avulsi dal sacerdozio, e quindi dalle sorgenti stesse della vita soprannaturale. Si aggiunga che la prolungata assenza di quasi tutti i Vescovi dalle loro Diocesi non poteva non essere causa di rilassamento della disciplina ecclesiastica, specialmente in momenti di tanta tribolazione per la Chiesa Messicana, quando cioè il clero ed i fedeli abbisognavano maggiormente della guida di coloro « che lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa di Dio » [1].
Quando perciò, nel 1929, il Magistrato Supremo del Messico pubblicamente dichiarò che il Governo, con l’applicazione delle note leggi, non intendeva distruggere « l’identità della Chiesa » né misconoscere la Gerarchia Ecclesiastica, Noi, avendo unicamente di mira la salute delle anime, credemmo opportuno di non lasciar passare questa occasione, che sembrava offrire una possibilità di riconoscimento dei diritti della Gerarchia. Quindi, vedendo tornare qualche speranza di rimediare ai mali maggiori, e sembrando che venissero meno i principali motivi che avevano indotto l’Episcopato a sospendere il culto in pubblico, Ci domandammo se non fosse il caso di ordinarne la ripresa. Con ciò non si intendeva certamente accettare le leggi messicane circa il culto, né ritirare le proteste fatte contro le leggi medesime, e tanto meno desistere dalla lotta contro di esse: si trattava soltanto, di fronte alle mutate dichiarazioni del Governo, di abbandonare (prima che potesse tornar nocivo ai fedeli) uno dei mezzi di resistenza, ricorrendo invece ad altri che fossero ritenuti più opportuni.
Ma purtroppo, come tutti sanno, ai Nostri desideri e voti non corrisposero la sospirata pace e l’auspicato accomodamento. Si continuò invece a punire e ad imprigionare Vescovi, Sacerdoti e fedeli, contro lo spirito col quale si era concluso il « modus vivendi ». Con somma afflizione vedemmo che non solo non si richiamarono dall’esilio tutti i Vescovi, ma anzi qualche altro fu espulso oltre confine, senza neppure l’apparenza di legalità; in alcune diocesi non si restituirono né chiese né seminari, né episcòpi, né altri edifici sacri; nonostante le esplicite promesse, furono abbandonati alle più crudeli vendette degli avversari sacerdoti e laici che con fermezza avevano difeso la fede.
Inoltre, appena revocata la sospensione del culto, si notò ben presto un inasprimento della campagna della stampa contro il Clero, la Chiesa e contro Dio stesso; ed è risaputo come la Santa Sede abbia dovuto riprovare e proscrivere una di tali pubblicazioni che, per immoralità sacrilega e per l’aperto scopo di propaganda irreligiosa e calunniatrice, aveva superato ogni misura.
A ciò si aggiunga che non solo nelle scuole primarie è proibito per legge l’insegnamento religioso, ma non di rado si tenta di spingere coloro che devono concorrere ad educare le future generazioni, perché si facciano banditori di dottrine irreligiose e immorali, costringendo così i genitori a gravi sacrifici per tutelare l’innocenza della loro prole. A tale proposito, mentre benediciamo di cuore questi genitori cristiani e tutti i buoni maestri che li coadiuvano, torniamo a raccomandare caldamente a voi, Venerabili Fratelli, al clero secolare e regolare, a tutti i fedeli, di seguire con ogni sforzo la questione scolastica e la formazione della gioventù, specialmente di quella del popolo, più bisognosa perché maggiormente esposta ai pericoli della propaganda atea, massonica e comunista; persuadendovi che la vostra patria sarà quale voi la formerete nei vostri giovani.
Ma un punto ancora più vitale della Chiesa si è cercato di colpire: l’esistenza cioè del Clero e della Gerarchia cattolica, col tentativo di eliminarla gradatamente dalla Repubblica. Così la Costituzione Messicana, come abbiamo più volte deplorato, mentre proclama la libertà di pensiero e di coscienza, prescrive, con la più manifesta contraddizione, che ogni Stato della Repubblica Federale debba determinare il numero dei sacerdoti, ai quali si permette l’esercizio del sacro ministero, non solo nelle pubbliche chiese, ma persino tra le pareti domestiche. Tale enormità viene ancora aggravata dai modi con cui si procede all’applicazione della legge.
Infatti, se la Costituzione vuole che si determini il numero dei sacerdoti, dispone tuttavia che tale determinazione debba corrispondere alle necessità religiose dei fedeli e del luogo; né prescrive che si debba in ciò trascurare la Gerarchia ecclesiastica; come, del resto, fu esplicitamente riconosciuto nelle dichiarazioni del « modus vivendi ». Orbene, nello Stato di Michoacan, fu stabilito un sacerdote per ogni 33.000 fedeli; nello Stato di Chihuahua, uno per ogni 45.000; nello Stato di Chiapas uno per ogni 60.000, mentre in quello di Vera Cruz dovrebbe esercitare il ministero un solo sacerdote per ogni centomila abitanti. Ognuno vede se con siffatte restrizioni sia possibile attendere all’amministrazione dei Sacramenti a così numerosi fedeli, sparsi per lo più in uno sterminato territorio. Eppure i persecutori, quasi pentiti di aver soverchiamente largheggiato, imposero ulteriori limitazioni; e alcuni Governi ordinarono la chiusura di non pochi Seminari, la confisca delle canoniche, e in altri luoghi determinarono altresì i sacri templi e il territorio, dove soltanto sarebbe consentito al Sacerdote approvato di esercitare il ministero.
Il fatto nondimeno che più manifestamente scopre l’intenzione di voler distruggere la stessa Chiesa Cattolica, è l’esplicita dichiarazione, pubblicata in alcuni Stati, che l’Autorità civile, nel concedere la licenza di esercizio, non riconosce nessuna Gerarchia, esclude anzi positivamente dalla possibilità di esercitare il ministero sacro tutti i Gerarchi, cioè i Vescovi e persino coloro che avessero esercitato l’ufficio di Delegati Apostolici.
Abbiamo voluto brevemente riepilogare i punti principali della grave condizione imposta alla Chiesa del Messico, perché quanti amano l’ordine e la pace dei popoli, vedendo come una così inaudita persecuzione non sia molto dissimile, specialmente in alcuni Stati, da quella scatenatasi nelle infelici regioni della Russia, traggano, da questa iniqua coincidenza d’intenti, nuovo ardore per arginare la fiumana sovvertitrice di ogni ordine sociale.
In pari tempo intendiamo dare una nuova prova a voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i diletti figli del Messico, della paterna sollecitudine con la quale vi seguiamo nella vostra tribolazione: sollecitudine che Ci ispirò le istruzioni impartitevi nel gennaio scorso per mezzo del Nostro Cardinale Segretario di Stato, e comunicatevi poi dal Nostro Delegato apostolico. Infatti, trattandosi di questioni strettamente connesse con la religione, è senza dubbio Nostro dovere e Nostro diritto stabilire le ragioni e le norme, alle quali tutti coloro che si gloriano del nome cattolico hanno l’obbligo di ottemperare. E qui Ci preme ricordare come, dettando tali istruzioni, abbiamo tenuto nella debita considerazione tutte le notizie e le indicazioni che Ci venivano sia dai fedeli, sia dalla Gerarchia; e diciamo tutte, fino a quelle che sembravano invocare il ritorno, come nel 1926, ad una norma di condotta più severa con la totale sospensione del culto pubblico in tutta la Repubblica.
Pertanto, in merito alla pratica da seguire, non essendo il numero dei sacerdoti ugualmente ristretto in ogni Stato, né essendo ugualmente offesi i diritti della Gerarchia ecclesiastica, ne consegue che, secondo la diversità dell’applicazione degli infausti decreti, debba altresì essere diverso l’atteggiamento della Chiesa e dei Cattolici. A questo proposito Ci sembra giusto tributare speciali lodi a quei Vescovi Messicani che, secondo le notizie pervenuteCi, hanno sapientemente interpretato le istruzioni che abbiamo ripetutamente inculcato. E ciò vogliamo dichiarare, perché se taluno, spinto più dall’ardore della difesa della propria fede che non dalla prudenza, necessaria soprattutto in momenti così delicati, dal diverso modo di agire nelle diverse circostanze, avesse supposto nei Vescovi intendimenti contraddittori, si persuada ora che tale accusa è del tutto infondata. Tuttavia, poiché qualsivoglia restrizione del numero dei sacerdoti è pur sempre una grave violazione dei diritti divini, occorrerà che i Vescovi, il clero e gli stessi cattolici continuino a protestate con ogni loro energia contro tale violazione, usando di tutti i mezzi legittimi; anche se queste proteste non avranno efficacia sugli uomini del Governo, varranno a persuadere i fedeli, e specialmente i meno istruiti, che lo Stato, così operando, offende le libertà della Chiesa, alle quali questa non potrà mai rinunciare, nemmeno innanzi alla violenza dei persecutori.
Quindi, come con grande soddisfazione abbiamo letto le diverse proteste recentemente sollevate dai Vescovi e dai Sacerdoti delle diocesi colpite dalle deplorate disposizioni governative, così Noi stessi torniamo ad aggiungervi le Nostre al cospetto del mondo intero, ed in modo particolare innanzi ai Governi di tutte le Nazioni, affinché considerino che la persecuzione del Messico, oltre che offesa a Dio, alla sua Chiesa e alla coscienza di una popolazione cattolica, è anche un incentivo al sovvertimento sociale, a cui mirano le associazioni dei negatori di Dio.
Intanto, allo scopo di porre qualche rimedio alle calamitose circostanze che affliggono la Chiesa nel Messico, dobbiamo valerCi di quei mezzi che ancora restano in Nostra mano, perché, conservandosi in ogni luogo, per quanto si può, l’esercizio del culto divino in pubblico, la luce della fede e il sacro fuoco della carità non restino estinti in quelle povere popolazioni. Sono inique certamente le leggi, sono empie, come abbiamo già detto, e condannate da Dio, per tutto quello che perfidamente ed empiamente sottraggono ai diritti di Dio e della Chiesa nel governo delle anime; tuttavia sarebbe senza dubbio mosso da vano e infondato timore colui che credesse di cooperare alle inique disposizioni legislative qualora, subendone la vessazione, domandasse al Governo, che ciò impone, di potere esercitare il culto; e quindi ritenesse esser proprio dovere astenersi assolutamente da simile richiesta. Tale erronea opinione e tale condotta, portando ad una totale sospensione del culto, arrecherebbero senza dubbio un grandissimo danno a tutto il gregge dei fedeli.
È da osservare, infatti, che approvare tale iniqua legge o dare ad essa spontaneamente una vera e propria cooperazione, è senza dubbio illecito e sacrilego; ma è assolutamente diverso il caso di chi soggiace a tali ingiuste prescrizioni soltanto contro la propria volontà e protesta; anzi fa di tutto, da parte propria, per diminuire i disastrosi effetti dell’infausta legge. Infatti il sacerdote si trova costretto a chiedere quel permesso senza il quale gli sarebbe impossibile esercitare il sacro ministero per il bene delle anime; tale imposizione egli forzatamente subisce soltanto per evitare un male maggiore. La sua condotta quindi non è molto differente da quella di colui, il quale, essendo spogliato delle sue cose, si vede costretto a domandare all’ingiusto spogliatore che gli consenta almeno l’uso di esse.
Ed invero, il pericolo di una « formale cooperazione », anzi di una qualsivoglia approvazione della citata legge, viene, in quanto è necessario, rimosso dalle proteste anzidette, energicamente espresse da questa Sede Apostolica, da tutto l’Episcopato e dal Popolo Messicano. A queste poi si aggiungono le cautele del sacerdote stesso, il quale, benché già canonicamente istituito al sacro ministero dal proprio Vescovo, è costretto a chiedere al Governo la possibilità di esercitare il culto, e ben lungi dall’approvare la legge, che ingiustamente impone tale richiesta, vi si assoggetta materialmente — come suol dirsi — soltanto per eliminare un ostacolo all’esercizio del sacro ministero: ostacolo che condurrebbe, come si è detto, alla totale cessazione del culto e quindi a un danno estremo per tante anime.
In modo non molto dissimile i primi fedeli e i sacri ministri, come è riferito dalla storia, chiedevano, offrendo anche qualche compenso, il permesso di visitare e confortare i martiri detenuti nelle carceri e di amministrare i Sacramenti, senza che alcuno avesse mai potuto pensare che essi, con ciò, in qualche modo approvassero o condividessero la condotta dei persecutori.
Tale è, certa e sicura, la dottrina della Chiesa; se però l’attuazione di essa riuscisse di scandalo ad alcuni fedeli, sarà vostro dovere, Venerabili Fratelli, illuminarli accuratamente e diligentemente. Se poi, anche dopo che voi avrete fatto questa opera di chiarimento e di persuasione, esponendo questa Nostra direttiva, qualcuno rimarrà ostinatamente nella propria falsa opinione, sappia che in tal modo difficilmente può sfuggire alla taccia di disubbidiente e di ostinato.
Continuino dunque tutti in quella unità di intenti e di ubbidienza, già altra volta da Noi ampiamente e con viva soddisfazione lodata nel clero; e rimosse le incertezze e i timori, spiegabili nei primi momenti della persecuzione, i sacerdoti, con il già provato spirito di abnegazione, rendano sempre più intenso il loro sacro ministero, particolarmente fra la gioventù e il popolo, procurando di far opera di persuasione e di carità, soprattutto fra gli avversari della Chiesa, che la combattono perché la ignorano.
A tale proposito nuovamente raccomandiamo un punto che Ci sta grandemente a cuore; la necessità cioè di istituire e di dare sempre maggiore incremento all’Azione Cattolica [2], secondo le direttive impartite, per Nostro mandato, dal Nostro Delegato apostolico; lavoro, questo, senza dubbio difficile negli inizi e specialmente nelle presenti circostanze, lavoro talora lento nel produrre i desiderati effetti, ma necessario e ben più efficace di qualsiasi altro mezzo, come dimostra l’esperienza di tutte le Nazioni, passate esse pure attraverso la prova delle persecuzioni religiose.
Ai Nostri diletti figli messicani raccomandiamo di tutto cuore l’unione più intima con la Chiesa e la sua Gerarchia, da prestare con la docilità agli insegnamenti e alle direttive di essa. Non tralascino occasione di ricorrere ai Sacramenti, fonti di grazia e di virtù; s’istruiscano nelle verità religiose; implorino da Dio misericordia per la loro sventurata Nazione e sentano l’obbligo e l’onore di cooperare all’apostolato sacerdotale nelle file dell’Azione Cattolica.
Un elogio tutto particolare vogliamo tributare a coloro che, sia del clero secolare e regolare, sia del laicato cattolico, mossi da ardente zelo della religione e mantenendosi del tutto obbedienti a questa Sede Apostolica, hanno scritto pagine gloriose nella recente storia della Chiesa del Messico; in pari tempo li esortiamo vivamente nel Signore a voler continuare a difendere i sacrosanti diritti della Chiesa, con quella generosa abnegazione di cui hanno dato sì nobili esempi e secondo le norme da questa Sede Apostolica loro indicate.
Ma non possiamo terminare questa Enciclica senza volgerCi particolarmente a voi, Venerabili Fratelli, fedeli interpreti del Nostro pensiero, per dirvi che Ci sentiamo tanto più strettamente uniti a voi, quanto maggiori sono le pene che incontrate nel vostro apostolico ministero; sicuri che sapendovi vicini al cuore del Vicario di Gesù Cristo, ne proverete conforto ed incitamento a perseverare nella santa ed ardua impresa di condurre a salvamento il gregge affidatovi. Ed affinché la grazia di Dio sempre vi assista e la Sua Misericordia vi sorregga, con ogni paterno affetto a voi e ai diletti figli, così duramente provati, impartiamo l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 29 settembre, dedicazione di San Michele Arcangelo, dell’anno 1932, undecimo del Nostro Pontificato.
PIUS PP. XI
[1] Act., XI, 28.
[2] Cfr. etiam Epist. Apost. « Paterna sane sollicitudo », d. 2 Febr. a. MDCCCCXXVI.