Benedetto XVI Catechesi integrale dedicate agli Apostoli

Cari Amici, dal 15 marzo al 13 dicembre 2006, Benedetto XVI ha dedicato una serie di Catechesi sugli Apostoli iniziando con una Catechesi monumentale sulla Cattedra di Pietro il 22 febbraio, terminando con Timoteo e Tito, i frutti santi della predicazione di san Paolo. Tutto il materiale qui raccolto viene dalla fonte ufficiale del sito Vaticano alla sezione dedicata a Benedetto XVI, alla voce Udienze, vedi qui, raccolto in questo comodo pdf per aver modo di avere una lettura continuata e meditativa.

INDICE

  • 22 febbraio 2006: La Cattedra di Pietro, dono di Cristo alla sua Chiesa
  • 15 marzo 2006: La volontà di Gesù sulla Chiesa e la scelta dei dodici
  • 22 marzo 2006: Gli Apostoli, testimoni e inviati di Cristo
  • 29 marzo 2006: Il dono della “Comunione”
  • 5 aprile 2006: Il servizio alla comunione
  • 26 aprile 2006: La comunione nel tempo: la Tradizione
  • 3 maggio 2006: La Tradizione Apostolica
  • 10 maggio 2006: La Successione Apostolica
  • 17 maggio 2006: Pietro, il pescatore
  • 24 maggio 2006, Pietro, l’apostolo
  • 7 giugno 2006: Pietro, la roccia su cui Cristo ha fondato la Chiesa
  • 14 giugno 2006: Andrea, il Protoclito
  • 21 giugno 2006: Giacomo, il Maggiore
  • 28 giugno 2006: Giacomo, il Minore
  • 5 luglio 2006: Giovanni, figlio di Zebedeo
  • 9 agosto 2006: Giovanni, il teologo
  • 23 agosto 2006: Giovanni, il veggente di Patmos
  • 30 agosto 2006: Matteo
  • 6 settembre 2006: Filippo
  • 27 settembre 2006: Tommaso
  • 4 ottobre 2006: Bartolomeo
  • 11 ottobre 2006: Simone il Cananeo e Giuda Taddeo
  • 18 ottobre 2006: Giuda Iscariota e Mattia
  • 25 ottobre 2006: Paolo, profilo dell’uomo e dell’apostolo
  • 8 novembre 2006: Paolo, la centralità di Gesù Cristo
  • 15 novembre 2006: Paolo, lo spirito nei nostri cuori
  • 22 novembre 2006: Paolo, la vita nella Chiesa
  • 13 dicembre 2006: Timoteo e Tito, i più vicini collaboratori di Paolo

Qui non possiamo pubblicare le 60 pagine delle Udienze-Catechesi citate nell’Indice, per questo vi offriamo il formato pdf che le raccoglie tutte, a seguire ve ne postiamo solo tre e che riteniamo assai utili per comprendere anche come dobbiamo meditare gli eventi che stiamo vivendo… una sull’Apocalisse e con quale spirito leggerla; le altre due sulla vera Tradizione, sul come intenderla e viverla correttamente… il resto lo troverete, integralmente, nel pdf scaricabile qui gratuitamente

SCARICA QUI IL FORMATO INTEGRALE PDF DI TUTTE LE CATECHESI di Benedetto XVI sugli Apostoli

UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 23 agosto 2006
Giovanni, il veggente di Patmos

Cari fratelli e sorelle,
nell’ultima catechesi eravamo arrivati alla meditazione sulla figura dell’apostolo Giovanni. Avevamo dapprima cercato di vedere quanto si può sapere della sua vita. Poi, in una seconda catechesi, avevamo meditato il contenuto centrale del suo Vangelo, delle sue Lettere: la carità, l’amore. E oggi siamo ancora impegnati con la figura di Giovanni, questa volta per considerare il Veggente dell’Apocalisse. E facciamo subito un’osservazione: mentre né il Quarto Vangelo né le Lettere attribuite all’Apostolo recano mai il suo nome, l’Apocalisse fa riferimento al nome di Giovanni ben quattro volte (cfr 1, 1.4.9; 22, 8). È evidente che l’Autore, da una parte, non aveva alcun motivo per tacere il proprio nome e, dall’altra, sapeva che i suoi primi lettori potevano identificarlo con precisione. Sappiamo peraltro che, già nel III secolo, gli studiosi discutevano sulla vera identità anagrafica del Giovanni dell’Apocalisse. Ad ogni buon fine, lo potremmo anche chiamare “il Veggente di Patmos”, perché la sua figura è legata al nome di questa isola del Mar Egeo, dove, secondo la sua stessa testimonianza autobiografica, egli si trovava come deportato “a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù” (Ap 1, 9). Proprio a Patmos, “rapito in estasi nel giorno del Signore” (Ap 1, 10), Giovanni ebbe delle visioni grandiose e udì messaggi straordinari, che influiranno non poco sulla storia della Chiesa e sull’intera cultura cristiana. Per esempio, dal titolo del suo libro – Apocalisse, Rivelazione – furono introdotte nel nostro linguaggio le parole “apocalisse, apocalittico”, che evocano, anche se in modo improprio, l’idea di una catastrofe incombente.

Il libro va compreso sullo sfondo della drammatica esperienza delle sette Chiese d’Asia (Efeso, Smirne, Pergamo, Tiàtira, Sardi, Filadelfia, Laodicéa), che sul finire del I secolo dovettero affrontare difficoltà non lievi – persecuzioni e tensioni anche interne – nella loro testimonianza a Cristo. Ad esse Giovanni si rivolge mostrando viva sensibilità pastorale nei confronti dei cristiani perseguitati, che egli esorta a rimanere saldi nella fede e a non identificarsi con il mondo pagano, così forte. Il suo oggetto è costituito in definitiva dal disvelamento, a partire dalla morte e risurrezione di Cristo, del senso della storia umana. La prima e fondamentale visione di Giovanni, infatti, riguarda la figura dell’Agnello, che è sgozzato eppure sta ritto in piedi (cfr Ap 5, 6), collocato in mezzo al trono dove già è assiso Dio stesso. Con ciò, Giovanni vuol dirci innanzitutto due cose: la prima è che Gesù, benché ucciso con un atto di violenza, invece di stramazzare a terra sta paradossalmente ben fermo sui suoi piedi, perché con la risurrezione ha definitivamente vinto la morte; l’altra è che lo stesso Gesù, proprio in quanto morto e risorto, è ormai pienamente partecipe del potere regale e salvifico del Padre. Questa è la visione fondamentale. Gesù, il Figlio di Dio, in questa terra è un Agnello indifeso, ferito, morto. E tuttavia sta dritto, sta in piedi, sta davanti al trono di Dio ed è partecipe del potere divino. Egli ha nelle sue mani la storia del mondo. E così il Veggente vuol dirci: abbiate fiducia in Gesù, non abbiate paura dei poteri contrastanti, della persecuzione! L’Agnello ferito e morto vince! Seguite l’Agnello Gesù, affidatevi a Gesù, prendete la sua strada! Anche se in questo mondo è solo un Agnello che appare debole, è Lui il vincitore!

Una delle principali visioni dell’Apocalisse ha per oggetto questo Agnello nell’atto di aprire un libro, prima chiuso con sette sigilli che nessuno era in grado di sciogliere. Giovanni è addirittura presentato nell’atto di piangere, perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo (cfr Ap 5, 4). La storia rimane indecifrabile, incomprensibile. Nessuno può leggerla. Forse questo pianto di Giovanni davanti al mistero della storia così oscuro esprime lo sconcerto delle Chiese asiatiche per il silenzio di Dio di fronte alle persecuzioni a cui erano esposte in quel momento. È uno sconcerto nel quale può ben riflettersi il nostro sbigottimento di fronte alle gravi difficoltà, incomprensioni e ostilità che pure oggi la Chiesa soffre in varie parti del mondo. Sono sofferenze che la Chiesa certo non si merita, così come Gesù stesso non meritò il suo supplizio. Esse però rivelano sia la malvagità dell’uomo, quando si abbandona alle suggestioni del male, sia la superiore conduzione degli avvenimenti da parte di Dio. Ebbene, solo l’Agnello immolato è in grado di aprire il libro sigillato e di rivelarne il contenuto, di dare senso a questa storia apparentemente così spesso assurda. Egli solo può trarne indicazioni e ammaestramenti per la vita dei cristiani, ai quali la sua vittoria sulla morte reca l’annuncio e la garanzia della vittoria che anch’essi senza dubbio otterranno. A offrire questo conforto mira tutto il linguaggio fortemente immaginoso di cui Giovanni si serve.

Al centro delle visioni che l’Apocalisse espone ci sono anche quelle molto significative della Donna che partorisce un Figlio maschio, e quella complementare del Drago ormai precipitato dai cieli, ma ancora molto potente. Questa Donna rappresenta Maria, la Madre del Redentore, ma rappresenta allo stesso tempo tutta la Chiesa, il Popolo di Dio di tutti i tempi, la Chiesa che in tutti i tempi, con grande dolore, partorisce Cristo sempre di nuovo. Ed è sempre minacciata dal potere del Drago. Appare indifesa, debole. Ma mentre è minacciata, perseguitata dal Drago è anche protetta dalla consolazione di Dio. E questa Donna alla fine vince. Non vince il Drago. Ecco la grande profezia di questo libro, che ci dà fiducia! La Donna che soffre nella storia, la Chiesa che è perseguitata alla fine appare come Sposa splendida, figura della nuova Gerusalemme dove non ci sono più lacrime né pianto, immagine del mondo trasformato, del nuovo mondo la cui luce è Dio stesso, la cui lampada è l’Agnello.

Per questo motivo l’Apocalisse di Giovanni, benché pervasa da continui riferimenti a sofferenze, tribolazioni e pianto – la faccia oscura della storia -, è altrettanto permeata da frequenti canti di lode, che rappresentano quasi la faccia luminosa della storia. Così, per esempio, vi si legge di una folla immensa, che canta quasi gridando: “Alleluia! Ha preso possesso del suo Regno il Signore, il nostro Dio, l’Onnipotente. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché son giunte le nozze dell’Agnello, e la sua sposa è pronta” (Ap 19, 6-7). Siamo qui di fronte al tipico paradosso cristiano, secondo cui la sofferenza non è mai percepita come l’ultima parola, ma è vista come punto di passaggio verso la felicità e, anzi, essa stessa è già misteriosamente intrisa della gioia che scaturisce dalla speranza. Proprio per questo Giovanni, il Veggente di Patmos, può chiudere il suo libro con un’ultima aspirazione, palpitante di trepida attesa. Egli invoca la venuta definitiva del Signore: “Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22, 20). È una delle preghiere centrali della cristianità nascente, tradotta anche da san Paolo nella forma aramaica: “Marana tha”. E questa preghiera “Signore nostro, vieni!” (1 Cor 16, 22) ha diverse dimensioni. Naturalmente è anzitutto attesa della vittoria definitiva del Signore, della nuova Gerusalemme, del Signore che viene e trasforma il mondo. Ma, nello stesso tempo, è anche preghiera eucaristica: “Vieni Gesù, adesso!”. E Gesù viene, anticipa questo suo arrivo definitivo. Così con gioia diciamo nello stesso tempo: “Vieni adesso e vieni in modo definitivo!”. Questa preghiera ha anche un terzo significato: “Sei già venuto, Signore! Siamo sicuri della tua presenza tra di noi. È una nostra esperienza gioiosa. Ma vieni in modo definitivo!”. E così, con san Paolo, con il Veggente di Patmos, con la cristianità nascente, preghiamo anche noi: “Vieni, Gesù! Vieni e trasforma il mondo! Vieni già oggi e vinca la pace!”. Amen!

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UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 26 aprile 2006

La comunione nel tempo: la Tradizione

Cari fratelli e sorelle,
grazie per il vostro affetto! Nella nuova serie di catechesi, iniziata poco tempo fa, cerchiamo di capire il disegno originario della Chiesa voluta dal Signore, per comprendere così meglio anche la nostra collocazione, la nostra vita cristiana, nella grande comunione della Chiesa. Finora abbiamo capito che la comunione ecclesiale è suscitata e sostenuta dallo Spirito Santo, custodita e promossa dal ministero apostolico. E questa comunione, che noi chiamiamo Chiesa, non si estende solo a tutti i credenti di un certo momento storico, ma abbraccia anche tutti i tempi e tutte le generazioni. Quindi abbiamo una duplice universalità: l’universalità sincronica – siamo uniti con i credenti in tutte le parti del mondo – e anche una universalità cosiddetta diacronica, cioè: tutti i tempi appartengono a noi, anche i credenti del passato e i credenti del futuro formano con noi un’unica grande comunione. Lo Spirito appare come il garante della presenza attiva del mistero nella storia, Colui che ne assicura la realizzazione nel corso dei secoli. Grazie al Paraclito l’esperienza del Risorto, fatta dalla comunità apostolica alle origini della Chiesa, potrà sempre essere vissuta dalle generazioni successive, in quanto trasmessa e attualizzata nella fede, nel culto e nella comunione del Popolo di Dio, pellegrino nel tempo. E così noi adesso, nel tempo pasquale, viviamo l’incontro con il Risorto, non solo come una cosa del passato, ma nella comunione presente della fede, della liturgia, della vita della Chiesa. In questa trasmissione dei beni della salvezza, che fa della comunità cristiana l’attualizzazione permanente, nella forza dello Spirito, della comunione originaria, consiste la Tradizione apostolica della Chiesa. Essa è detta così perché è nata dalla testimonianza degli Apostoli e della comunità dei discepoli al tempo delle origini, è stata consegnata sotto la guida dello Spirito Santo negli scritti del Nuovo Testamento e nella vita sacramentale, nella vita della fede, e ad essa – a questa Tradizione, che è tutta la realtà sempre attuale del dono di Gesù – la Chiesa continuamente si riferisce come al suo fondamento e alla sua norma attraverso la successione ininterrotta del ministero apostolico.

Gesù, ancora nella sua vita storica, limitava la sua missione alla casa d’Israele, ma faceva già capire che il dono era destinato non solo al popolo d’Israele, ma a tutto il mondo e a tutti i tempi. Il Risorto affida, poi, esplicitamente agli Apostoli (cfr Lc 6,13) il compito di fare discepole tutte le nazioni, garantendo la sua presenza e il suo aiuto fino alla fine dei tempi (cfr Mt 28,19s). L’universalismo della salvezza richiede, peraltro, che il memoriale della Pasqua sia celebrato senza interruzione nella storia fino al ritorno glorioso del Cristo (cfr 1 Cor 11,26). Chi attualizzerà la presenza salvifica del Signore Gesù mediante il ministero degli apostoli – capi dell’Israele escatologico (cfr Mt 19,28) – e attraverso l’intera vita del popolo della nuova alleanza? La risposta è chiara: lo Spirito Santo. Gli Atti degli Apostoli – in continuità col disegno del Vangelo di Luca – presentano dal vivo la compenetrazione fra lo Spirito, gli inviati di Cristo e la comunità da essi radunata. Grazie all’azione del Paraclito gli Apostoli e i loro successori possono realizzare nel tempo la missione ricevuta dal Risorto: “Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso…” (Lc 24,48s.). “Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). E questa promessa, all’inizio incredibile, si è realizzata già nel tempo degli Apostoli: “Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui” (At 5,32).

E’ dunque lo Spirito stesso che, mediante l’imposizione delle mani e la preghiera degli Apostoli, consacra e invia i nuovi missionari del Vangelo (così, ad esempio, in At 13,3s. e 1 Tm 4,14). E’ interessante osservare che, mentre in alcuni passi si dice che Paolo stabilisce i presbiteri nelle Chiese (cfr At 14,23), altrove si afferma che è lo Spirito a costituire i pastori del gregge (cfr At 20,28). L’azione dello Spirito e quella di Paolo risultano così profondamente compenetrate. Nell’ora delle decisioni solenni per la vita della Chiesa, lo Spirito è presente per guidarla. Questa presenza-guida dello Spirito Santo si sente particolarmente nel Concilio di Gerusalemme, nelle cui parole conclusive risuona l’affermazione: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi…” (At 15,28); la Chiesa cresce e cammina “nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo” (At 9,31). Questa permanente attualizzazione della presenza attiva di Gesù Signore nel suo popolo, operata dallo Spirito Santo ed espressa nella Chiesa attraverso il ministero apostolico e la comunione fraterna, è ciò che in senso teologico s’intende col termine Tradizione: essa non è la semplice trasmissione materiale di quanto fu donato all’inizio agli Apostoli, ma la presenza efficace del Signore Gesù, crocefisso e risorto, che accompagna e guida nello Spirito la comunità da lui radunata.

La Tradizione è la comunione dei fedeli intorno ai legittimi Pastori nel corso della storia, una comunione che lo Spirito Santo alimenta assicurando il collegamento fra l’esperienza della fede apostolica, vissuta nell’originaria comunità dei discepoli, e l’esperienza attuale del Cristo nella sua Chiesa. In altre parole, la Tradizione è la continuità organica della Chiesa, Tempio santo di Dio Padre, eretto sul fondamento degli Apostoli e tenuto insieme dalla pietra angolare, Cristo, mediante l’azione vivificante dello Spirito: “Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2,19-22). Grazie alla Tradizione, garantita dal ministero degli Apostoli e dei loro successori, l’acqua della vita scaturita dal costato di Cristo e il suo sangue salutare raggiungono le donne e gli uomini di tutti i tempi. Così, la Tradizione è la presenza permanente del Salvatore che viene a incontrarci, redimerci e santificarci nello Spirito mediante il ministero della sua Chiesa, a gloria del Padre.

Concludendo e riassumendo, possiamo dunque dire che la Tradizione non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti. Il grande fiume che ci conduce al porto dell’eternità. Ed essendo così, in questo fiume vivo si realizza sempre di nuovo la parola del Signore, che abbiamo sentito all’inizio dalle labbra del lettore: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

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UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 3 maggio 2006

La Tradizione Apostolica

Cari fratelli e sorelle,
in queste Catechesi vogliamo un po’ capire che cosa sia la Chiesa. L’ultima volta abbiamo meditato sul tema della Tradizione apostolica. Abbiamo visto che essa non è una collezione di cose, di parole, come una scatola di cose morte; la Tradizione è il fiume della vita nuova che viene dalle origini, da Cristo fino a noi, e ci coinvolge nella storia di Dio con l’umanità. Questo tema della Tradizione è così importante che vorrei ancora oggi soffermarmi su di esso: è infatti di grande rilievo per la vita della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha rilevato, al riguardo, che la Tradizione è apostolica anzitutto nelle sue origini: “Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. Perciò Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta la rivelazione del sommo Dio (cfr 2 Cor 1,20 e 3,16-4,6), ordinò agli Apostoli di predicare a tutti, comunicando loro i doni divini, il Vangelo come fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale” (Cost. dogm. Dei Verbum, 7). Il Concilio prosegue annotando come tale impegno sia stato fedelmente eseguito “dagli Apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalle labbra di Cristo, dal vivere insieme con Lui e dalle sue opere, sia ciò che avevano imparato per suggerimento dello Spirito Santo” (ibid.). Con gli Apostoli, aggiunge il Concilio, collaborarono anche “uomini della loro cerchia, i quali, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, misero in iscritto l’annunzio della salvezza” (ibid.).
Capi dell’Israele escatologico, anch’essi dodici quante erano le tribù del popolo eletto, gli Apostoli continuano la “raccolta” iniziata dal Signore, e lo fanno anzitutto trasmettendo fedelmente il dono ricevuto, la buona novella del Regno venuto agli uomini in Gesù Cristo. Il loro numero esprime non solo la continuità con la santa radice, l’Israele delle dodici tribù, ma anche la destinazione universale del loro ministero, apportatore di salvezza fino agli estremi confini della terra. Lo si può cogliere dal valore simbolico che hanno i numeri nel mondo semitico: dodici risulta dalla moltiplicazione di tre, numero perfetto, e quattro, numero che rinvia ai quattro punti cardinali, e dunque al mondo intero.

La comunità, nata dall’annuncio evangelico, si riconosce convocata dalla parola di coloro che per primi hanno fatto esperienza del Signore e da Lui sono stati inviati. Essa sa di poter contare sulla guida dei Dodici, come anche su quella di coloro che essi via via si associano come successori nel ministero della Parola e nel servizio alla comunione. Di conseguenza, la comunità si sente impegnata a trasmettere ad altri la “lieta notizia” della presenza attuale del Signore e del suo mistero pasquale, operante nello Spirito. Lo si vede ben evidenziato in alcuni passi dell’epistolario paolino: “Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto” (1 Cor 15,3). E questo è importante. San Paolo, si sa, originariamente chiamato da Cristo con una vocazione personale, è un vero Apostolo e tuttavia anche per lui conta fondamentalmente la fedeltà a quanto ha ricevuto. Egli non voleva “inventare” un nuovo cristianesimo, per così dire, “paolino”. Insiste perciò: “Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto”. Ha trasmesso il dono iniziale che viene dal Signore ed è la verità che salva. Poi, verso la fine della vita, scrive a Timoteo: “Custodisci il buon deposito con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in noi” (2 Tm 1,14). Lo mostra con efficacia anche questa antica testimonianza della fede cristiana, scritta da Tertulliano verso l’anno 200: “(Gli Apostoli) sul principio affermarono la fede in Gesù Cristo e stabilirono Chiese per la Giudea e subito dopo, sparsi per il mondo, annunziarono la medesima dottrina e una medesima fede alle nazioni e quindi fondarono Chiese presso ogni città. Da queste poi le altre Chiese mutuarono la propaggine della loro fede e i semi della dottrina, e continuamente la mutuano per essere appunto Chiese. In questa maniera anche esse sono ritenute apostoliche come discendenza delle Chiese degli apostoli” (De praescriptione haereticorum, 20: PL 2,32).

Il Concilio Vaticano II commenta: “Ciò che fu trasmesso dagli Apostoli comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa e all’incremento della fede del Popolo di Dio. Così la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede” (Cost. Dei Verbum, 8). La Chiesa trasmette tutto ciò che è e che crede, lo trasmette nel culto, nella vita, nella dottrina. La Tradizione è dunque il Vangelo vivo, annunciato dagli Apostoli nella sua integrità, in base alla pienezza della loro esperienza unica e irripetibile: per opera loro la fede viene comunicata agli altri, fino a noi, fino alla fine del mondo. La Tradizione, pertanto, è la storia dello Spirito che agisce nella storia della Chiesa attraverso la mediazione degli Apostoli e dei loro successori, in fedele continuità con l’esperienza delle origini. E’ quanto precisa il Papa san Clemente Romano verso la fine del I secolo: “Gli Apostoli – egli scrive – ci annunziarono il Vangelo inviati dal Signore Gesù Cristo, Gesù Cristo fu mandato da Dio. Cristo viene dunque da Dio, gli Apostoli da Cristo: entrambi procedono ordinatamente dalla volontà di Dio… I nostri Apostoli vennero a conoscenza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo che sarebbero sorte contese intorno alla funzione episcopale. Perciò, prevedendo perfettamente l’avvenire, stabilirono gli eletti e diedero quindi loro l’ordine, affinché alla loro morte altri uomini provati assumessero il loro servizio” (Ad Corinthios, 42.44: PG 1,292.296).

Questa catena del servizio continua fino ad oggi, continuerà fino alla fine del mondo. Infatti il mandato conferito da Gesù agli Apostoli è stato da essi trasmesso ai loro successori. Al di là dell’esperienza del contatto personale col Cristo, esperienza unica e irripetibile, gli Apostoli hanno trasmesso ai successori l’invio solenne nel mondo ricevuto dal Maestro. Apostolo viene precisamente dal termine greco “apostéllein”, che vuol dire inviare. L’invio apostolico – come mostra il testo di Mt 28,19s – implica un servizio pastorale (“fate discepole tutte le nazioni…”), liturgico (“battezzandole…”) e profetico (“insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”), garantito dalla vicinanza del Signore fino alla consumazione del tempo (“ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”). Così, in un modo diverso dagli Apostoli, abbiamo anche noi una vera e personale esperienza della presenza del Signore risorto. Attraverso il ministero apostolico è così Cristo stesso a raggiungere chi è chiamato alla fede. La distanza dei secoli è superata e il Risorto si offre vivo e operante per noi, nell’oggi della Chiesa e del mondo. Questa è la nostra grande gioia. Nel fiume vivo della Tradizione Cristo non è distante duemila anni, ma è realmente presente tra noi e ci dona la Verità, ci dona la luce che ci fa vivere e trovare la strada verso il futuro.

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