Che cosa è la lussuria e perché è un peccato grave?

Ci hanno proposto di approfondire queste osservazioni: “Carissima Catechista, so che cosa è la lussuria, ma vorrei capire in quale modo più semplice posso comprenderla oggi  senza rischiare di scadere nel moralismo, per comprenderla meglio e perché, dal momento che il buon Dio conosce le nostre debolezze e i nostri difetti, questo peccato è considerato così grave? E’ un peccato mortale? Grazie per la risposta che potrai anche pubblicare, se vuoi!” C.N.

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Carissima C. nel ringraziarti di cuore per questi approfondimenti cominciamo dalla tua prima attenta osservazione: quel rischiare di scadere nel moralismo. Effettivamente questi rischi di “moralizzazione” li troviamo un po’ ovunque e questo accade quando, per combattere un vizio, rischiamo appunto di moralizzare, ossia quel recriminare ma senza suscitare il vero pentimento e il vero combattimento. Il termine “moralizzazione” è stato suscitato nel XVII secolo, mentre il contesto e il senso originario di “morale” nasce e si sviluppa insieme alle norme di vita sociale e culturale degli uomini e per il bene della loro convivenza. Infatti, la morale, non è altro che quel discernimento fra ciò che è bene e ciò che è male, diventa “moralizzazione” quando viene usata per sottomettere gli uomini senza però modificare, per davvero, i vizi o, il vizio che conduce piuttosto ad affermare lecito ciò che è male. Il moralista infatti è colui che usa la morale con l’ipocrisia e il fondamentalismo, un esempio “di ieri” erano i farisei, l’esempio per l’oggi sono le ideologie. Per combattere questo rischio è necessario agire come Gesù: Il medico odia l’infermità, ma ama l’infermo; e così anche noi, se abbiamo carità, dobbiamo odiare il difetto (a cominciare dai nostri difetti), ma nello stesso tempo dobbiamo amare chi lo commette, affinché comprendendo si lasci curare e guarisca.

La lussuria, che è uno dei 7 vizi capitali che sono ben descritti e condannati dalla Sacra Scrittura, non è la semplice dedizione ai piaceri sensuali. “Alcuni peccati – spiega il domenicano Padre Angelo – che degenerano in vizi perché si esprimono con frequenti cadute, vengono detti capitali perché sono come la madre, la generatrice, la sorgente di altri peccati e vizi. Scrive San Tommaso: “Capitale deriva da capo. E capo propriamente è quella parte dell’animale che è principio ed elemento direttivo di tutto l’animale. Perciò in senso metaforico si denomina capo qualsiasi principio: anzi, si denominano capi persino gli uomini che dirigono e governano gli altri. Quindi vizio capitale deriva … in senso metaforico dal termine capo, cioè nel senso di principio e trascinatore di altri. E allora vizio capitale non solo è principio di altri, ma ne è pure la guida e in qualche modo il trascinatore… Ecco perché S. Gregorio paragona i vizi capitali ai comandanti di un esercito” (Somma teologica, I-II, 84, 3)… Alcuni vi aggiungono la superbia, che viene definita da San Tommaso la regina e inizio di ogni peccato. Infatti la superbia, che è uno disordinato desiderio di primeggiare, è all’inizio di ogni peccato.”

Conversione della Maddalena

Lussurioso è soprattutto chi si lascia rapire e cullare continuamente dalle fantasie sensuali. La lussuria diventa un vizio quando il costante volgersi del pensiero al desiderio impedisce il normale svolgimento delle incombenze quotidiane. Per questo la Chiesa ha sempre insegnato ad impegnare la mente e i pensieri alle cose sane, per questo condanna le riviste che inducono alla lussuria, per questo insegna la virtù del senso del pudore. La lussuria è infatti legata essenzialmente alla fantasia e all’immaginazione, trovando stimoli e suggestioni nei mezzi di comunicazione:  televisione, romanzi, riviste, film, oggi anche la rete. Gli stessi comportamenti tradizionalmente legati a tale vizio confermano la sua indole propriamente culturale. Dice infatti Gesù: Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo». (Mc.7,14-15), se non comprendiamo bene questo passaggio, rischiamo allora di fare del moralismo alla lunga inefficace e persino controproducente.

Lei C. è già sulla buona strada poiché inserisce la lussuria in quel concetto di “debolezza e difetto” che Dio certamente conosce in noi e proprio per questo ci ha donato i Dieci Comandamenti (nei quali la lussuria è indicato al sesto e al nono) che definiamo essere anche “legge naturale”, e ha mandato il Suo Figlio Gesù non solo per salvarci, ma anche per aiutarci, sostenerci a correggere questi difetti, queste debolezze, questi vizi, perché da soli non ne saremo mai capaci. Quindi il Buon Dio la Sua parte l’ha fatta e continua a farla, siamo noi che dobbiamo fare la nostra parte! La lussuria è un desiderio “disordinato”, spiega il Catechismo al n.2351, pertanto è nostro compito regolarci e porre ordine a questi desideri. Il libero arbitrio infatti con ci è stato dato per fare “quello che ci pare e piace”, ma per essere davvero liberi di svolgere questo discernimento tra ciò che è bene e ciò che è male, tra ciò che è ordinato ad un fine e ad uno scopo nobile, da ciò che è disordinato.

Il peccato subentra nel momento in cui diamo libero sfogo a ciò che è disordinato in natura, andando ad alimentare ciò che è  difetto, facendolo diventare una costante, uno stile di vita, rifiutando e rigettando la correzione. E’ in questo rifiuto che ci allontaniamo dalla grazia, cadiamo nel peccato e se persistiamo su questa strada, siamo noi che aggraviamo il peccato facendolo diventare mortale, e se non ci convertiamo rischiamo persino la dannazione eterna. Naturalmente qui stiamo sintetizzando, poi ognuno potrà approfondire ulteriormente gli argomenti suscitati.

Fra Umberto di Romans (1254-1263 4° Maestro Generale dell’Ordine dopo san Domenico e beatificato dalla Chiesa), riguardo alla castità spiega che la virtù, proprio come l’arte della guerra, è una cosa che si impara. Bisogna conoscere le proprie forze, e quelle del nemico (il demonio, il vizio, il proprio difetto), e la conformazione del terreno (il nostro corpo). Proprio come Machiavelli raccomanda al Principe, così Umberto raccomanda ai suoi frati – nella migliore tradizione del “realismo morale” – di sterminare il nemico molto prima che diventi potente e pericoloso. E per fare questo, Umberto, in qualità di stratega della guerra spirituale, dà qualche prezioso consiglio:

“XXXII. I rimedi contro la lussuria sono di sicuro: schivare le familiarità sospette, non confidare troppo in se stessi, fuggire le occasioni di tentazione, turare i propri sensi, limitare i pensieri cattivi, domare la carne, resistere alle passioni nascenti, tenersi sempre occupati in attività virtuose. Infatti, l’antico nemico dà da fare con le sue male faccende a chi non ha nulla di meglio da fare…” (da Vitae Fratrum). Che brutta fine fa il giudizio della ragione, quando la smania di fare qualcosa lo incomincia a dominare! Una mente ossessionata, infatti, si plasma la coscienza a piacimento mentre realizza le proprie brame, trascinandovi anche il prossimo. Compiuto il fatto, questa stessa coscienza punge con amari rimorsi la mente, che, deviando verso il male, ha lasciato la strada della verità. Coloro che si preparano alle nozze eterne non desiderino abbracci mortali! Chi desidera l’abbraccio dello sposo del cielo è meglio che sia provvisto delle lampade della purezza e l’olio della gioia (Mt. 25). Se uno ama Dio e ama in modo ordinato il prossimo, non lo induce al peccato, non lo induce a peccati contro natura, non lo induce alla lussuria, all’adulterio, a rubare, ad uccidere, o ad altri vizi… vedi qui.

Ancora, spiega il beato di Romans: “XXXIII. Il cuore va custodito con ogni custodia (Prov.4), giacchè è chiaro che viene combattuto in molti modi. Nel resistere è anche necessario che siamo più guardinghi proprio lì dove sperimentiamo che gli attacchi del nemico sono più forti. Infatti il diavolo pone le trappole delle tentazioni più spesso lì dove ci percepisce più incauti; e si sforza maggiormente di vincerci lì dove sa che siamo più deboli….” La pace e la concordia sono sempre lodevoli tranne quando si combatte contro i vizi. A ciò si fa opportunamente cenno quando si ricorda che la torre di Davide fu munita di bastioni e che fu decorata con mille scudi e con tutte le armi dei forti (Cant. 4).

Non è un caso se fra le Litanie Lauretane conosciamo l’invocazione mariana: “Torre di Davide”, Turris Davidica: “Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Lc. 18,14); l’umile, cioè, sarà reso forte per virtù dello Spirito: è l’esaltazione cantata dal Magnificat della Vergine. “La Città di Davide, fortificata con solide torri – è scritto nel 1Libro dei Maccabei (1,33.34) -, divenne una fortezza inespugnabile”; da qui l’immagine di “torre (della santa Città) di Davide” riferita alla Vergine. “Turris fortitudinis a facie inimici”, “Torre salda davanti all’avversario” (Sal 60, 4): di fronte agli assalti dell’antico Avversario, il Diavolo nemico di Dio, e di fronte ai nemici della Chiesa di ogni razza e in ogni tempo. Si capisce bene perché la Chiesa insegna da secoli la fortezza del Rosario definita quale ARMA per il combattimento spirituale.

Ma come si può, oggi, insegnare ai giovani, e non, a fuggire dai vizi dal momento che nella nostra cultura la loro condanna è scomparsa? Basta fare attenzione, ed eccoli tornare, rivestiti per di più di vesti sontuose, e accettati da tutti come comportamenti lodevoli, da praticare. La gola, un altro dei 7 vizi capitali, non è più peccato, perché è funzionale al mercato. E così succede anche per la lussuria, che oggi è diventata legittima ricerca del piacere al di là di legami affettivi e men che meno famigliari:  intorno gravitano l’industria cinematografica, molti programmi televisivi, i rotocalchi, il mondo del porno, per non parlare del turismo sessuale e dell’industria farmaceutica per i contraccettivi. Un bel business, senz’altro, che è difficile toccare, tanto che oggi la ricerca del piacere sembra addirittura essere stata inserita fra i Diritti umani con l’ideologia di genere. Ma davvero parlare di vizi e virtù è ridicolo e inutile, oltre a essere fuori moda? Insegnare le virtù ha il grosso merito di rappresentare l’essere umano come una possibilità da realizzare e da disciplinare, non un individuo già compiuto in sé, che non può migliorare… Bisogna ritornare a parlare chiaramente, chiamando ciò che è male con il suo nome. Clicca anche qui.

La lussuria è associata al SENSO DEL PUDORE, un senso che è stato assopito, oggi, dall’assordante pretesa di vivere come si vuole dando sfogo ad ogni senso disordinato e sfrenato, fuorché a questo. “La pubblicità cerca di sedurre attraverso un’immagine del “politicamente corretto”: tutti devono essere appagati ed è indubbio che siano presi in considerazione i vizi capitali. Nel 1947 Georges Bernanos affermò che i motori di scelta della pubblicità sono proprio i sette peccati capitali, per la ragione che è molto più facile puntare ai vizi dell’uomo, piuttosto che alle sue virtù…” (Cristina Siccardi su Corrispondenza Romana del 12.6.2012). “O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio…” (1Cor.6,9-11)

Vogliamo concludere cercando di capire anche il concetto di che cosa è un peccato mortale. I 7 vizi capitali, da sé non sono mortali ma lo possono diventare  a seconda di come reagiremo. Il Signore Dio ha messo nel Decalogo due comandamenti espliciti, uno che riguarda le azioni: «Non commettere atti impuri, l’adulterio» e l’altro che riguarda i pensieri: «Non desiderare la persona degli altri». Chiunque manca volontariamente contro questi comandamenti, vi persiste giustificando il proprio comportamento corrotto, commette sempre peccato mortale. La lussuria è un vizio così potente, che guai a lasciarsene dominare! La schiavitù delle impure passioni è infatti la più vergognosa ed umiliante.

E’ “mortale” perché davanti a questo vizio si sacrifica la propria dignità e si diventa peggio delle bestie senza ragione, spesso trascinando, coinvolgendo anche il prossimo in un comportamento, o amori disordinati, perversi; si sacrifica la salute e la ragione, per cui si perde la retta coscienza e con essa si rifiuta la verità, si offende la Santissima Trinità che ha fatto del nostro corpo il Suo Tempio per mezzo della Grazia del Battesimo e degli altri Sacramenti. Si sacrifica il denaro, la pace della famiglia, la pace del cuore; e in definitiva si sacrifica l’anima rendendola un tizzone d’inferno. Al tempo di Noè il Signore punì questi brutti vizi con il diluvio universale; ed al tempo di Abramo punì le città delle Pentapoli (le cinque città di Adma, Gomorra, Sodoma, Zeboim e Zoar) mandando il fuoco dal cielo, che incenerì tutti gli abitanti. Se riflettiamo bene, possiamo ragionevolmente convincerci che buona parte dei mali che oggi affliggono l’umanità sono dovuti al dilagare della disonestà e della corruzione della coscienza, che ha nella lussuria e nella superbia la sua sede trionfante.

A Fatima quando la Beata Vergine Maria fece vedere l’inferno, spiegò poi alla piccola Giacinta, prima di morire, quanto segue e da lei fedelmente riportato alla cugina Lucia: “I peccati che portano più anime all’inferno sono i peccati della carne. Verranno certe mode che offenderanno molto Gesù. Le persone che servono Dio non devono seguire la moda. La Chiesa non ha mode. Gesù è sempre lo stesso. I peccati del mondo sono molto grandi. Se gli uomini sapessero ciò che è l’Eternità, farebbero di tutto per cambiar vita. Gli uomini si perdono, perché non pensano alla morte di Gesù e non fanno penitenza. Molti matrimoni non sono buoni, non piacciono a Gesù non sono di Dio“.

I bravi Confessori, non a caso, davano come consiglio quell’esame della coscienza quotidiana fondata sulla riflessione dei 7 vizi capitali, per capire in quale si fosse caduti durante la giornata, pentirsene e studiare le penitenze adatte a combattere i vizi più forti.

Oggi purtroppo sembra che molti Sacerdoti non siano più interessati a questi argomenti, spesso ci ridono sopra incuranti del monito del Signore Dio in Ezechiele 3,16-21 “… se tu ammonisci il malvagio ed egli non si allontana dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per il suo peccato, ma tu ti sarai salvato. Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l’iniquità, io porrò un ostacolo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l’avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate; ma della morte di lui domanderò conto a te.”

Sia lodato Gesù Cristo

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AGGIORNAMENTO DA AMICI-DIMENICANI

Ecco che cosa intendeva San Paolo quando disse di consegnare un tale a Satana a motivo del suo peccato

Quesito

Caro Padre Angelo,
Volevo qualche spiegazione su quanto dice San Paolo ai Corinzi condannando l’immoralità compiuta da alcuni; e cioè quando dice: “questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore.” (1 Cor 5,5).
Che significa questo versetto? Che nonostante i peccati commessi con il corpo, un giorno potrà essere redento?
La ringrazio.
Davide


Risposta del sacerdote

Caro Davide,
1. ti rispondo riportando quanto ha scritto F. Prat, gesuita e grande biblista nella sua monumentale opera intitolata La teologia di san Paolo.
Quella del padre Prat è una parola autorevole a motivo della sua competenza.
Ecco quanto scrive:

2. “Erano avvenuti a Corinto due fatti scandalosi dei quali si era resa complice tutta la comunità, con la sua troppo tollerante indulgenza.
Venere, patrona di Corinto, vi era onorata con un culto in cui l’impudicizia dell’Afrodite greca si alleava con le turpitudini dell’Astarte orientale. Nel suo tempio mille hieroduli apertamente facevano traffico del proprio corpo, a suo profitto e onore: la prostituzione sacra era innalzata all’altezza di un sacerdozio. I costumi pubblici erano per conseguenza anch’essi di una deplorevole rilassatezza, e vivere alla corinzia era, anche per i pagani, un’ignominia. In quell’atmosfera avvelenata, alcuni cristiani avevano subito il contagio, e uno di essi viveva in concubinato con sua matrigna, certamente vedova o divorziata.
Si parla di fornicazione tra voi, e di tale fornicazione quale neppure tra i Gentili, talmente che uno ritenga la moglie del proprio padre. E voi siete gonfi: e non piuttosto avete pianto, affinché fosse tolto di mezzo a voi chi ha fatto tal cosa! (1 Cor 5,1-2).

Non si tratta di commercio passeggero, ma di una unione stabile, come quella di Erode Antipa con Erodiade, moglie del suo fratello Filippo. La legge romana, così larga in materia di matrimoni, proibiva tali unioni, e gli esempi che la storia profana ne poteva offrire, erano riprovati dal sentimento pubblico, d’accordo in questo con l’istinto naturale. Ora i fedeli di Corinto non sembravano commuoversene troppo: continuavano a frequentare il colpevole e lo ammettevano nelle loro assemblee. Forse si lasciavano illudere da questa falsa massima, che il battesimo fa del cristiano un essere nuovo, libero da tutti i suoi vincoli antecedenti ed esente da qualsiasi proibizione legale. Così agli occhi dei rabbini la conversione al giudaismo rompeva tutte le relazioni di parentela, e Maimonide insegna espressamente che è lecito al proselito sposare la sua matrigna.
L’indignazione di Paolo fu al colmo. Era sua pratica costante il sottoporre tutti gli scandalosi a una specie di scomunica la quale portava con sé la cessazione anche delle relazioni di convenienza e di civiltà. Egli aveva minacciato questa pena agli arruffoni e agli scioperati di Tessalonica, se non avessero obbedito ai suoi ordini; più tardi imporrà a Tito di evitare l’eretico ostinato, cioè il fautore di divisioni e di disordini. Nella lettera ai Corinzi, che andò perduta, ingiungeva loro espressamente di troncare ogni relazione con gli impudichi (cfr 2 Ts 3,14)). Qual è dunque ora il suo dolore nel vedere che tollerano l’infame! Presto! si allontani l’incestuoso, affinché non siano contaminati da lui. Si era, a quanto pare, verso la Pasqua, e veniva molto a proposito questa esortazione: Non sapete che un poco di lievito fa fermentare tutto l’impasto? Togliete via il vecchio fermento, affinché siate una nuova pasta, come siete senza fermento; perché il nostro agnello pasquale Cristo è stato immolato. Solennizziamo dunque la festa non col vecchio lievito, né col lievito della malizia e della malvagità, ma con gli azzimi della purità e della verità… Togliete di mezzo a voi il cattivo (1 Cor 5,6-8).
Queste ultime parole che contengono la sentenza definitiva di Paolo, sono un’allusione al Deuteronomio (17,7) il quale stabilisce la pena di morte per certi delitti. La scomunica, specie di morte simbolica, nel Vangelo sostituisce la morte reale dell’antica Legge. Egli aveva prima pensato a una pena assai più grave e più proporzionata all’enormità del delitto.
Io però assente corporalmente, ma presente in ispirito, ho già come presente giudicato che colui il quale ha attentato tal cosa – congregati voi e il mio spirito nel nome del Signor nostro Gesù Cristo – con la potestà del Signore nostro Gesù, sia dato questo tale nelle mani di Satana per morte della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo (1 Cor 5,3-5).
I canonisti, desiderosi di trovare qui un esempio di scomunica maggiore secondo le forme attualmente in uso nella Chiesa, si domandano come mai Paolo abbia potuto fulminarla e dare ordine ai Corinzi di fulminarla in nome suo, senza istruzione del processo, senza citazione nè interrogatorio. Ma sono tutte questioni superflue: Paolo non pronunzia la sentenza e non impone ai Corinzi di pronunziarla; egli esprime soltanto il suo parere su la pena dovuta all’incestuoso notorio; forse insinua il castigo rigoroso che egli è risoluto di infliggere, nel caso in cui i fedeli non facessero nulla da parte loro. Per quello che lo riguarda, egli crede giusto e conveniente di abbandonare il colpevole a Satana, ma non dice quali formalità si dovrebbero osservare se si dovesse venire a tale castigo.

Questo castigo terribile evidentemente supponeva la scomunica, cioè l’esclusione della Chiesa con la privazione delle grazie e degli aiuti di cui la comunione dei santi è il canale; ma comprendeva pure qualche cosa di più spaventevole. Gli Apostoli che avevano ricevuto dal Signore il potere d’incatenare i demoni, avevano pure il potere di scatenarli. Il delinquente colpito da questa condanna più grave che la scomunica, veniva abbandonato alla vendetta dell’eterno nemico degli uomini e diventava preda e zimbello di Satana. Ma, siccome tutte le pene inflitte dalla Chiesa sono medicinali, lo scopo finale era sempre la conversione e la salvezza del peccatore. Almeno una volta nella sua vita, Paolo si servì di questo terribile potere: egli abbandonò a Satana Imeneo e Alessandro per insegnare loro a non più bestemmiare (1 Tm 1,20), o piuttosto perchè lo imparassero a loro spese quando fossero abbandonati, senza protezione e senza scampo, alla tirannia del demonio. Con l’incestuoso di Corinto egli è meno rigoroso; si accontenta dell’esclusione del colpevole e, se per un momento ha pensato ad un castigo più severo, lo ha fatto sempre per salvare l’anima del peccatore, affliggendo la sua carne” (F. Prat, La teologia di san Paolo, parte prima, pp. 92-95).

3. Lo stesso concetto emerge in un Commentario biblico:
Sia dato, ecc. Dare nelle mani di Satana, significa separare uno dalla comunione della Chiesa, ossia escluderlo dalla partecipazione di tutti quei beni di cui la Chiesa ha l’amministrazione. L’incestuoso scacciato così dal regno di Gesù Cristo verrà a cadere nuovamente sotto il dominio di Satana, per morte della carne, per essere cioè tormentato nel suo corpo da Satana, per mezzo di malattie e di altri dolori, in modo che nel suo cuore si sveglino buoni sentimenti.
Affinché lo spirito sia salvo. La pena, benché gravissima, è tuttavia medicinale, perchè destinata all’emendazione del reo, a reprimere la petulanza della sua carne, a indurlo a pentirsi del male fatto e a riconciliarsi con Dio, per essere salvo nel giorno del giudizio. Si osservi che l’Apostolo, dando l’incestuoso nelle mani di Satana, per morte della carne, non solo gli infligge la scomunica separandolo della Chiesa, ma lo consegna ancora a Satana affinché lo affligga e lo tormenti. Dicono infatti i Padri che gli Apostoli avevano non solo potestà di cacciare i demoni dagli ossessi, ma anche di consegnare i grandi colpevoli al demonio, perché venissero tormentati, e fossero così condotti a penitenza. Nella Scrittura infatti il demonio viene spesso rappresentato come la causa dei mali, che affliggono l’uomo nel corpo, nell’anima e nelle sue sostanze. Sono noti gli esempi di Giobbe (Gb 2,7-8), di Anania (Atti 5,1ss), di Elimas (At 13,8ss), e i vari fatti del Vangelo nei quali il demonio rende muti, sordi, furiosi, ecc., coloro dei quali si è impossessato”.

4. La Bibbia di Gerusalemme commenta: “Spesso a proposito di questo versetto si parla di «scomunica, ma la parola come tale è assente dalla Bibbia (non corrisponde esattamente ad «anàtema».
Pene di esclusione erano in uso nell’Antico testamento, nel giudaismo, a Qumran. Il Nuovo Testamento presenta diversi casi in cui però i motivi e i modi di eseguire la pena non sono uguali. Talvolta il colpevole era tenuto per qualche tempo in disparte dalla comunità (5,2.9-13; 2 Ts 3,6-l4; Tt 3,10; cfr l Gv 5,16-17; 2 Gv 10), talvolta era «consegnato» (qui; 1 Tm 1,20 a Satana, privato del sostegno dello Chiesa dei santi e, per ciò stesso, esposto al potere che Dio lasciò al suo avversario (2 Ts 2,4; cfr. Gb 1,6); anche in questi casi estremi si sperano il pentimento e la salvezza finale (qui; 2 Ts 3,15; ecc.).
Una tale disciplina suppone un certo potere della comunità sui suoi membri (cfr Mt 18,15-18).

5. Come si vede, anche nella Chiesa primitiva – che godeva della Divina Rivelazione – si usava misericordia.
Ma i metodi erano diversi dai nostri. Quello che a quei tempi era un caso isolato, oggi è un fatto purtroppo comune.
Indubbiamente la consegna a satana era terribile, ma salutare.
La salvezza dell’anima era l’obiettivo più urgente.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore ti benedico.
Padre Angelo

 


Il piacere è santo solo se è indirizzato al giusto fine

Nel suo famosissimo “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica”, padre Adolphe Tanquerey (1854 – 1932) così scrive del piacere:

Il piacere non è cattivo in se stesso; Dio lo permette ordinandolo ad un fine superiore, il bene onesto; se annette il piacere a certi atti buoni, lo fa per renderli più facili e attirarci così all’adempimento del dovere. Gustare moderatamente il piacere riferendolo al suo fine che è il bene morale e soprannaturale, non è male; anzi è atto buono, perché tende a fine buono, che in ultima analisi è Dio. Ma volere il piacere indipendentemente da questo fine che lo giustifica, volerlo quindi come fine in cui uno si ferma, è un disordine, perché è un andare contro l’ordine sapientissimo stabilito da Dio. E questo disordine ne trae seco un altro: quando si opera per il piacere, si è esposti ad amarlo con eccesso, perchè non si è più guidati dal fine che impone dei limiti a questa smodata sete del piacere che tutti ci punge.

[…]

Il rimedio a un sì gran male è la mortificazione dei sensuali diletti; perché, dice S. Paolo: “Quelli che sono di Cristo, crocifiggono la carne con i suoi vizi e le sue cupidigie: Qui sunt Christi, carnem suam crucifixerunt cum vitiis et concupiscentiis”. Ora crocifiggere la carne, come dice l’Olier, significa legare, infrenare, soffocare internamente tutti gli impuri e sregolati desideri che sentiamo nella nostra carne; significa pure mortificare i sensi esterni che ci mettono in comunicazione con gli oggetti del di fuori ed eccitano in noi pericolosi desideri. Il motivo fondamentale che ci obbliga a praticare questa mortificazione sono le promesse battesimali.

[…]

Così grave è quest’obbligo di mortificare i sensuali diletti che ne dipende la nostra salvezza e la nostra vita spirituale: “Perché, se vivete secondo la carne, spiritualmente morrete; se poi con lo spirito darete morte alle azioni della carne, vivrete: Si autem secundum carnem vixeritis, moriemini; si autem spiritu facta carnis mortificaveritis, vivetis”.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri


Cos’è un atto impuro?

  • da Aleteia – pubblicato il 13/12/21

Se non lo sapete con chiarezza, ecco la spiegazione
di Daniel Torres Cox

Cos’è un atto impuro? Sia il sesto che il nono comandamento si riferiscono ad atti impuri.
Il sesto comandamento parla di non commettere atti impuri, mentre il nono di non permettere pensieri o desideri impuri.
Di fronte a questo, è valido chiedersi cosa sia un atto, un pensiero, un desiderio o uno sguardo impuro.
Una norma inscritta nel cuore
In genere ammettiamo come atti o desideri impuri comportamenti come avere rapporti sessuali prima del matrimonio, ricorrere alla masturbazione, visionare materiale pornografico o in generale compiere qualsiasi atto contro la castità.
Perché questi comportamenti sono impuri? Perché fare queste cose è sbagliato?

Per rispondere a queste domande, è importante ricordare che come cristiani riconosciamo che i 10 comandamenti stabiliscono norme di ordine naturale.
Ciò significa che non creano divieti stabiliti arbitrariamente da Dio, ma ci rivelano inclinazioni insite nella nostra natura, che possiamo conoscere e formulare usando la ragione.
Un cammino di sviluppo e perfezione
Partendo da quanto detto, possiamo vedere che gli atti proibiti dai 10 comandamenti, come uccidere, rubare o mentire, sono comportamenti che siamo chiamati a evitare non solo perché siamo cristiani, ma soprattutto perché siamo umani.
In effetti, realizzare uno qualsiasi di questi atti ci corrompe come esseri umani, danneggiando la nostra natura.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, i 10 comandamenti non violano la nostra natura, ma ci rivelano una vita di sviluppo e perfezione già inscritta nel nostro cuore.
Si tratta di un cammino che risponde alle nostre inclinazioni più profonde in quanto esseri umani. Al cuore di tutto c’è il desiderio che la nostra vita, libertà e integrità vengano rispettate, e qualsiasi atto le violi ci fa ribellare interiormente.
Trasponendo questa idea nell’ambito del sesto e nono comandamento, eivtare atti impuri, in ultima istanza, ci perfeziona nell’ambito della sessualità.
Al contrario, commetterli danneggia la nostra natura e ci impedisce di fiorire come esseri umani in questo ambito.

Il sesso, come Dio comanda…
Ma cosa fa sì che un atto sia impuro?
Possiamo provare a rispondere a questa domanda partendo dal pensiero di San Giovanni Paolo II. Per lui, è impossibile parlare della pienezza dell’essere umano senza far riferimento alla vocazione di ogni persona all’amore.
Ogni essere umano è stato creato per amare, ovvero trova la sua pienezza donandosi, facendosi dono per gli altri.
Questa considerazione è di grande rilevanza nell’ambito della sessualità, e ci aiuta a comprendere il senso della purezza.
Visto che un atto impuro è un atto che danneggia l’essere umano nell’ambito della sessualità, e che questa è ordinata all’amore, possiamo dire che un atto puro è un atto ordinato all’amore, e che un atto impuro è un atto contrario all’amore.
È importante notare che qui parliamo di amore non come sentimento o pulsione, ma come decisione: la decisione di cercare il bene e il meglio per l’altra persona.
Nell’ambito delle relazioni interpersonali, San Giovanni Paolo II ci ricorda che l’opposto di amare è usare.
Amare vs. usare
Perché amare è l’opposto di usare?
Quando si ama, si cerca il bene dell’altra persona. Quando si usa, si cerca il proprio bene, a costo dell’altra persona.
Quando si ama, l’altra persona viene vista come un fine: la si ama per quello che è, non per ottenere qualcosa in più. Quando si usa, invece, l’altra persona viene vista come un mezzo: la si ama per ottenere altro.
Quando si ama, l’altra persona è un soggetto, un “qualcuno” da amare. Quando si usa, l’altra persona è un oggetto, un “qualcosa” da usare.
Partendo da questo, si può vedere che amare e usare sono atteggiamenti del tutto incompatibili: non si può amare e usare la persona allo stesso tempo.
Visto che un atto è impuro quando si oppone all’amore, possiamo dire che un atto impuro è quello che esprime un atteggiamento di uso nei confronti dell’altra persona.
Cos’hanno in comune un rapporto sessuale occasionale, un pensiero impuro e il fatto di visionare materiale pornografico?

In tutti i casi, prevale un atteggiamento di uso dell’altra persona, in cui questa diventa un oggetto – un oggetto di piacere.
Ogni essere umano è stato creato per amare, e diventa pieno nella misura in cui nelle sue relazioni con gli altri prevale un atteggiamento d’amore.
Quando si capisce questo, si può prendere coscienza di come usando gli altri – andando contro la propria inclinazione naturale ad amarli – si danneggia innanzitutto se stessi.


Perché la Chiesa Cattolica ha modificato il comandamento che dice di non commettere adulterio col termine non commettere atti impuri

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Quesito

Caro Padre Angelo,
perché la Chiesa Cattolica ha modificato il settimo comandamento che dice: non commettere adulterio col termine non commettere atti impuri? Non è esattamente la stessa cosa, anzi non mi sembra per niente la stessa cosa.
Ora immagino che mi vorrà esporre gli scritti di San Paolo che dice: non illudetevi voi impuri, voi depravati, voi idolatri non erediterete il regno dei cieli. Ma io voglio sapere il perché nel decalogo ebraico c’è scritto non commettere adulterio?
Non si doveva già nell’antica Alleanza stabilire precisamente la giusta formula del settimo comandamento?
Penso che anche il popolo dell’antica Alleanza commettesse atti impuri, ma per loro l’atto impuro non era visto come peccato proprio perché nel decalogo non c’era scritto che fosse un peccato.
La ringrazio in anticipo per la risposta.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. intanto per la Chiesa cattolica quello che tu chiami il settimo comandamento è il sesto.
Probabilmente tu sei luterano o ebreo, che ha conservato il divieto di fare immagini. E allora il sesto comandamento diventa il settimo e il settimo l’ottavo, per congiungere in uno gli ultimi due comandamenti.
Ma questo divieto è stato superato da Dio stesso nell’Antico Testamento perché ha comandato di fare immagini di ciò che striscia sulla terra (il serpente di bronzo) e addirittura di ciò che è nel cielo, come i cherubini (da mettere sopra il coperchio dell’arca) che in quanto Angeli sono puri spiriti.
Con tutto rispetto ho detto che forse sei luterano o ebreo, perché ci sarebbe da meravigliarsi che tu confonda il sesto comandamento (non commettere adulterio) con il settimo (non rubare).

2. Mi dici che tu vuoi sapere perché vien detto non commettere atti impuri senza che ricorrere a San Paolo.
Lo faccio volentieri.
Rimaniamo dunque all’Antico Testamento perché già nell’Antico Testamento non è vietato solo l’adulterio, ma ogni altra impurità carnale.

3. Il libro del Levitico, nel codice di santità, elenca tutti i peccati carnali che sono meritevoli di morte.
Per noi non si tratta di morte fisica, ma spirituale, e cioè che fanno perdere la vita di Dio nell’anima, la grazia.

4. Ecco ad esempio che cosa si legge nel Levitico:
“Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte: il loro sangue ricadrà su di loro” (Lv 20,13).
“L’uomo che si accoppia con una bestia dovrà essere messo a morte; dovrete uccidere anche la bestia” (Lv 20,15).
Vengono menzionati poi vari peccati di incesto. Anche per essi è prevista come pena la morte.

5. In Tobia non si parla solo di adulterio, ma di fornicazione (rapporti tra persone libere, non coniugate). Vi si legge: “Guàrdati, o figlio, da ogni sorta di fornicazione” (Tob 4,12).

6. Al cosiddetto vizio solitario pare che alluda il versetto di Siracide: “L’uomo che concupisce la propria carne non avrà pace finché il fuoco non lo consumi” (Sir 23,23).
A proposito di questo peccato va notato che non è presente nel medesimo modo in tutte le società.
È stato notato che dove i ragazzi già in età precoce assumono responsabilità e sono impegnati nel lavoro (in passato questo succedeva molto spesso anche nelle nostre zone) questo fenomeno quasi non esisteva. Avevano altro da pensare.

7. Il Catechismo Romano del Concilio di Trento spiega il cambiamento delle parole: “Adulterio è la violazione del legittimo matrimonio, proprio o altrui. Un marito che abbia rapporti con una donna non sposata viola il proprio vincolo coniugale; un individuo non coniugato che abbia rapporti con una donna maritata viola il vincolo di altri.
Con la proibizione dell’adulterio Dio ha inteso vietare ogni peccato disonesto e impudico. Ciò risulta chiaramente dalla Scrittura, dove il Signore punisce altri generi di peccati impuri che non sono propriamente l’adulterio; nella Genesi viene condannata la nuora di Giuda (cfr. Gn 38,24); nel Deuteronomio è proibito alle israelite di farsi meretrici (cfr. Dt 23,17); Tobia esorta il figlio a guardarsi da ogni atto impuro (cfr. Tb 4,13); nel Siracide infine è scritto: “Vergògnati… dello sguardo su una donna scostumata” (Sir 41,21)” (Catechismo Romano, n. 334).

8. E ne porta la motivazione: tra i peccati di impurità è il più grave perché include anche un’ingiustizia nei confronti della persona cui si legati in matrimonio.
“Se fra tanti peccati il comandamento nomina esplicitamente l’adulterio è perché, oltre alla bruttura che ha in comune con tutte le altre forme di impudicizia, esso implica anche un peccato di ingiustizia nei confronti di altri, individuo e società” (Ib.).

9. E soggiunge: “E anche perché il cristiano che non difende su tutti gli altri punti la sua purezza finirà col non spaventarsi neanche di questo delitto.
Nella proibizione dell’adulterio è implicita la condanna di ogni atto impuro e di ogni desiderio malsano, avendo Gesù affermato: “Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5,27-28)” (Ib.).

10. Come vedi, Gesù va ben al di là dell’adulterio in senso materiale. Parla di adulterio spirituale quando proibisce di guardare una donna per desiderarla, e cioè per usarne come di un oggetto, come si fa quando si usa di una donna di strada.
Nell’insegnamento del Signore la donna guardata in tal modo non diventa una donna di strada.
Ma chi la guarda con tale scopo è del tutto identico a chi cerca le donne di strada. Da un punto di vista umano è miserabile ed è spregevole a se stesso.
E da un punto di vista spirituale si è già separato da Dio.

11. Infine non c’è da meravigliarsi per il mutamento di linguaggio perché qui la Chiesa presenta i comandamenti in formula catechistica e pertanto da memorizzare con una certa facilità.
Il decalogo come è stato presentato da Dio è molto, molto più lungo.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

si legga QUI IL CATECHISMO della Chiesa Cattolica sul tema dal n.2331 al n.2400

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