Comunione a chi vive in adulterio e concubinato? Cambierà ora la dottrina?

Attraverso alcune domande che ci sono pervenute in e-mail, sul recente Documento dei Vescovi dell’Emilia Romagna, vedi qui, con il quale si sdogana la Comunione eucaristica a chi vive in adulterio e concubinato, cercheremo di dare una risposta unica.

Ciò che era peccato ieri, è peccato anche oggi, così  trattammo l’argomento in passato, cliccare qui, seguendo proprio l’insegnamento bimillenario della Chiesa, partendo da Paolo VI, all’insistenza dottrinale di san Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI, rifacendoci poi naturalmente all’insegnamento delle Scritture stesse. Quindi è necessario che, per giungere ad una risposta onesta e “non negoziabile“, si tenga ben a mente tutto l’insegnamento vero della Chiesa di sempre.

Il primo aspetto che vogliamo sottolineare e sviscerare è che non esistono “categorie di peccatori privilegiati“…. è vero che la Chiesa è fatta “di peccatori”, ma incamminati sulla via del ripudio ad ogni forma di peccato e non gongolanti nel peccato. Oggi, invece, assistiamo ad una perversa accondiscendenza in quel dire “siamo tutti peccatori” quasi fosse un elogio, una benemerita posizione, mentre dovremmo tutti provare il più profondo disgusto per ciò che siamo, per ciò che eravamo prima della conversione, e per ciò che non abbiamo ancora raggiunto, a causa delle nostre debolezze.

Questo non significa votarsi al suicidio… attenti agli inutili e perversi “sensi di colpa”, ne parlammo qui. In tutti i Vangeli Gesù ci dice chiaramente che è venuto “per chi si riconosce di essere peccatore e chiede la grazia di essere salvato“, tolto dal peccare, non c’è solo un riconoscimento (oggi significherebbe persino una vincita al Lotto), ma ci vuole poi l’azione, l’atto volontario nel libero arbitrio, di mettere da parte il peccare per afferrare quella Mano tesa di Dio, afferrarla e farci trascinare letteralmente dalla Sua parte. Che cosa accade oggi invece? Che ci si riconosce peccatori e punto! Ma questa è la dottrina Protestante di Lutero, si legga qui.

Lutero non contestava, infatti, il peccato in quanto tale non potendolo egli stesso negare, ma cercava una soluzione al dramma che il peccatore, in quanto tale, non riuscisse a smettere di peccare! Era in un certo senso risolvere il “suo problema”. Era Lutero che, dopo qualche anno da monaco agostiniano consacrato nel celibato e nella continenza, si rende conto di non riuscire a mantenere la promessa fatta, il voto, ma al tempo stesso non vuole perdere il suo stato di monaco, di pastore perciò, secondo il suo ragionare detto in poche parole: non può essere la Scrittura ad aver ignorato questo problema, ma deve essere stata la Chiesa ad averlo interpretato malamente. Da qui iniziano le sue ricerche, tutte volte a GIUSTIFICARE IL PECCATO NEL PECCATORE, da qui si svilupperà poi anche la deformata opinione sulla “predestinazione” portata avanti da Calvino ed altri.

Oggi questa neo chiesa è protestantizzata sufficientemente dal quel Modernismo condannato da san Pio X, ma in certi casi abbiamo superato persino il pensiero di Lutero. Scusateci se sembriamo troppo insistenti, purtroppo mai abbastanza, a riguardo del gesuitismo modernista perché, in fin dei conti, alla radice di questa protestantizzazione, ci sono loro, non si scappa.

Nel 2015, Corrispondenza Romana, presentò un breve articolo molto significativo, vedi qui, su tale gesuita Gianni Notari a pubblicizzare una nuova forma di “esame della coscienza” attraverso la quale perdere davvero il “senso del peccato”…

E come ben insegna la denuncia di san Pio X contro il Modernismo, la proposta (già da anni imposta) del gesuita, filtrando concetti cattolici ed ortodossi, finisce con l’inserire l’eresia sul senso del peccato. La dinamica è chiarissima, ed è protestante alla radice. In cosa consiste? Nello spostare pericolosamente il centro della questione, invitando a prestar attenzione non più «alle mie azioni per distinguerle e classificare in buone e cattive», bensì «all’azione di Dio in me per far crescere e “fiorireˮ la mia relazione con Lui».

È corretta tale procedura? No, e lo dice in modo esplicito il Catechismo Maggiore di San Pio X: «L’esame di coscienza si fa col richiamare diligentemente alla memoria, innanzi a Dio, tutti i peccati commessi, non mai confessati, in pensieri, parole, opere ed omissioni, contro i Comandamenti di Dio e della Chiesa, e gli obblighi del proprio stato, a cominciare dall’ultima confessione ben fatta» (n. 697).

Il “nuovo” esame della coscienza della neo chiesa ha eliminato LA COLPA, la responsabilità del peccare e di sapere quando si vive in stato di peccato. Quindi è ovvio: il peccatore non è più in uno stato di “colpa”, e il concetto di peccato si sposta su temi più sociali. Insomma, se sono un concubino, una concubina “la colpa non è mia”, certo, l’adulterio resta “una forma” di peccato del quale, però, “io non sono del tutto responsabile”, è la situazione che è cambiata. Così alla fine è Dio che deve adeguarsi a noi peccatori, così come Lutero pretese di adeguare le Scritture alla sua situazione.

E’ fondamentale comprendere poi bene che IL MATRIMONIO non è stato dato da Dio “per fare sesso“… e chi vive di solo sesso, non deve affatto sposarsi. San Paolo usa una espressione bellissima. Parlando dello stato delle persone ad un punto dice: “Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere…” (1Cor.7,8-9)… ARDERE qui, non significa  l’heros, non significa concupiscenza o “il sesso”, ma la sessualità usata non fine a se stessa, è chiaro? L’Ardere qui significa come vivere la vita a seconda DELLA VOCAZIONE RICEVUTA: o si vive nel celibato per “farsi eunuchi per il regno di Dio” (Mt.19,10-12), rimanere come sono io, dice Paolo, oppure SPOSARSI per realizzare ciò che realmente ARDE IN NOI: I FIGLI, creare una Famiglia. Il sesso, la sessualità dunque, è il mezzo, lo strumento per fare figli e REALIZZARE QUELLA PASSIONE DEL CREATORE TRASMESSA A NOI “Siate fecondi e moltiplicatevi…” (Gn.1,28).

Quando un Matrimonio si rompe, che cosa succede? Se ho messo su una famiglia nuova sposata civilmente ed ho  fatto dei figli, come posso di colpo vivere da “fratello e sorella”? La Chiesa non chiedeva forse un po’ troppo?

Quando un Matrimonio va in frantumi è sempre un dramma, non c’è alcun vincitore, ma c’è un dolore indescrivibile, è una lacerazione e non la si risolve riconoscendo, oggi, come legittime le seconde nozze – pure civili – come a voler mettere sotto il tappeto la polvere. Affrontare la situazione, per la Chiesa, ha sempre significato di riconoscere persino un periodo di separazione fra i coniugi in crisi, ma per cercare di ricompattare l’unità divisa. Il vero problema oggi è che non c’è affatto il PERDONARE il coniuge che avesse sbagliato e si finisce in un PERDONISMO attraverso il quale mettersi d’accordo per procedere a convolare a “nuove nozze”….

Non si risolve più il problema seguendo la logica di Dio che è “la via stretta”, è quel perdonarsi per riprendere la via interrotta dalla fragilità del peccato, da un tradimento, dalla malattia “nella buona e nella cattiva sorte“, come si diceva, finché morte non vi separi…. ma ci si illude nella menzogna, perseguendo la logica del mondo e della nuova sociologia, facendo del sesso non lo strumento che serve per fare i figli, ma quale oggetto che renderebbe così FELICI I CONIUGI….

Come si può – di colpo – vivere da fratello e sorella? Innanzi tutto chi riuscisse a vivere “di colpo” così, è senza dubbio UNA GRAZIA che dobbiamo comunque chiedere…. ma la Chiesa parla DI CAMMINO, si inizia, si intraprende un cammino.

Facciamo l’esempio più drammatico che ci sia. Il medico ci diagnostica – di colpo – un cancro…. (per l’esempio abbiate a mente che il peccato è il cancro per l’anima), come reagiremmo? Senza dubbio che all’inizio vivremmo la paura, il dramma, il pianto, la desolazione, la sofferenza, lo sbandamento e non staremo certo lì a cambiare le nostre cattive abitudini di punto in bianco…. Una volta messa a fuoco però la situazione, intraprenderemo il cammino fatto di CAMBIAMENTI, medicine, chemio-terapie, CONVERSIONI… per alcuni fumatori incalliti, per esempio, smettere di fumare nonostante la dura diagnosi, potrebbe risultare impossibile, e perciò che male ci sarebbe se continuasse a fumare? Nulla in sé, ma sceglierà la morte certa! Magari puoi muore lo stesso, anche avendo smesso di fumare, ma in quel caso egli avrà fatto tutto ciò che era possibile fare, tutto ciò che DIPENDEVA DALLA SUA VOLONTA’.

L’esempio è troppo duro? Ma amici cari, qui stiamo parlando dell’Anima da salvare, della vita eterna, non stiamo parlando di una passeggiata nel paradiso terrestre fatto dagli uomini e dalle passioni terrene, mano nella mano, con un mondo di cuoricini e romantici tramonti… Se da battezzati abbiamo fatto un divorzio e ci siamo “risposati” civilmente, quella unione davanti a Dio NON E’ VALIDA! Non date ascolto a chi dice il contrario, anche fosse il Papa in persona. Quella unione è come un tumore, forse anche benigno se volete, ma sempre tumore resta e che se non viene indirizzato nella giusta direzione “per la porta stretta”, si trasforma in un cancro mortale.

Il cammino che la Chiesa aiuta ad intraprendere è, allora, come una chemio-terapia, ma perché questa possa funzionare è necessario che il malato non si riconosca solo come tale e poi pretenda di vivere in modo disordinato da sviluppare ulteriormente il cancro (1Cor.11,27-29), dice infatti Paolo VI a riguardo:Occorre avere l’anima pura, occorre avere ricuperato la grazia mediante la penitenza, il sacramento della riabilitazione, prima di accedere all’abbraccio di Cristo. Oggi v’è chi tenta esonerare i fedeli da questa indispensabile condizione; ma sono «fedeli» quelli che se ne dispensano?“.

Il malato deve gioco forza ARRENDERSI al fatto che la chemio-terapia funziona solo a determinate condizioni: CAMBIARE MODO DI VIVERE per tornare ad essere veramente “fedeli” al progetto di Dio sul Matrimonio. Solo a queste condizioni che sono, appunto, il cominciare a vivere da fratello e sorella, può dare al malato, ai malati, quella medicina che chiamiamo FARMACO DI IMMORTALITA’ che è l’Eucaristia… Alla Chiesa spetta poi di aiutare, venire incontro AI FERITI, aiutandoli anche a cercare di risolvere i problemi, come prendere e affrontare una terapia, ma non mentendo, non ingannando il malato su ciò che dice Cristo stesso.

Alla Chiesa spetta, in tutta coscienza, fare in modo di RISOLVERE quelle unioni matrimoniali, che seppur frantumate, all’origine si dovesse scoprire che non vi era alcun Sacramento (ma deve farlo nella sede giusta, assumendosene la responsabilità davanti a Dio) e questo perché: se resta in piedi il Matrimonio sacramentale, con un divorzio civile che per altro la Chiesa NON potrà MAI accettare, dare l’Eucaristia ai divorziati-risposati civilmente (che non vivessero in continenza), significa tradire il progetto di Dio – vedi qui – e tenere in piedi, in realtà due unioni una sacramentale distrutta contro il monito di Gesù (Mt.19 e Mc.10,11-12), l’altra unione che essendo civile resta un concubinato e adulterio, che poi significa “falsificazione del matrimonio”.

Quanto detto non è una “premessa” per rispondere alle due domande, ma è il problema e se non lo si capisce dalla radice, difficile capire perché – nella risposta che daremo – insisteremo sulla verità da sempre insegnata dalla vera Chiesa Cattolica.

Infatti, le risposte alle due domande, noi le abbiamo già per esempio nella Familiaris consortio di Giovanni Paolo II ai nn.20, 33, 34, 58 e in particolare, sulle Unioni e l’Eucaristia, il Papa fu profetico e chiaro dal n.79, al n.84: «La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia.» (n.84).

Così come l’abbiamo sia nel Catechismo al n. 1650, sia nella Sacramentum Caritatis al n.29 di Benedetto XVI, tre interventi magisteriali che basandosi sul Magistero della Chiesa di sempre, ribadiscono la vera dottrina, senza alcuna scorciatoia, fraintendimento o la creazione di “categorie privilegiate” di peccatori, ai quali dare l’Eucaristia mentre vivono in pieno e consapevole concubinato. E’ la “Sacra Scrittura”  a non ammettere queste persone all’Eucaristia, non è una capriccio della Chiesa. E la responsabilità è loro, non della Chiesa.

Così la spiegava il compianto cardinale Caffarra: «La domanda di fondo è dunque semplice: che ne è del primo matrimonio? Ma nessuno risponde. Giovanni Paolo II diceva nel 2000 in un’allocuzione alla Rota che “emerge con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni rati e consumati, è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante atto definitorio”. La formula è tecnica, “dottrina da tenersi definitivamente” vuol dire che su questo non è più ammessa la discussione fra i teologi e il dubbio tra i fedeli.» (Intervista del 15 marzo 2014). QUESTO E’ IL CONCUBINATO.

Quindi è ovvio che ora, alle due domande possiamo – e dobbiamo – risponde con assoluta certezza, senza fraintendimenti.

  1. NO! Non si può dare l’Eucaristia che è “comunione” alla dottrina della Chiesa fondata sulla Sacra Scrittura, da sempre…. a chiunque viva in stato di peccato! Bisogna finirla di creare delle “categorie di privilegiati“. Non si tratta poi di verificare un solo peccato, ma tanti altri che ne conseguono, come l’omissione, che per quanto possano essere veniali e dare l’accesso all’Eucaristia, sono però VINCOLATI dalla cessazione del peccato stesso. Se manca questo fondamentale CESSARE dal peccare, e si tenta di giustificare il peccare con mille motivazioni, non si può essere assolti dalla Confessione, perché verrebbe a mancare L’INTENZIONE a non peccare più. come accadde all’adultera perdonata, Gv.8,11, oppure: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio» (Gv.5,13-15).
  2. NO! La Dottrina della Chiesa non può cambiare perché “è fondata sulle Scritture”, come abbiamo provato sopra e nessuno, neppure un Papa, può cambiarla. Chi lo sta facendo ne risponderà a Dio! Come dobbiamo comportarci noi? La teoria è semplice e ora la conosciamo, ma la pratica è certamente più difficile: siamo pronti a sacrificarci per difendere la sana dottrina? Questo è il punto, alla fine di ogni bella discussione. Ci sono aspetti nella dottrina che non possono essere messi in discussione, ma solo accolti o rifiutati, assumendosene la responsabilità e non pregiudicando la Verità con i compromessi.

Come combattere? Innanzi tutto PREGANDO, pregando tanto specialmente con il Rosario e LE VISITE DI RIPARAZIONE AL SANTISSIMO! Insieme a questo dobbiamo conformarci al Cristo nella vera sua Chiesa e dunque… vivere coerentemente non soltanto la nostra vita cercando di allontanare da noi ogni peccato, ma anche predicando controcorrentedobbiamo riappropriarci del vero “pensiero cattolico”.

Ci sono molte persone buone che vivono effettivamente in coerenza al vangelo, peccato però che poi, quando predicano, si scoprono tanto misericordiosi, ma così tanto anche più di Dio che nella Scrittura ha parlato, così da creare “categorie di peccatori privilegiati“, così da dare i Sacramenti a chiunque fosse in stato di peccato anche grave, così da inficiare la Parola di Dio, così da sembrare loro – la neo chiesa – nella ragione e  la cattiva Chiesa del passato nel torto. Lo slogan di fondo non è “il peccato è questo ed è peccato” ma quel perverso: “che male c’è a vivere così? Chi sono io per giudicare?”. Cattolici che si esprimono così ce ne sono tanti, troppi, dimenticando che dire le cose come stanno non è affatto giudicare le persone, ma riconoscere ciò che è male e condannarlo col suo vero nome (Is.5,20).

Concludiamo con una domanda da rivolgere a noi stessi: siamo pronti a vivere nella Verità e per la Verità, costi quel che costi? Questo non vuol dire offendere, essere violenti, additare le singole persone o giudicarle, piuttosto come insegna Gesù è avere quel “fuoco” vero dello Spirito Santo che animò lo stesso san Paolo, si legga Galati 1,6-10, che docilmente fino alla morte, ma anche tenacemente fino alla morte, dice le cose come stanno senza fare alcun compromesso, accompagnando i peccatori ad abbandonare lo stato di peccato e a vivere in comunità di veri redenti, idonei e adatti al vero discepolato cristiano-cattolico.

Laudetur Jesus Christus

AGGIORNAMENTO: che si può AMARE e ci possa amare fra coniugi come “Cristo comanda” si può, non è utopia e non è impossibile, non è una idea MA LA GRAZIA DEL SACRAMENTO.

Ecco una prova bellissima tratta da La Nuova Bussola Quotidiana, vedi qui: “Che non sono parole lo dicono anche Diego e Marta, 3 figli, che “abbiamo scoperto queste cose dopo 20 anni di matrimonio: ci rispettavamo certo, ma questa unità profonda non la vivevamo”. Marta spiega di quando cercava ovunque la risposta a quella sete che avevo di Amore totale, “ma al primo seminario a cui partecipai, don Renzo disse che la risposta era lì davanti a me da 20 anni, era nel sacramento: cominciammo (come fanno centinaia di famiglie legate a Mistero Grande e sparse per l’Italia) a pregare insieme ogni giorno, a leggere il Vangelo quotidiano, ad aprire casa a chi voleva pregare con noi e tutto cambiò”.

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