- Dunque… si va “in-contro” all’uomo per annientare l’incontro con il Cristo, eluderlo, superare ciò che per loro (per i gesuiti modernisti e la nuova chiesa con la sua nuova pastorale) è l’ostacolo principale: LA CONVERSIONE AL CRISTO. In sostanza: in-contrarsi con l’Uomo (nuovo umanesimo) facendo da parte Cristo, per evitarne lo scontro, ma anche l’incontro, la conversione alla Legge di Dio. Da qui questi termini della nuova educazione globale; nuovo umanesimo, il dio di tutti sottoscritto ad Abu-Dhabi, un dio anonimo… che possa andare bene a tutte le religioni, affinché queste possano riconoscersi in una religione mondiale.
Prima di lasciarvi a leggere due brevi articoli dalla Bussola nella sezione dedicata alla Dottrina Sociale della Chiesa, è importante sottolineare i seguenti aspetti. Siri fu tra i primi cardinali a denunciare, senza mezze parole, la pericolosità della dottrina dell’eretico gesuita Karl Rahner e ammonì i Gesuiti con queste parole: “Rahner ha rovinato tutto e non capisco come mai i gesuiti l’abbiano sopportato fino all’ultimo. Chi di voi gesuiti se ne vuole andare se ne vada, ma chi resta deve essere come sant’Ignazio”. (vedi qui la fonte originale)
Il motivo per cui – i gesuiti ai vertici di allora che erano Modernisti, con Pedro Arrupe – “sopportarono” Rahner è semplice: la pensavano alla stessa maniera o, al limite, si servirono dell’eresia rahneriana, sopportandolo, per poter avanzare liberamente con il loro progetto di “rivoluzione nella chiesa”, qui troverete tutti i dossier e gli studi approfonditi. Bisogna riconoscere che, parlare oggi dei Gesuiti è come sbattere contro un muro di gomma, se ci dice bene, altrimenti è un vero tabù, quasi che a voler sottolineare la deriva modernista intrapresa da una parte di gesuitismo con Pedro Arrupe, sia proprio un attentato di lesa maestà… Purtroppo in molti ambienti anche sani, dove si tenta di corregge la deriva dell’attuale pastorale filo-rahneriana, parlare di questo gesuitismo malato, è un vero tabù….
In questi ambienti – poiché i Gesuiti sono stati fondati da un Santo – non si toccano e non si discutono, punto, e perciò non si tocca l’argomento “Gesuiti Modernisti” a prescindere da tutto, ma agire in questo modo è sbagliato e porta allo sdoganamento dell’eresia di Rahner con la riabilitazione dell’altro gesuita eretico de Chardin e, a breve, alla beatificazione di Pedro Arrupe. A cosa serve, allora, IL DISCERNIMENTO se, persino in ambienti cattolici, discutere queste derive è tabù? Fatta salva LA RADICE della Compagnia di Gesù fondata da sant’Ignazio ed arricchita dal sangue di centinaia di veri martiri, è onesto cercare di capire che cosa è accaduto dopo la loro riabilitazione del 1814, cosa e chi si è infiltrato per giungere a capire chi è Jorge Mario Bergoglio e come intende procedere papa Francesco.
Tornando un momento al cardinale Siri egli aveva, dunque, rilevato i capisaldi dell’eresia gesuitica degli Anni ’70…. ed è riportata in un libro che il grande teologo domenicano Padre Raimondo Spiazzi dedicò a Siri. Il cardinale Siri mette con le spalle al muro il caso più devastante del nostro tempo: il gesuita Karl Rahner e il suo rahnerismo. Quanto segue è riportato integralmente dal libro citato.
- Il cardinale Siri porta un caso ben preciso, quello di Rahner, con annessi e connessi. Di lui sottolinea le molte parafrasi usate, l’ermetismo del linguaggio, e individua ed espone alcune affermazioni che cambiano radicalmente la dottrina cattolica.
- 1. Le fonti del dogma, secondo Rahner, sono: a) la dottrina del Nuovo Testamento su Gesù; b) la dottrina ecclesiastica; e c) la predicazione odierna.
- 2. Nella cristologia che risulta dal N.T. ci sarebbero delle concezioni di fondo diverse, ma che non si eliminano a vicenda, secondo che si preferisce uno schema di ascesa o di discesa. Sono già teologie che vanno al di là dell’autotestimonianza di Cristo. Ma nella “nuova Cristologia trascendentale” di Rahner si può andare ben oltre.
- 3. In particolare viene così superato il problema della “preesistenza” di Cristo (Verbo) derivata dalla dottrina giudeo-ellenista. Secondo Rahner la cristologia odierna deve tornare alla cristologia dell’ascesi che in Paolo e Giovanni divenne “troppo presto” cristologia della discesa e quindi dell’Incarnazione. La Chiesa la prese da Paolo e Giovanni. E dunque oggi, la nuova predicazione più che dell’Incarnazione deve parlare di “vicinanza assoluta” dell’uomo a Dio: Cristo (ci troviamo qui di fronte ad un vero ribaltamento dei valori dottrinali). Ci si chiede: Chi è quest’uomo che si trascende? L’individuo Cristo o il genere umano? Che cosa rimane del Cristo del N.T. e dei dogmi? Che cosa significa “vicinanza assoluta”? Linguaggio trascendentale, ermetismo speculativo o dotte espressioni per coprire ciò che si dice?
- 4) Secondo il cardinale Siri queste “proposizioni esplicite e implicite… non possono velare la netta negazione”. (..) Hans Kung è stato meno ermetico e meno diplomatico, ma in perfetta linea col suo maestro Rahner, quando ha negato la divinità di Cristo sia prima sia dopo il battesimo, riducendo tutti i dati evangelici a leggende…
Perdonate queste lunghe citazioni ma… se vogliamo comprendere cosa sta accadendo oggi nella Chiesa, la “Chiesa di Karl Rahner” del professore Stefano Fontana, vedi qui, e di ciò che sta accadendo per il sinodo sull’Amazzonia, che cosa è questa smania di pretendere UN NUOVO UMANESIMO (del quale approfondiremo in un altro articolo)… ed altro, è fondamentale andare alle radici del problema…
INCLUSIVISMO – IN-CONTRO…. le due parole d’ordine della chiesa di papa Francesco e di tutto il progetto gesuita…. Nella etimologia dei termini “IN-CONTRO” significa più semplicemente “trovarsi di fronte a…“, ed è anche un “confrontarsi”, da non sottovalutare che tra i sinonimi troviamo “COMPETERE – CONFRONTO – ACCORDO – COMPROMESSO“…. Il suo “contrario” è il CONGEDARSI… Restando così alla lectio del cardinale Siri, e quella di Ratzinger che ora andremo ad esprimere è evidente che, secondo la concezione di Rahner e della chiesa di oggi retta da questi gesuiti modernisti filo rahneriani – L ‘IN-CONTRO – è diventato un congedarsi dal Cristo Gesù, per incontrare IL NUOVO UMANESIMO da includere dentro il cattolicesimo, cattolicizzando l’uomo senza alcuna necessità che questi si converta (incontrarsi) al Cristo Signore.
- Dunque… si va “in-contro” all’uomo per annientare l’incontro con il Cristo, eluderlo, superare ciò che per loro (per i gesuiti modernisti e la nuova chiesa con la sua nuova pastorale) è l’ostacolo principale: LA CONVERSIONE AL CRISTO. In sostanza: in-contrarsi con l’Uomo (nuovo umanesimo) facendo da parte Cristo, per evitarne lo scontro, ma anche l’incontro, la conversione alla Legge di Dio. Da qui questi termini della nuova educazione globale; nuovo umanesimo, il dio di tutti sottoscritto ad Abu-Dhabi, un dio anonimo… che possa andare bene a tutte le religioni, affinché queste possano riconoscersi in una religione mondiale.
Infatti, quanto all’allora cardinale Joseph Ratzinger, che non nascose mai la sua “amicizia” con Karl Rahner ma, al tempo stesso, non difettò di denunciarne gli errori e il tentativo di correggerne il tiro, è necessario capire il metodo da lui usato che non era mai diretto e non era mai votato a condannare il soggetto di eresia… Si può certamente criticare il metodo usato da Ratzinger, ma non si può negare che egli abbia denunciato a modo suo e condannato l’eresia…. Un esempio che vale la pena di approfondire è in questo articolo: Raniero La Valle, Ratzinger e l’evoluzione del dogma ….
Nel libro (stranamente sparito dalle pubblicazioni) La Chiesa Israele e le religioni del mondo, Ratzinger mise in guardia dal SINCRETISMO avanzante dentro la Chiesa… tradotto poi nella famosa Dominus Jesus, vedi qui. A ragione si chiedeva Ratzinger: «la religione teistica, dogmatica e gerarchicamente ordinata, è di necessità intollerante? La fede nella verità formulata nel dogma rende incapaci di dialogo? L’attitudine alla pace è legata alla rinuncia alla verità?» (p. 69). La risposta è no. Ratzinger dice chiaramente che «l’incontro tra le religioni non può avvenire nella rinuncia alla verità, ma è possibile solo mediante il suo approfondimento. Lo scetticismo non unisce. E nemmeno il puro pragmatismo unisce. […] Vanno incoraggiati invece il rispetto profondo per la fede dell’altro e la disponibilità a cercare, in ciò che incontriamo come estraneo, la verità che ci può concernere e può correggerci e farci progredire»..
- «Qual è dunque il vero ecumenismo? – si chiedeva Ratzinger –
- Consiste forse nello smettere di evangelizzare, limitandosi invece ad aiutarsi reciprocamente a diventare migliori cristiani, ebrei, musulmani, induisti o buddisti?
- Rispondo di no.»..
Perdonate ora, se per concludere, vi offriamo un’altra lunga citazione ma è fondamentale per capire la VERA RISPOSTA DI BENEDETTO XVI – vedi qui testo integrale – CHE DENUNCIA RAHNER QUALE IDEATORE DI IDEE CONTROVERSE E PER NULLA CATTOLICHE, leggiamolo:
“Negli ultimi tempi sono stati formulati diversi tentativi allo scopo di conciliare la necessità universale della fede cristiana con la possibilità di salvarsi senza di essa. Ne ricordo qui due: innanzitutto la ben nota tesi dei cristiani anonimi di Karl Rahner. In essa si sostiene che l’atto-base essenziale dell’esistenza cristiana, che risulta decisivo in ordine alla salvezza, nella struttura trascendentale della nostra coscienza consiste nell’apertura al tutt’altro, verso l’unità con Dio. La fede cristiana avrebbe fatto emergere alla coscienza ciò che è strutturale nell’uomo in quanto tale. Perciò quando l’uomo si accetta nel suo essere essenziale, egli adempie l’essenziale dell’essere cristiano pur senza conoscerlo in modo concettuale. Il cristiano coincide dunque con l’umano e in questo senso è cristiano ogni uomo che accetta se stesso anche se egli non lo sa. È vero che questa teoria è affascinante, ma riduce il cristianesimo stesso a una pura conscia presentazione di ciò che l’essere umano è in sé e quindi trascura il dramma del cambiamento e del rinnovamento che è centrale nel cristianesimo….”
E se non bastasse, Ratzinger aggiunge ancora:
“Ancor meno accettabile è la soluzione proposta dalle teorie pluralistiche della religione, per le quali tutte le religioni, ognuna a suo modo, sarebbero vie di salvezza e in questo senso nei loro effetti devono essere considerate equivalenti. La critica della religione del tipo di quella esercitata dall’Antico Testamento, dal Nuovo Testamento e dalla Chiesa primitiva è essenzialmente più realistica, più concreta e più vera nella sua disamina delle varie religioni. Una ricezione così semplicistica non è proporzionata alla grandezza della questione… (…) Quello di cui la persona umana ha bisogno in ordine alla salvezza è l’intima apertura nei confronti di Dio, l’intima aspettativa e adesione a Lui, e ciò viceversa significa che noi assieme al Signore che abbiamo incontrato andiamo verso gli altri e cerchiamo di render loro visibile l’avvento di Dio in Cristo. È possibile spiegare questo “essere per” anche in modo un po’ più astratto. È importante per l’umanità che in essa ci sia verità, che questa sia creduta e praticata. Che si soffra per essa. Che si ami. Queste realtà penetrano con la loro luce all’interno del mondo in quanto tale e lo sostengono. Io penso che nella presente situazione diventi per noi sempre più chiaro e comprensibile quello che il Signore dice ad Abramo, che cioè dieci giusti sarebbero stati sufficienti a far sopravvivere una città, ma che essa distrugge se stessa se tale piccolo numero non viene raggiunto. È chiaro che dobbiamo ulteriormente riflettere sull’intera questione.“
Ora vi lasciamo ai testi de La Nuova Bussola: IL DOSSIER AMAZZONIA
- Verso il sinodo Amazzonia: Ratzinger e Rahner a confronto
- Preti sposati, una breccia nel cuore della Chiesa
11 Dicembre 2008 – mons. Guido Marini, Maestro delle Cerimonie Liturgiche del Sommo Pontefice

Conferenza – Presentazione libro: Omelie del Cardinale Siri

Poche parole e ben dette
Chiesa di San Benedetto in Piscinula, 11 dicembre 2008
Quanto mi viene richiesto in questa serata è una testimonianza. Lecita, dunque, è una domanda: chi è colui che può testimoniare? Chi ha incontrato, visto e sentito. Io, per grazia, ho incontrato il Cardinale Giuseppe Siri, l’ho visto e l’ho sentito.
Ho parlato di grazia e non a caso. Ritengo, infatti, che sia sempre una grazia del Signore avere l’opportunità di fare la conoscenza di uomini grandi. Grandi non perché tali davanti al mondo – è questa una ben piccola e povera grandezza -, ma perché grandi davanti a Dio. E di questa grandezza intendo parlare quando mi riferisco al Cardinale Siri. In lui l’ho incontrata.
La Provvidenza di Dio l’aveva dotato di moltissimi talenti, tra i quali spiccavano la sua ricca umanità, la luminosa e non comune intelligenza, la nobiltà dell’animo, un tratto signorile e austero ma altrettanto autenticamente buono e semplice. In virtù dell’opera della grazia, di una diuturna ascesi personale, di una fede intensa e di un’appartenenza ecclesiale fedelissima questi talenti hanno potuto risplendere per il bene di molti, moltissimi: ancora adesso. Tra questi vi sono anch’io.
Ho avuto modo di avvicinare il Cardinale Siri la prima volta quando frequentavo il Liceo Classico presso una delle scuole statali della mia città. Da poco avevo cominciato ad essere assiduo alla vita della Chiesa e già riflettevo sulla prospettiva di entrare in Seminario al termine del mio percorso scolastico superiore. Ebbi l’opportunità di partecipare in diverse circostanze a Celebrazioni Eucaristiche presiedute dall’allora Arcivescovo, alcune volte anche servendo la Messa come ministrante.
Più tardi, ormai seminarista, avrei avuto modo di ascoltare la predicazione del Cardinale con più continua frequenza, ripercorrendo i grandi momenti dell’anno liturgico, anche a motivo del servizio che, come Seminario, si prestava in Cattedrale nelle feste, nelle solennità e negli eventi significativi della vita diocesana, come è consuetudine ancora oggi.
Ed è a partire da qui che prende forma la mia testimonianza, ovviamente limitata all’ambito delle omelie, alcune delle quali sono state pubblicate nel volume questa sera presentato e curato dal mio caro confratello nel sacerdozio e amico dai tempi del Seminario, Mons. Antonio Filipazzi.
Si sa, i giovani, tra le diverse caratteristiche tipiche della loro età, hanno quella di essere molto esigenti. Anche quando si pongono in ascolto di un’omelia, che loro vorrebbero sempre inappuntabile sotto ogni punto di vista, vale a dire perfetta.
Quelle del Cardinale ho l’ardire di affermare che, se è possibile nelle cose umane parlare di perfezione, perfette lo erano; o almeno a me davano allora questa impressione e così io oggi me le ricordo. La mia mamma, che in tante occasioni aveva ascoltato Siri predicatore, amava ripetere spesso, con un accento di meraviglia: “Come predica bene il Cardinale Siri!”. Ritornerò più avanti su questo apprezzamento della mia mamma e ne spiegherò il perché.
- Rimanendo in ascolto delle omelie di Siri non era possibile annoiarsi. Al dono della sinteticità si accompagnava l’altro grande dono di un’estrema chiarezza del pensiero. Non credo che un’omelia del Cardinale abbia mai superato i dieci minuti, almeno io non lo ricordo. Eppure in quel breve tempo era detto tutto ciò che era da dire: né più né meno. E quelle parole rimanevano ben impresse nella mente e nel cuore. Nella mente, per la limpidezza del discorso e la chiarezza dei singoli passaggi; nel cuore, per la profondità religiosa e sapienziale dei contenuti. A noi seminaristi ricordo che una volta disse: “Mi raccomando: quando avrete da fare le omelie non superate i sette-otto minuti. Si può dire tutto in sette-otto minuti”. E aggiungeva, con la saggezza del grande pastore: “Se avrete parlato bene, tutti saranno contenti; se sarete stati noiosi, tutti saranno contenti ugualmente, perché non l’avrete fatta tanto lunga”.
- Dicevo la chiarezza del pensiero. Mi ha sempre affascinato la capacità di Siri di rendere semplice anche ciò che era oggettivamente complesso e articolato. Ma si sa, questa è la virtù dei grandi oratori; rendere accessibile a tutti, pure ai meno dotti, le verità più complesse e impervie, anche della fede. Il Cardinale appariva, a me giovane, come il grande artista per il quale compiere un esercizio difficilissimo diventa estremamente semplice, quasi che non debba comportare un allenamento estenuante, una profusione di energia e di talento. Siri era il grande artista della fede che, con le sue non comuni doti intellettuali e spirituali, sapeva “spezzare” le verità della dottrina cristiana in modo tanto semplice quanto affascinante. Al termine di una sua omelia ci si fermava a riflettere e a dirsi: “E’ proprio così! Come sono belli i misteri della vita del Signore! Come vorrei vivere nella luce di quanto ho ascoltato!”.
- Tipico dell’arte omiletica del Cardinale era il tono: a tratti severo, altre volte commosso, in alcuni momenti esortativo e suadente, spesso lapidario. Soprattutto questa ultima caratteristica faceva sì che difficilmente ci si potesse dimenticare di quanto si era ascoltato. Quante volte ho sentito dire, ad esempio, dai sacerdoti: “Ciò che il Cardinale ha detto il giorno della mia ordinazione non potrò mai dimenticarlo”. Nelle orecchie rimaneva il contenuto delle sue parole e, insieme, il tono con il quale erano state pronunciate. Ed era un messaggio al cuore che durava per la vita. Io stesso ho potuto fare in prima persona questa esperienza. Confido che di tanto in tanto mi ritorna alla mente qualche parola pronunciata da Siri in quella o in quell’altra circostanza liturgica. Con la parola mi si affaccia alla mente la figura ieratica del grande Cardinale, ne risento il timbro inconfondibile della voce. E avverto che quella parola, un giorno donatami, rimane nell’oggi fedele compagna di viaggio a illuminare i passi del mio sacerdozio.
- In merito al tono ho usato anche la parola “commosso”. Può sembrare strano questo tratto nella personalità, tra l’altro marcatamente genovese, del Cardinale Siri. Chi conosce l’animo profondo di Genova e dei suoi abitanti, sa che raramente si è disponibili a mettere in mostra i propri sentimenti, se non con chi ci è particolarmente familiare e dopo un tempo prolungato di frequentazione. Non si è lontano dal vero se si afferma che per il Cardinale non era fuori luogo esternare sentimenti ed emozioni nel contesto dell’assemblea liturgica: perché quella era la sua famiglia, la sua famiglia carissima. E tuttavia, si può aggiungere che, spesso, era il tema trattato a suscitare il movimento del cuore in Siri pastore d’anime. Ho in mente, soprattutto, le splendide omelie pronunciate nella grande solennità dell’Immacolata, in quella che era la sua parrocchia di origine – la chiesa dell’Immacolata, appunto – e della quale, come ogni Arcivescovo di Genova, era nativamente abate parroco. Lì, davvero, spesso si lasciava andare. Era l’ambiente umano e spirituale che lo permetteva. Ma era anche il pensiero della Vergine Santa, della quale era devoto in modo filiale e, mi permetto di dire nel senso più bello del termine, fanciullesco. La sua, ovviamente, era una devozione radicata nella grande teologia, ma anche calda e affettuosa. E come tale sapeva comunicarla.
Aggiungo che, a proposito della commozione, tra noi seminaristi girava la notizia che, ogni tanto, il nostro Cardinale, proprio per non cedervi, portava con sé, nella mano, un temperino con il quale era pronto a pungersi, quando durante l’omelia avesse preso il sopravvento l’aspetto emotivo. Penso che il piccolo segreto trapelato fosse vero e conferma, se ce ne fosse bisogno, l’animo molto sensibile di Siri, il suo essere geloso dei sentimenti più intimi, il suo amore delicato e intenso per le cose di Dio.
- La teologia del Cardinale Siri. Tutti ben conoscono la sua straordinaria levatura teologica. Non è questo il contesto per ricordarla nel dettaglio. Solo mi è caro testimoniare quanto in lui, nell’omiletica, la teologia si sia coniugata con la spiritualità. In tal modo, l’omelia era sempre ricca di dottrina e, al contempo, assai stimolante per la vita cristiana e gli impegni nell’ordine della pratica morale. Le verità della fede, celebrate liturgicamente, erano portate alla luce per essere contemplate. Quindi, se ne rendeva chiaro il riferimento all’esistenza quotidiana, conservando integro il rapporto di complementarietà tra contemplazione e azione. L’omelia, con il Cardinale Siri, diventava via maestra alla partecipazione attiva alla celebrazione, se per partecipazione attiva si intende l’incontro della mente e del cuore con il mistero di Dio, nei segni propri della Liturgia, così da rimanerne trasformati in ordine alla progressiva santificazione.
- Un mio ricordo caro è quello legato alle visite che il Cardinale faceva al nostro Seminario, in occasione della festa di San Luigi. Era, quella, anche la festa del Seminario e si concludeva l’anno accademico insieme all’anno di formazione, così come accade anche oggi. Per noi seminaristi la Messa presieduta dall’Arcivescovo era un momento molto forte di quella giornata. E, in modo particolare, si attendeva l’omelia. Un’omelia sempre fondata sui testi liturgici della festa, sempre attenta alle note biografiche del Santo, sempre protesa a indicarci le mete spirituali a cui tendere nel tempo della preparazione al sacerdozio. In tanti modi il Cardinale faceva sentire a noi, suoi seminaristi, il bene che ci voleva. Basti pensare alla frequenza settimanale con la quale non mancava mai di farci visita, rimanendo disponibile un intero pomeriggio per incontri personali e di classe. Ma, certo, il momento della predicazione dava modo al cuore del nostro Pastore per manifestare l’affetto intenso, vero nutrito per noi. Si capiva che per il tramite della parola egli desiderava comunicarci i tesori della fede e della dottrina, introdurci al desiderio appassionato per la verità, stimolarci a una vita di santità, additarci l’amore fedele alla Chiesa. Insomma, accompagnarci ad essere un domani sacerdoti secondo il cuore del Signore. E lo si sentiva benissimo!
- Non l’ho mai visto leggere un’omelia. Il suo era un procedere “a braccio”. Non perché non si preparasse. No di certo. Piuttosto perché si preparava molto bene e aveva il dono di far fluire le parole senza l’appoggio di testi scritti. In tal modo, tra l’altro, era nella condizione di modulare quanto diceva facendo riferimento alla situazione concreta dell’assemblea e al clima spirituale che si andava profilando. E, perché no, lasciandosi anche portare dall’ispirazione del momento. Poteva guardare il volto della sua gente e la sua gente poteva guardare il suo volto: e prendeva vita quel dialogo della salvezza che fa tornare alla mente la predicazione del grande Sant’Agostino. Qualcuno si domandava: “Come fa il Cardinale a parlare a braccio, a volte anche con frasi incidentali impegnative, senza mai perdere il filo del discorso?”. Doni di natura e doni di grazia, che ancora oggi in me suscitano meraviglia.
- E’ da quasi vent’anni che sono sacerdote. E mentre gli anni passano, come capita a tutti, avverto sempre più intenso il desiderio di ritrovare le radici di quanto si è sviluppato in me nel corso del tempo. Così a volte mi sono domandato a che cosa devo l’amore per la Liturgia. Forse i motivi da andare a ricercare sono molteplici. Eppure, non faccio fatica a ritrovare una radice viva di questo mio amore nell’esempio lasciatomi dal Cardinale Giuseppe Siri. Bella, ma lunga e articolata, sarebbe una memoria della Liturgia della Chiesa nell’insegnamento e nella pratica del Cardinale. Credo che possa bastare questo: in lui, realmente, l’omelia era un momento qualificante dell’atto liturgico: il libro che oggi viene presentato lo attesta. Attraverso l’omelia, si era accompagnati alla comprensione del mistero celebrato. Così la parola apriva la mente e il cuore alla celebrazione e la celebrazione appariva l’esplicitazione della parola proclamata.
A questa scuola, che giudico altissima, ho appreso l’amore per la Liturgia della Chiesa. Le omelie del Cardinale Siri, per diversi anni, gli anni della mia giovinezza e della mia formazione al sacerdozio, mi hanno accompagnato all’esperienza viva del mistero del Signore e della Chiesa nella forma della celebrazione liturgica.
Questa mia testimonianza, allora, è anche un rendimento di grazie dovuto. Al Cardinale Giuseppe Siri, per avermi introdotto alla conoscenza e all’amore per la Liturgia, anche attraverso le sue omelie. E al Signore, – così vorrebbe il Cardinale con il suo celebre motto “Non nobis, Domine, non nobis” – per avermi dato la grazia di incontrare un grande uomo di Chiesa.
Che cosa dire di questo bel volume che oggi è stato presentato? Mi ci sono ritrovato, o meglio, vi ho ritrovato il Cardinale Siri, con l’esperienza personale che ho avuto di lui a Genova: la sua parola, il tono della sua voce, il tratto inconfondibile della sua arte omiletica. Ed è per questo che è un volume da leggere, da meditare e a partire dal quale decidersi per una vita cristiana migliore. Farà del bene a tutti. Certamente farà del bene soprattutto a noi sacerdoti, se vorremo trovare in queste omelie uno stile, antico e moderno, sempre attuale, che vale la pena cercare di imitare.
Ritorno, a conclusione di questa testimonianza, alla mia mamma, grande ammiratrice del Cardinale Siri e ora in Paradiso. Da quando sono diventato sacerdote, spesso, prima che uscissi di casa per andare a celebrare la Messa o a tenere qualche predicazione, mi diceva: “Mi raccomando, Guido, non farla tanto lunga: poche parole e ben dette!”. Quanta saggezza in queste parole della mia mamma e quanta eco dello stile di Giuseppe Siri. Anzi, in fondo, proprio una sintesi di quanto ho cercato di testimoniare di lui e delle sue omelie.