Ricordando già come sull’argomento abbiamo parlato qui: Non è vero che Papa e Pastori hanno sempre ragione; Paolo IV Cum ex apostolatus officio infallibilità papale; Il Segreto di Fatima, il papato e la tiara; Il ruolo del Papa, Vicario di Cristo (prima parte); L’infallibilità papale non è infallibilismo (parte seconda); Il Papa è solo il vicario; Obbedienza al Papa, solo in relazione a Cristo….. ed infine: Pastor Aeternus la dottrina sulla vera infallibilità del Pontefice …
vogliamo ora proseguire da una trascrizione fatta dal sito Amico Il Pensiero Cattolico, vedi qui, molto interessante e che ringraziamo, di un sacerdote che spiega perchè è lecito “criticare” il Papa, ma facendo attenzione ai modi, ai contenuti e, non per ultima… la vera carità nel farlo.
Ulteriori link all’argomento li potete trovare anche nel sito amico “cronicasdepapafrancisco“: Criticare il Papa? Sì, si può; Papa Francesco sbaglia ma si può criticare soltanto Benedetto XVI; Papa Francesco: “ma no. Non la vedo così, sono stato frainteso…”; Vietato criticare il “papa dittatore”; Un magistero parallelo si impone su quello perenne; Papato, l’infallibilità non è automatica; Le critiche che fanno bene al Papa. Parola di Francesco; …. infine: “Correggere” il Papa? Sì, si può. Lo spiega il padre domenicano Spiazzi….
Ricorda che: Codice di Diritto Canonico (212.3)
concàuṡa s. f. [dal lat. mediev. concausa]. – Causa che concorre insieme con altre a produrre un determinato evento, soprattutto come termine giuridico; è elemento importante del giudizio penale, in quanto può in taluni casi escludere la colpevolezza dell’imputato e quindi la pena.
Riportiamo di seguito le riflessioni di Padre Marcelo Bravo Pereira, docente presso Ateneo Pontificio Regina Apostolorum sulle modalità in cui si possa “criticare” il Papa o i Vescovi, nel senso inteso cattolicamente parlando, di giudizio legato al discernimento, alla giusta comprensione con retta ragione. Egli ci dice che, prima di rapportarci a Vescovi o Sacerdoti, dobbiamo chiederci con quale atteggiamento ci stiamo ponendo: di superiorità, di rancore o per il bene della Chiesa e della Verità? Per un miglior discernimento o per “spirito del mondo”? E poi, in quello che noi stiamo criticando, si stanno valutando delle interviste o atti di Magistero? Il fedele si pone nell’atteggiamento di comprendere qual è il contesto in cui viene riportata una affermazione?
Tali riflessioni nascono spontanee rilevando il numero oramai endemico di fedeli che in questi tempi sono confusi, smarriti, e che sono alla ricerca di punti di riferimento forti, invece che fluidi, solidamente ancorati alla Tradizione, e non in continuo movimento. Molti sono impauriti, smarriti, e cercano nella Chiesa un supporto, spirituale e morale, solido e fermo, in un periodo in cui le forze mondane portano a prevaricare sui più deboli in maniera sempre più pressante, oppure di fedeli che si ritrovano a nuotare in acque malsane tra le varie sette che si ribellano alla Chiesa o alle forme varie di sedevacantismo, contro il Papa.
Questa confusione e questo smarrimento sfociano a volte in giudizi, prima che critiche, attacchi frontali ai propri pastori che, anche qualora possano essere giustificabili, devono essere correttamente motivati ed indirizzati, fatti pesare, anche come macigni, ma sempre per amore della Verità e nella carità, senza mai delegittimare i Pastori.
Dobbiamo quindi, con atteggiamento umile, costruttivo e per il bene della Verità, portare i nostri dubbi, le affermazioni che possono sembrare distanti dal Magistero perenne della Chiesa ai nostri Vescovi, ai nostri Sacerdoti, ai Preti, fino al Papa stesso e chiederne ragione.
E’ il Santo Padre Francesco stesso a invitarci più volte alla parresìa, alla franchezza. Qui in una sua omelia ” I capi, gli anziani, gli scribi, vedendo questi uomini e la franchezza con la quale parlavano, e sapendo che era gente senza istruzione, forse non sapevano scrivere, rimanevano stupiti. Non capivano: “Ma è una cosa che non possiamo capire, come questa gente sia così coraggiosa, abbia questa franchezza” (cfr At 4,13). Questa parola è una parola molto importante che diviene lo stile proprio dei predicatori cristiani, anche nel Libro degli Atti degli Apostoli: franchezza. Coraggio. Vuol dire tutto quello. Dire chiaramente. Viene dalla radice greca di dire tutto, e anche noi usiamo tante volte questa parola, proprio la parola greca, per indicare questo: parresìa, franchezza, coraggio. E vedevano questa franchezza, questo coraggio, questa parresìa in loro e non capivano. Franchezza. Il coraggio e la franchezza con i quali i primi apostoli predicavano … Per esempio, il Libro degli Atti è pieno di questo: dice che Paolo e Barnaba cercavano di spiegare agli ebrei con franchezza il mistero di Gesù e predicavano il Vangelo con franchezza (cfr At 13,46).“
Dobbiamo quindi, con atteggiamento umile, costruttivo e per il bene della Verità, portare i nostri dubbi, le affermazioni che possono sembrare distanti dal Magistero perenne della Chiesa ai nostri Vescovi, ai nostri Sacerdoti, ai Preti e chiederne ragione. Come battezzati è un diritto di chiunque portare le nostre critiche. Ma bisogna essere sempre rispettosi di coloro che, per diretta volontà divina, sono i nostri Pastori e guide, dall'”ultimo” dei Sacerdoti, fino al Papa.
Fatelo oggi, fatelo subito!
In Jesu et Maria, Claudio
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Dal libero canale Youtube di Padre Marcelo: Si possono criticare il Papa e i Vescovi? di seguito testualmente il trascritto dal video.
Una domanda che molti cristiani si fanno e se è lecito criticare il Papa, ma vediamo che ci sono tanti che si scandalizzano quando uno critica il Papa; ho sentito qualcuno che diceva che chi criticava il Papa sarebbe meglio uscisse dalla Chiesa, mentre ci sono altri che costantemente sembrano prendere di mira il Papa e criticare ogni cosa che fa, ogni cosa che dice in virtù di una cosiddetta fedeltà al Vangelo o fedeltà alla Tradizione.
Papa Francesco aveva recentemente pensato alla Chiesa come un fiume dove si può stare più a sinistra si può stare più a destra ma ciò che conta è stare dentro quel fiume, ma non uscire dal fiume perché dal momento in cui si esce dal fiume, sia da destra sia da sinistra, si perde questo flusso ovvero si esce da questo flusso benefico che è quello della Chiesa; allora possiamo o non possiamo criticare il Papa?
Partiamo con una definizione di tipo etimologico, che cosa significa giudicare e può significare due cose; criticare viene dal verbo κρίνω, “crino” e il primo significato di criticare corrisponde a quello di giudicare, ovvero condannare; il secondo significato è quello di discernere
Allora la prima domanda è: io posso giudicare il Papa? Chi giudica è un giudice ed il giudice deve stabilire se la persona che è giudicata è reo di una pena o si deve fare con lui (applicare a lui ndr) un certo tipo di giustizia, quindi se io giudico il papa mi sto collocando in un certo senso come un giudice; non dimentichiamo anche quello che dice Gesù: con la stessa misura con cui giudicherete sarete giudicati quindi io personalmente starei ben lontano da mettermi nella posizione di uno che giudica i Vescovi o giudica il Papa, perché le mie competenze sono si sono competenze teologiche, ma io non sono un Vescovo ed io non sono un Papa; inoltre sappiamo benissimo che la Chiesa ha ricevuto un dono, che è il dono della infallibilità che si esprime in due forme a livello magisteriale con il dogma dell’infallibilità con il quale sono rivestiti i nostri pastori quando insegnano in temi di morale e di fede e poi c’è l’altro carisma che riceve tutta la Chiesa che il sensus fidei, il senso della fede, il senso soprannaturale della fede .
Il secondo significato di κρίνω, “crino” è quello di discernere e, a questo punto, ogni volta che io ricevo un insegnamento, ma anche il Vangelo stesso, io lo ricevo secondo quello che io sono: io sono una persona quindi devo utilizzare la mia intelligenza, la mia capacità di comprensione per penetrare il mistero che mi viene presentato non per tentar di spiegarlo ,non per tentare di esaurire il significato del mistero perché altrimenti non sarebbe un mistero, ma affinché io possa aderire alla fede, possa aderire a una verità o possa aderire a una indicazione o a un un’enciclica una disposizione del papa o dei vescovi io la devo comprendere con la mia intelligenza proprio perché questo è ciò che mi fa essere umano che mi fa essere persona; la fede trascende la ragione, però la fede non va contro la ragione quindi anche le disposizioni che riceviamo dai nostri Vescovi, da Papa la dobbiamo ricevere con la capacità di riflettere su di essa e, in questa capacità di discernimento, di separare quello che appartiene alla fede e quello che potrebbe essere una proiezione piuttosto culturale del papa o dei vescovi che in questo momento guidano la Chiesa io potrei essere in disaccordo e a questo punto io devo discernere ciò che appartiene all’essenza della fede e ciò che potrebbe essere circostanziale e che potrebbe essere perfino dovuto a un errore di percezione da parte dei nostri Vescovi, da parte del Papa.
Non dimentichiamo che anche negli Atti degli Apostoli noi vediamo questi momenti in cui per esempio Paolo se la prende contro Pietro perché Pietro che prima mangiava con i con i pagani con i cristiani che venivano da mezzo ai pagani, poi si si ritira e non mangia più con loro. Paolo si mette di fronte a lui e gli rimprovera il fatto di non vivere secondo il messaggio che abbiamo ricevuto
Ma la stessa cosa capita con Paolo dopo che il Concilio di Gerusalemme aveva stabilito che non c’era bisogno di costringere i pagani che venivano la fede di essere circoncisi, Paolo in qualche modo cedendo alla pressione dei cristiani di origine ebraica fa circoncidere Timoteo.
Ci può servire a questo punto fare questa riflessione partendo da un documento molto importante della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1990 che si chiama Donum Veritatis e che è riferito al rapporto tra magistero e i teologi e soprattutto affronta il tema del dissenso quando un teologo si rende conto di non essere in accordo con l’insegnamento del Papa o con l’insegnamento dei Vescovi; come si deve comportare questo teologo quando, nella sua riflessione, nel suo approfondire la fede, si rende conto di non essere in accordo con il Papa?
Prendendo alcuni spunti da questo documento, li applichiamo alla situazione che stiamo affrontando e che è appunto il tema del dissenso, ovvero posso o non posso criticare il Papa? Posso o non posso criticare i Vescovi?
Ho separato alcuni paragrafi che leggo è commento con voi; all’inizio del documento firmato dal Cardinal Ratzinger che allora era il prefetto per la dottrina della fede si legge: “il teologo deve discernere in sé stesso l’origine e le motivazioni del suo atteggiamento critico e lasciare che il suo sguardo sia purificato dalla fede” ; l’impegno teologico esige uno sforzo spirituale di rettitudine e di santificazione molto bello, come sta espresso qui: quando il teologo si trova in una situazione di dissenso la prima cosa che deve fare è discernere, appunto quello che dicevamo giudicare, ma prima di giudicare riguardo a ciò che dice il Papa egli deve giudicare sulle proprie intenzioni, su ciò che ha nel suo cuore chiedendomi: per quale motivo io non riesco ad aderire a quello che dice il Papa? Qual è l’origine? Quali sono le motivazioni dell’atteggiamento critico? Perché il motivo può essere giusto e lo dice anche il documento: in ciò che corrisponde non temi di fede o di morale il magistero nell’insegnamento quando non sta insegnando temi di fede e di morale potrebbe commettere degli errori; questo è umano: la Chiesa è stata fondata su Dio in Cristo però è stata data agli uomini che sono perfettibili che hanno errori di percezione e può darsi che in un momento, in alcune atteggiamenti soprattutto pratici, i nostri Vescovi o il Papa commettono degli errori quindi potrebbe essere giustificato e comprensibile
Ma la mia domanda è: cosa mi muove a criticare? Ed io ho visto nella mia esperienza come teologo che alle volte ci sono alcune persone che sono d’accordo con il Papa perché il Papa è in accordo con loro; nel momento invece in cui il Papa insegna una dottrina che non corrisponde a ciò che io penso che dovrebbe essere la dottrina della fede o ne insegno una nel mio insegnamento non ufficiale o non solenne, [io] insegno qualcosa che corrisponde piuttosto a una corrente di tipo di pensiero più che al alla dottrina della fede: immediatamente scatta qualcosa dentro di me, come se non si non fossi o preoccupato tanto dalla correttezza della dottrina ma piuttosto del fatto che mi sta contraddicendo e allora è importante fare un discernimento per vedere cosa c’e nel mio cuore quando io non riesco ad aderire a quello che insegna il Papa cosa c’è nel mio cuore. Ho aderito alla fede o ho aderito alla mia versione di fede, alla mia personale posizione di fede; questa è la prima cosa che bisogna fare e che molti non fanno.
Un altro passo di questo documento dice: “la volontà di ossequio leale a questo insegnamento del magistero in materia per sé non irreformabile deve essere la regola” ; qui sta parlando di tutti quegli insegnamenti che non sono insegnamenti di fede ma che sono insegnamenti di tipo prudenziale; noi abbiamo sentito tante cose ultimamente riguardo per esempio come affrontare dal punto di vista ecclesiale il problema della pandemia che quindi non sono temi di per sé irriformabili o definitivi o fondamentali per la fede, ma riguardano piuttosto scelte prudenziali; però il documento sta dicendo che io devo avere la volontà di ossequio leale, come fedele cristiano, come teologo, come sacerdote nei confronti dei nostri vescovi devo avere un atteggiamento di ossequio leale cioè di apertura di benevolenza ; non è possibile che un fedele ogni volta che un Vescovo parli, immediatamente andiamo a trovare dove sbaglia perché non partire [invece] da quello che positivo, da quello che è costruttivo? E poi in un secondo momento forse se io trovo delle cose da migliorare. “L’uomo buono vede tutto con occhi di bontà”, continua la lettura; qui si sta parlando del momento in cui sorgono le tensioni e dice il documento, se le tensione non nascono da un sentimento di ostilità e di opposizione possono rappresentare un fattore di dinamismo e uno stimolo che sospinge il magistero e di teologi ad adempiere le loro rispettive funzioni praticando il dialogo.
Questo si riferisce al rapporto tra magistero e i teologi, ma potrebbe essere riferito a qualunque cristiano. I fedeli nei confronti dei propri vescovi sono persone attive, sono persone intelligenti. Magari tutti i cristiani avessero la formazione sufficiente per poter proporre anche ai nostri vescovi dei miglioramenti, delle osservazioni di approfondimento; magari potesse essere così, perché questo spinge i pastori a un dialogo proficuo. Ogni cristiano potrebbe essere un profeta e parlare in nome di Dio, sempre d’accordo con la fede [che] è sempre in virtù di quel dono che ha ricevuto ogni cristiano nel sensus fidei; quando tu veramente vivi la tua fede, il Signore ti dona questa capacità spirituale di poter capire la fede e qui si crea un rapporto di dialogo abbastanza interessante, che arricchisce la Chiesa, ma sempre in atteggiamento costruttivo; se io mi pongo con un atteggiamento di superiorità, avendo magari fatto semplicemente degli studi del catechismo, e ho seguito qualche sacerdote, ho letto qualche libro e già mi sento il maestro di teologia e comincio a giudicare quello che si deve fare o non si deve fare senza conoscere in profondità la teologia, senza conoscere neanche la storia della Chiesa, la storia della teologia, la storia dei dogmi, che conosce dei momenti di andare in avanti ed andare indietro*, quindi mettermi in una posizione di superiorità non funziona; però una posizione di dialogo costruttivo è sempre utile, sempre importante.
C’è un ultimo paragrafo di questo documento Donum Veritatis, che vi leggo per intero (numero 30), e che mi sembra molto importante proprio in queste circostanze, quando il teologo ma anche quando il fedele si trova nella situazione in cui non capisce e pensa che non riesce a conciliare la propria visione della Chiesa o la visione tradizionale della chiesa con quello che è l’insegnamento Magisteriale: “se malgrado un leale sforzo le difficoltà persistono, è dovere del teologo”, e io direi di ogni cristiano “far conoscere alle autorità magisteriale i problemi suscitati dall’insegnamento in sé stesso nelle giustificazioni che ne sono proposte o ancora nella maniera con cui è presentato, egli lo farà in uno spirito evangelico con il profondo desiderio di risolvere le difficoltà; le sue obiezioni potranno allora contribuire a un reale progresso stimolando il Magistero a proporre l’insegnamento della Chiesa in modo più approfondito e meglio argomentato, in questi casi il teologo eviterà di ricordi ricorrere ai mass media invece di rivolgersi alle autorità responsabile perché non è esercitando in tal modo una pressione sull’opinione pubblica che si può contribuire alla chiarificazione dei problemi dottrinali e servire la verità”.
Quindi secondo me dobbiamo bandire articoli video, commenti, lettere aperte che l’unica cosa che riescono a fare è gettare fango sul ministero episcopale, sul ministero del Papa se io devo presentare la verità lo dovrò presentare nel modo giusto, offrire delle soluzioni, parlare senz’altro, parlare.
Ma nel momento in cui io comincio a mettere in dubbio la fede dei Vescovi, a mettere in dubbio la loro competenza teologica, la loro competenza pastorale, a pensare che il Papa ormai e non è più il Papa gettare fango sulla persona dei nostri Vescovi non è un servizio che si fa alla Chiesa.
Torno al primo punto che ho commentato di questa lettera: non c’è lo Spirito di Dio lì dove c’è una critica non cristiana, una critica insultante, una critica dove io mi metto al di sopra dell’altro e divento giudice del Papa, divento il giudice dei Vescovi. Lì non c’è lo Spirito di Dio e non c’è verso perché lo Spirito Santo è lo spirito che costruisce e lo spirito che porta alla pace e lo spirito di unione, non lo spirito di divisione.
Io posso avere tutte le giustificazioni possibili e pensare che sto facendo un servizio alla Chiesa, ma invece sto aiutando alla decomposizione della stessa e soprattutto se questi sono Sacerdoti devono rispondere a Dio di questo, di lasciarsi guidare non dallo spirito di Dio ma dallo spirito di questo mondo, dallo spirito di divisione.
Quindi il soggetto, le parole che utilizza, il contesto in cui lo dice, non è la stessa cosa a dirlo nel Concilio o dirlo in un’Enciclica che dirlo in un’intervista mentre si sta andando in aereo o un incontro puramente casuale
L’oggetto di Magistero, la Verità che viene pronunciata ha un valore diverso a seconda del contesto in cui viene detto quindi a questo punto noi possiamo vivere che anche con serenità questo momento un’ultima cosa quando noi dobbiamo discernere sul valore di fede o l’obbligatorietà dell’adesione al Magistero dobbiamo prendere in considerazione alcuni punti:
In primo luogo: chi lo dice? Il soggetto del magistero: lo dice il Papa, lo dicono i Vescovi, con quali parole parla. Per esempio Amoris Laetitia** al numero 8: all’inizio di questa esortazione apostolica il Papa ha detto: io non intendo cambiare la dottrina e questo è molto importante perché getta luce su tutto il documento.
NOTE.
* Probabilmente trattasi di un problema linguistico che ha causato un errore nel parlato; come ben noto a qualunque fedele cattolico questa è la definizione di dògma (raro dòmma) s. m. [dal lat. dogma -ătis, gr. δόγμα -ατος «decreto, decisione», der. di δοκέω «mi sembra»] (pl. -i). – Principio fondamentale, verità universale e indiscutibile o affermata come tale: d. filosofici, politici; i d. della scienza; d. giuridico, principio teorico di un istituto giuridico, del quale costituisce il sostrato fondamentale. In partic., nella teologia cattolica, dogma di fede, o assol. dogma, verità soprannaturale contenuta, in modo implicito e esplicito, nella Rivelazione, e proposta dalla Chiesa come verità di fede, oggettiva e immutabile: d. della Trinità; d. dell’Immacolata Concezione; sancire, proclamare un dogma. Per estens.: questo per me è un d., è un d. di fede, ritenere un d., accettare come un d., e sim., di cosa a cui si crede ciecamente e che non si pone in discussione
** A riguardo della esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, alcuni cardinali hanno richiesto chiarimenti sulle ritenute incongruenze della esortazione con Spirito di Verità ed umiltà, con parresìa. Testo completo qui.
“Correggere” il Papa? Sì, si può. Lo spiega il padre domenicano Spiazzi
Abbiamo trascritto per voi quest’articolo (ne manca solo un parte) del teologo domenicano P. Raimondo Spiazzi — riportato oggi dal sito Libertà&Persona — riguardo la correzione dei superiori da parte dei sudditi. La Chiesa non solo lo permette, ma in certi casi, addirittura lo raccomanda.
Correggere i superiori? A volte è carità
di Padre Raimondo Spiazzi, O.P.
D’altra parte, se esclude il timore servile, afferma anche in questo caso la necessità del timore reverenziale, che ispira anche il “debito modo” nel fare la correzione fraterna (che anzi si direbbe filiale) a chi è costituito in autorità: “Essa cioè non va fatta con insolenza né con durezza, ma con mansuetudine e con rispetto”. San Paolo diceva: “Come a un padre” (1Tim 5,3). Paolo VI raccomandava: “Con amore, senza amarezza”.
La critica nella Chiesa e alla Chiesa ha preso negli ultimi decenni toni di amarezza e di arroganza che difficilmente sono conciliabili con la legge della carità che comanda la correzione fraterna (e filiale). Oltre la conformazione allo spirito e alle mode del secolo, denunciata a suo tempo, da padre Henri de Lubac, in molti casi — anche ben noti — era ed è presente un fattore di patologia psicologica che porta ben oltre l’esercizio dell’opera di misericordia e può comportare errori teologici e falli di ordine spirituale oggettivamente gravi.
In particolare occorre riflettere sulla necessità dell’amore filiale e del timore reverenziale nei confronti del “prelato” – Papa, vicario di Cristo nella Chiesa che è tutta “sub uno”, come dice San Tommaso (cfr.II-II, q.39,a1) e commenta il Gaetano: ” Sono scismatici coloro che vogliono costituire per conto proprio una Chiesa particolare” (cfr. San Tommaso in IV Sent. D.13, q.2, a.1, ad 2); oggi si potrebbe dire una Chiesa parallela, o dei gruppi cristiani a sé stanti contestativi per principio. C’è da chiedersi se persone e gruppi del dissenso non si muovano su questa linea, che non è quella della carità.
Certo, non vi è uomo di Chiesa che già in terra possegga la perfezione. Forse nemmeno i Santi riconosciuti dalla Chiesa hanno superato tutti i difetti, tutte le imperfezioni derivanti dalla natura, mentre erano in terra, nemmeno San Pio X!
Il nostro maestro di noviziato ci spiegava che l’importante era che non ci fosse in loro (e in noi tutti) il peccato veniale deliberato, mentre poteva ancora esserci quello semideliberato, ossia dovuto a una non pronta resistenza a un moto della natura (per esempio in un atto di impazienza o di golosità). Lasciamo stare.
Il Gaetano pone una questione ben più ardua: quella di un papa che, come persona, è in conflitto col suo ufficio, col suo dovere di papa (cfr. in II-II, q.39, a,1, n.6).
Charles Journet, in quel monumento di sapienza teologica, di ecclesiologia, di spiritualità che è la sua opera L’Eglise du Verbe Incarnè, esamina le ipotesi di un “papa cattivo, ma ancora credente” (vol. I, pag. 547 ss.), di un “papa eretico” (pag. 625), di un “papa scismatico” (vol. II, pag. 839 ss.). Ed applica a questi casi la dottrina del Gaetano, secondo il quale è lecito correggere anche in pubblico i superiori in due casi: quando errano nella fede e insegnano i propri errori agli altri; e quando scandalizzano gravemente il popolo con i loro costumi. “E a questo sono tenuti sia i prìncipi della Chiesa sia quelli del mondo civile, quando il papa scandalizzasse la Chiesa, e ammonito privatamente con rispetto, non desse segni di resipiscenza” (in II-II, q.33, a.4).
In caso, dunque, di pervicacia.
Oggi si tratta di ipotesi teoriche, delle quali nemmeno i più accaniti antipapisti e antiromani oserebbero seriamente asserire l’attuazione nella Chiesa contemporanea. Le critiche odierne sembrano aver di mira l’abbondanza o sovrabbondanza del Magistero centrale, che porterebbe alla riduzione dei limiti nel campo della ricerca e, come si diceva ai tempi di San Tommaso, della disputa teologica.
Forse sarebbe utile ricordare, con lo stesso Aquinate, che esistono due tipi di dispute. Una è quelle che tende a rimuovere i dubbi circa l’esistenza di una verità (an sit verum); e in tale disputa teologica bisogna servirsi al massimo delle autorità ammesse dalla controparte (Bibbia, Padri e Dottori della Chiesa). È chiaro che il Magistero centrale e locale ha una funzione essenziale soprattutto in questo campo, dove è sempre più intervenuto per l’insorgenza dei problemi di fede e di morale e il disorientamento prodotto spesso nei fedeli da maestri inidonei o ambigui.
“L’altro tipo di disputa è quello magistrale, volto non tanto a rimuovere l’errore, ma ad istruire gli uditori (o lettori) e portarli alla penetrazione della verità che si intende spiegare, per far capire la ragionevolezza di ciò che si dà (quomodo sit verum): altrimenti, se il maestro determina la questione con la sua autorità, l’uditore (o il lettore) verrà a sapere che quella è la verità (secondo la Chiesa) ma non acquisterà nulla dal punto di vista scientifico e se ne tornerà vuoto (vacuus abscedet)…” (Quodlibetum IV, q.9, n.3).
Qui è l’immenso campo di lavoro per il teologo, il quale però, come ogni credente, non potrà non tener conto “dell’autorità della Chiesa universale (…) la quale autorità risiede principalmente nel Pontefice” (II-II. q.11, a.2, ad 3).
Se poi si desse il caso di una correzione fraterna (o filiale) nei confronti dell’autorità della Chiesa, l’atto di carità non potrà non essere accompagnato dall’umiltà (cfr. II-II q.33, a.4, ad 3).
San Paolo nel “resistere in faccia a Pietro davanti a tutti” (Gal 2,14), non si presentava con presuntuosa superbia, ma con lealtà, tanto più che “in qualche modo era pari di Pietro in difesa della fede. E pur essendo anche suo suddito, lo rimproverò pubblicamente per il pericolo di scandalo nella fede. Sicché Sant’Agostino commenta: “Pietro stesso diede l’esempio ai superiori di non sdegnare di essere corretti dai sudditi, quando capita di allontanarsi dalla giusta via” (in Gal 2,14)” (II-II q,33, a.4, ad 2).
In questa linea di Sant’Agostino anche l’Aquinate conduce la sua analisi e spiegazione del comportamento di Paolo nel commento alla Lettera ai Galati (cfr Lectio III, vv. 11,14).
30Giorni – giugno 1992 n.6
RICORDA CHE:
C’è chi afferma nella Chiesa l’esistenza di un diritto di critica e che quando il papa non è infallibile può essere criticato in pubblico
Quesito
Caro Padre Angelo,
c’è chi afferma nella Chiesa l’esistenza di un “diritto di critica”. Quando il papa non è infallibile, si dice, può essere criticato in pubblico. Ma è davvero così?
Non c’è differenza tra disobbedire a una disposizione del papa (in casi di coscienza, come afferma Newman, dunque per quel che attiene un giudizio pratico) e la contestazione pubblica del pontefice, magari su giornali e riviste elettroniche? A me appaiono fattispecie del tutto differenti.
Seguendo quanto scrive il Beato John Henry Newman nella “Lettera al duca di Norfolk”, il rapporto tra il fedele cattolico e il papa è analogo a quello che intercorre tra un medico e un paziente. Vale a dire che è un rapporto caratterizzato da una forte componente fiduciaria. Per cui se dopo attenta riflessione e consultazione si può disattendere un comando del papa non è fuorviante però impostare la questione in termini di “diritto”? Così facendo non si “sindacalizza” il rapporto, trasformandolo in un braccio di ferro intessuto di rivendicazioni? Un’involuzione protestataria che difatti subentra di regola quando si attiva la forma mentis “critica”, come attesta il proliferare di pubblicazioni, soprattutto elettroniche (siti, blog, profili facebook) dove i rilievi al Santo Padre sono tutt’altro che episodici e si tramutano in dissenso, cioè in contestazione aperta e prolungata. Ma questo polemismo a oltranza non distrugge appunto la fiducia nel papa? Non sfocia nella delegittimazione del Vicario di Cristo?
Se «credere nella Chiesa significa credere nel Papa», come scrive sempre il Beato Newman, come si può credere nel Papa quando ogni suo atto e ogni sua parola sono continuamente e pubblicamente contestati in nome di un «diritto di critica»? Si può dire che esista un simile diritto nella Chiesa oppure è solo un’invenzione? E se sì, quali sono le responsabilità morali di coloro che – soprattutto si tratta di intellettuali, giornalisti, professori, uomini di cultura – alimentano questo clima torbido?
La ringrazio e la seguo con affetto.
Alex
Risposta del sacerdote
Caro Alex,
1. provo vivo disagio nel rispondere alla tua mail, perché non vorrei alimentare neanche di un’unghia quello che tu chiami “clima torbido”.
Viviamo in un’epoca in cui a motivo dei mezzi di comunicazione sociale il Papa è esposto, anzi, sovraesposto in continuazione in ogni suo movimento.
Tutti commentano.
Ma fin qui non vi sarebbe nulla di male, perché non dev’essere considerato un reato esprimere la propria opinione, soprattutto se non tocca gli elementi essenziali della nostra fede.
2. Ma si va fuori dello spirito evangelico quando nei commenti si alimenta disaffezione perché allora si sgretola quel bene sul quale si edifica tutta la Chiesa: la carità.
Al di sopra di tutto e come fine di tutto vi deve essere sempre la carità che consiste nell’amarsi a vicenda col cuore di Dio.
È per mezzo della carità che Dio abita in noi e noi in Dio come dice San Giovanni: “Dio è carità, e chi rimane nella carità rimane in Dio e Dio in lui” (1 Gv 4,16).
È in base alla carità che saremo giudicati al termine dei nostri giorni, come ha sintetizzato molto bene San Giovanni della croce (Parole di luce e di amore, 1, 57) ed è la carità la realtà che attira su di noi le benedizioni divine: “Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! (…). Perché là il Signore manda la benedizione, la vita per sempre” (Sal 133,1.3).
3. Questa premessa era necessaria per dire che ogni cosa, comprese le critiche, per rimanere nell’alveo evangelico devono essere fatte conservando la carità.
Diversamente costituiscono un peccato, che talvolta può essere anche mortale.
4. Quali i criteri da tenere presente perché le critiche possano essere non solo giuste, ma anche meritorie se sono animate dalla carità?
Mi pare che un buon criterio sia quello lasciatoci dal grande Agostino quando si espresse nei seguenti termini: in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas.
5. Tradotto in italiano: nelle cose necessarie e nelle quali non è lecita la libertà d’opinione ci vuole l’unità. Queste sono le verità riguardanti la fede (de fide) e la morale (de moribus).
Su questo punto sappiamo che Gesù ha garantito di preservare Pietro dall’andare fuori strada.
6. In dubiis, nelle cose dubbie e a maggior ragione nelle cose opinabili, ognuno è libero di pensare come vuole.
Su questo terreno è legittimo avere un pensiero diverso.
Il problema qui è il seguente: se sia opportuno fare di queste critiche oggetto di pubblica polemica.
Io penso di no, perché è molto facile perdere o far perdere la carità e creare disaffezione nei confronti di colui che sta al posto di Cristo nel pascere le pecore.
7. Ecco che cosa dice San Tommaso: “La mormorazione e la maldicenza coincidono nella materia, e anche nella forma, cioè nell’espressione verbale: poiché l’una e l’altra consistono nel dir male del prossimo a sua insaputa. E per questa somiglianza talora si scambiano l’una con l’altra. Per cui quando l’Ecclesiastico (Sir 5,14) dice: “Non ti meritare il titolo di mormoratore”, la Glossa aggiunge: “Cioè di maldicente”. Esse però differiscono nel fine. Poiché il maldicente mira a denigrare la fama del prossimo: e quindi insiste specialmente nel presentare quei difetti che possono infamare una persona, o almeno sminuirne la fama.
Invece il mormoratore mira a distruggere l’amicizia, come risulta dalla Glossa citata (nell’argomento in contrario) e da quel passo dei Proverbi (26,20): “Se non c’è il mormoratore, il litigio si calma”. Perciò il mormoratore insiste nel presentare quei difetti che possono eccitare contro una persona l’animo di chi ascolta, secondo le parole della Scrittura (Sir 28,9): “Un uomo peccatore semina discordia tra gli amici e tra persone pacifiche insinua l’inimicizia” (Somma teologica, II-II, 74,2).
8. In omnibus caritas: in ogni cosa, o anche in ogni caso, ci deve essere sempre la carità.
Come si è detto, se le critiche non favoriscono la carità, si è fuori dello spirito evangelico.
9. E al Papa è lecito muovere critiche? E muoverle pubblicamente?
Scrive San Tommaso: “Quando vi fosse un pericolo per la fede, i sudditi sarebbero tenuti a rimproverare i loro superiori anche pubblicamente. Perciò S. Paolo, che pure era suddito di Pietro, per il pericolo di scandalo nella fede, lo rimproverò pubblicamente. S. Agostino commenta: “Pietro stesso diede l’esempio ai superiori di non sdegnare di essere corretti dai sudditi, quando capita di allontanarsi dalla giusta via” (Somma teologica, II-II, 33, 4 ad 2).
10. Ma San Tommaso dice anche che “si tocca colpevolmente il superiore quando lo si rimprovera senza rispetto, oppure quando si sparla di lui” (Ib., ad 1).
Ora questo è quanto capita di leggere non di rado nelle critiche al Papa.
In molte di esse manca la serenità d’animo, il rispetto, la carità.
11. Cristo ha reagito nei confronti del servo del Sommo Sacerdote che gli aveva dato uno schiaffo gli ha detto senza animosità e senza ferocia, ma con pacatezza e fermezza: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18,23).
Così dovrebbero essere le discussioni tra i cristiani, in modo che i non credenti o gli appartenenti ad altre religioni possano ripetere lo stupore riferito da Tertulliano: “Guardate come si amano!” (Apologeticum 39,7).
Ti esorto pertanto a tenerti lontano anche solo dal riferire le critiche mordaci fatte al Papa per conservarti in grazia di Dio e per attirare costantemente su te e su molti le sue benedizioni.
Perché ti possa mantenere in una grazia così bella ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo
I nostri video:
Quando Pio VIII ammonì contro l’apostasia nella Chiesa; “Dicci Padre Brown”: Obbedienza sì, ma a CHI e a che cosa?; San Cipriano ci spiega l’eresia e la vera unità nella Chiesa; Enrico Medi: Cari Sacerdoti, difendete la nostra Fede!
“Dicci Padre Brown”: perché i tempi sono cattivi, cosa è l’infallibilità papale?

Critiche al Papa, come e quando sono lecite
di Tommaso Scandroglio (20-01-2024)
Nessuno mi può giudicare nemmeno tu, non può essere detto neanche dal Papa. È palese che ciò che oggi divide nella Chiesa non è tanto l’errore dottrinale, bensì la critica al Papa. Da una parte vi sono coloro che ritengono impensabile, inaccettabile criticare il Papa e dall’altro coloro che sono di avviso completamente opposto. Il tema della liceità o meno della critica al Pontefice è la più incidente causa di divisione interna alla Chiesa, è la vera spina nel fianco dell’unità ecclesiale.
Per questo motivo si abbandonano parrocchie e associazioni, si sceglie di partecipare alla Messa domenicale in un’altra chiesa, non si leggono più determinati giornali (compreso il nostro), si creano fratture all’interno delle famiglie, si scagliano post al calor bianco sui social. Questo conduce a impostare il problema in modo dicotomico: a favore o contro il Papa. Ma il criterio della tifoseria è errato, perché il punto è un altro e parte da due domande: è lecito criticare il Papa? E, in caso positivo, quando criticarlo?
In merito alla prima domanda, la critica al Papa è lecita dal punto di vista morale per un semplice, semplicissimo motivo: anche lui può sbagliare. Se vogliamo rispettare il principio di non contraddizione dobbiamo concludere necessariamente che al di fuori dell’infallibilità petrina esiste la fallibilità petrina. È la stessa costituzione dogmatica Pastor aeternus a confermarlo seppur indirettamente: «Noi […] proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi […] gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi». Dunque, quando non parla ex cathedra il Papa è fallibile. Ovviamente ciò non significa che tutto ciò che rientra in questo ambito sia ugualmente fallibile, ossia sia tutto criticabile. Se un Papa, non impegnando la propria infallibilità, afferma che Gesù Cristo è Dio, non fa altro che ribadire, senza le vesti formali dell’infallibilità, un dogma cattolico. Se invece afferma che occorre accogliere tutti i migranti in modo indiscriminato, l’affermazione, riguardando una modalità di fare il bene, è per sua natura opinabile.
Anche la Congregazione per la Dottrina della Fede nella Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei, come già ricordato da queste colonne di recente, ha chiarito che non tutti i pronunciamenti del Papa sono infallibili. E papa Francesco non ha mai impegnato la propria infallibilità nei suoi pronunciamenti. Ne discende che il Papa può essere criticato. Lo consente lo stesso Magistero. Lumen gentium: «Secondo la scienza, competenza e prestigio di cui godono, [i laici] hanno la facoltà, anzi talora anche il dovere, di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa. Se occorre, lo facciano attraverso gli organi stabiliti a questo scopo dalla Chiesa, e sempre con verità, fortezza e prudenza, con rispetto e carità verso coloro che, per ragione del loro sacro ufficio, rappresentano Cristo» (37). Parimenti il Codice di Diritto Canonico così disciplina: «In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi [i fedeli] hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone» (can. 212, §3). Sulla stessa frequenza d’onda è il medesimo Francesco quando indica la parresìa come metodo di critica.
Come ogni azione in sé buona, anche la scelta di criticare deve però rispettare il principio di proporzione o efficacia. Ecco i rimandi alla prudenza, al rispetto, alla carità, all’integrità della fede e dei costumi, all’utilità comune e alla dignità delle persone. Insomma, se la critica provoca più danni che benefici meglio il silenzio. Esemplifichiamo. Siamo a cena con amici quasi atei di fatto. Il discorso cade sul Papa attuale. Eviterò di criticarlo per non scandalizzare questi piccoli nella fede. Secondo scenario: sono a cena con un parroco e questi intende benedire le coppie gay «perché lo chiede il Papa». È lecito e doveroso criticare la scelta del Papa. Anche nel primo esempio, se mi venisse chiesto un parere sulle benedizioni, non potrei esimermi da un giudizio censorio chiaro. Proprio perché ne va della fede dei miei interlocutori, già di loro traballanti sulle questioni morali. Più in generale dobbiamo osservare che la quantità e la qualità di uscite eterodosse di Francesco ha obbligato non pochi a ricordare pubblicamente la sana dottrina proprio per evitare il traviamento di molti. In breve, uno stato di necessità ha spinto molti alla critica, perché più grave è l’attacco alla fede, maggiore dovrà essere la risposta difensiva.
La liceità di criticare il Papa è attestata dalla Rivelazione e dalla storia: Paolo con Pietro. «Quando Cefa venne ad Antiochia mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto» (Gal 2,11). Papa Onorio venne scomunicato, seppur post-mortem. Questo è accaduto e questo può ancora accadere perché il Papa è custode della verità, non è la verità. Solo Cristo è verità, non il suo vicario in terra. Dunque il Papa è, come tutti noi, sottomesso alla lex aeterna nelle sue due declinazioni di lex divina positiva e di lex naturalis. Anch’egli è gerarchicamente inferiore alla legge suprema della Chiesa: salus animarum (clicca qui e qui).
Appurato che anche il Papa è fallibile e quindi criticabile, passiamo alla seconda domanda prima accennata: quando criticarlo? Quando, nel rispetto del principio di efficacia prima menzionato, le sue parole o azioni sono palesemente contrarie alla dottrina di sempre della Chiesa. Ad esempio: l’omosessualità è condannata dalla Chiesa? Sì. Sono dunque lecite le benedizioni alle coppie omosessuali? No. Dunque il Papa non doveva approvare le benedizioni gay. Non c’è altro da aggiungere.
Detto tutto ciò, ecco arrivare le obiezioni. La prima: così si mina l’unità della Chiesa. Risposta: l’unità della Chiesa è un bene, ma non è il bene sommo e vi sono altri beni più importanti, ad esempio la verità. Oppure preferiamo tutti tacere e così avallare l’errore per non dividerci? Anche Gesù parlò chiaro e, come attesta il Vangelo di Giovanni al capitolo 6, il risultato fu che, in un’occasione, una buona fetta dei suoi seguaci se ne andarono. Doveva forse tacere? Se vostra figlia fosse costretta a prostituirsi per colpa di un vostro familiare, perlomeno non andreste a dirgliene quattro? Solo un pazzo potrebbe obiettare che in tal modo si spacca in due la famiglia e quindi sarebbe preferibile il silenzio. Oggi c’è chi prostituisce la Chiesa e la sua dottrina: se la loro difesa comporta divisioni, questo è un prezzo che è lecito e addirittura doveroso pagare, allo stato attuale.
Seconda obiezione: papa Francesco in realtà non hai mai espresso giudizi in contrasto con la sana dottrina. Ad esempio, nel caso delle benedizioni gay, il Papa, da Fazio, ha detto che «il Signore benedice tutti», non ha detto che si possono benedire le coppie gay. Sull’accesso dei divorziati risposati ha affermato che la dottrina sul matrimonio rimane immutata. Sul fatto che vi sono alcune condotte buone impossibili da assumere per alcuni, Francesco una volta disse che «tutto è possibile alla fede». Sul divieto di fare proseliti, il Papa ci ha intrattenuto per lungo tempo con una sua catechesi il cui titolo spiega già tutto: La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. In realtà, rispondiamo noi, è una tattica “gesuitica”. Dire tutto e il contrario di tutto. Promuovere l’eresia e poi subito dopo ricusarla. In tal modo, come il Papa più volte ha ammesso, si innescano processi: nella confusione il male avanza strisciando. E inoltre si potrà sempre far appello alla affermazioni ortodosse per uscirne puliti, pescare nel coacervo di dichiarazioni contraddittorie per trovarne una adatta al caso. È solo furbizia. Ma Dio non lo puoi ingannare.
(fonte: lanuovabq.it)
Maria è Coredemptrix, Mediatrix, Advocata? Sì! Lo dice la Dottrina Cattolica
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