Cari Amici, siamo arrivati a metà strada e poco più dell’Anno straordinario del Giubileo della Divina Misericordia e, con nostro grande dolore, ci stiamo rendendo conto che – fra tutti i testi ufficiali o meno della nostra gerarchia, dal parroco al Pontefice – nessuno parla più o ha parlato in questi mesi di uno degli atti più misericordiosi che Dio continua a compiere: salvare le Anime per mezzo del Purgatorio e, di conseguenza, nessuno che parla dei Suffragi per queste Anime, della Santa Messa a loro vantaggio.
Diceva Santa Caterina da Genova, famosa per il suo Trattato sul Purgatorio – che potete scaricare qui in pdf – che la Chiesa ha fatto proprio: «La vita ci è stata data per cercare Dio; la morte per entrare nel Suo Regno; l’eternità per godere l’eredità che Cristo Gesù ci ha guadagnato a prezzo del Suo Corpo e del Suo Sangue…».
Non staremo qui a fare noi un nuovo trattato, ci basti andare a leggere dal Catechismo (vedi qui) per trovare degli argomenti per cui credere, e non già per discutere o dialogare. Il Purgatorio infatti non si discute, è un fatto concreto e reale e, come è per tutti gli articoli di fede contenuti nel Catechismo, si crede, si accolgono con umiltà e rispetto e semmai si rende gloria a Dio e al Suo Figlio Gesù per averci offerto questa grande opportunità di salvezza.
Sì! Perché il Purgatorio è questo: salvezza estrema nella divina Giustizia di Dio, attraverso una giusta purificazione. Ma molto dipende anche da noi, dice il Vangelo: “Perciò io vi dico: qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo spirito non sarà perdonata né in questo secolo né in quello futuro” (Mt 12, 31-32) Sant’Agostino, san Gregorio Magno e san Bernardo hanno visto in questo passo evangelico la chiara allusione alla possibilità che alcuni peccati, meno gravi della bestemmia contro lo Spirito, siano perdonati nella vita futura, quindi dopo una purificazione, mentre è chiaro che ci sono alcuni peccati contro lo Spirito Santo che non potranno essere perdonati mai, e che ci conducono alla dannazione eterna, infatti non è Dio che ci vuole dannare, al contrario: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tim 2,4). Il Purgatorio è, in sintesi, un vero atto di misericordia e di giustizia da parte di Dio, per evitarci l’Inferno.
E quali sono questi peccati contro lo Spirito Santo? Eccoli:
- Disperazione per la salvezza.
- Presunzione di salvarsi senza merito.
- Impugnare la verità conosciuta.
- Invidia della grazia altrui.
- Ostinazione nei peccati.
- Impenitenza finale.
Così li troviamo descritti nel Catechismo di San Pio X. Sono peccati che hanno due matrici uniche: l’orgoglio e la superbia. La disperazione per la salvezza è quella che i Padri della Chiesa identificano con la disperazione di Giuda che arriva al suicidio. Questo non significa che tutti coloro che si sono suicidati sono dannati! Stiamo attenti a non far dire alla Chiesa ciò che non ha mai detto! La dannazione non è mai automatica, così come la salvezza: ci sono dei percorsi molto chiari in tutto il Nuovo Testamento che ci fanno piuttosto comprendere quanto sia più facile salvarsi che dannarsi perché, in definitiva, per dannarsi ci vuole un atto di deliberato consenso di rifiutare Cristo, così come per salvarsi ci vuole il suo opposto, invocarlo, supplicarlo, piangere per i nostri peccati e fallimenti ed offrire tutto al Cielo.
Questi peccati contro lo Spirito Santo derivano dalle “tentazioni” che ognuno di noi, nati tutti nel Peccato Originale (fuorché la Beata Vergine Maria), in qualche modo deve affrontare e sperimentare ogni giorno. Nessuno può dirsi al di fuori o al sicuro da queste tentazioni. Ma le tentazioni, suggerimenti diabolici, sono permessi da Dio e noi, più che stare lì a cercare di interrogare Dio “perché”, siamo sollecitati dall’esempio di Gesù Cristo nel Getsemani e sulla Croce, ad accogliere ciò che Dio vuole da noi. Solo così ci giungerà il vero aiuto di Dio per superare le prove. Laddove fummo perdonati gratuitamente con la grazia del Battesimo (e che rinnoviamo ad ogni confessione sacramentale) che ci cancellò il Peccato Originale, restano gli effetti che sono la nostra battaglia contro le tenebre, la menzogna, le tentazioni, i peccati d’ogni giorno, perché Dio avendoci creati liberi, vuole che noi altrettanto liberamente facciamo uso di questa libertà per ritornare a Lui. E non ci ha lasciati senza strumenti, o senza armi.
Qualcuno avrà notato che spesso le parole del Padre Nostro: “e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male” (Mt 6,13), vengono strumentalizzate quasi per far dire che in fondo “è Dio” l’artefice di tutto, e noi saremo delle povere vittime! “Sono stato fatto così…” e si giustifica ogni peccato. Ma la Scrittura smentisce: “Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male“ (Gc 1,13). Dio permette che la tentazione abbia luogo nella nostra anima, affinché, in questa nostra battaglia contro le tenebre, possiamo volgere davvero lo sguardo verso di Lui, in quella resa che i Santi hanno saputo insegnarci e trasmetterci. La prima prova di ciò ci arriva dal Libro di Giobbe, di cui suggeriamo una lettura profonda e meditata. La seconda, che è in fondo il passo successivo all’esperienza di Giobbe, è quella di Gesù tentato nel deserto (Lc.4,1-13): “Gesù va nel deserto, e là subisce la tentazione di lasciare la via indicata dal Padre per seguire altre strade più facili e mondane. Così Egli si carica delle nostre tentazioni, porta con Sé la nostra miseria, per vincere il maligno e aprirci il cammino verso Dio, il cammino della conversione. Riflettere sulle tentazioni a cui è sottoposto Gesù nel deserto è un invito per ciascuno di noi a rispondere ad una domanda fondamentale: che cosa conta davvero nella mia vita?” (Benedetto XVI. Udienza 13.2.2013).
Diceva San Francesco di Sales, che di battaglia spirituale ben s’intendeva: «Non sgomentatevi per le tentazioni. È buon segno che il nemico combatta un’anima: questo vuol dire che non è sua» Chi cede alle tentazioni, infatti, fa emergere la superbia e l’orgoglio di sentirsi come Dio, ed anche più di Lui, mascherando spesso la tentazione come un fatto indipendente dalla nostra volontà e soggetto semplicemente a delle nostre debolezze cui è impossibile rimediare. Ma questo ragionare è proprio di quei peccati contro lo Spirito Santo, perché cedendo, si afferma piuttosto la propria supremazia su Dio, si lascia la dura battaglia, ma che è quella buona, per affidarsi a se stessi. E’ logico infatti che dove si prevede di andare incontro ad una tentazione occorre cambiare strada, e del resto è quello di cui ci s’impegna quando nell’atto di dolore si dice «Propongo col Tuo santo aiuto […] di fuggire le occasioni prossime di peccato». Ma le tentazioni ti colgono praticamente in ogni momento della giornata, ed anche se sei allenato a scansarle spesso ci sei in mezzo senza averlo voluto. Ed è allora che bisogna sfoderare la propria abilità di resistenza, naturale ed acquisita. Per questa battaglia abbiamo un “pronto soccorso” che cura efficacemente le ferite che riportiamo in questi combattimenti, i Sacramenti, la preghiera, il Rosario, la Messa, le penitenze, i fioretti, le opere di carità… A Gesù non importano quante cadute facciamo, non sta lì a contare quante volte cadiamo, piuttosto conta le volte che ci rialziamo (attraverso il confessionale appunto), guarda all’impegno del cuore, alla volontà che mettiamo per risollevarci, ai santi propositi che abbiamo comunque il dovere di tentare sempre per “fuggire le occasioni prossime di peccato”.
Diceva Santa Caterina da Siena: «Se l’uomo potesse trovare la sua pace sulla terra, poche anime si salverebbero, perché lui resterebbe legato alla terra, e non cercherebbe mai di uscirne». «… In effetti, la consolazione divina vien data affinché l’uomo sia più forte nel sostenere le avversità; poi viene la tentazione, affinché egli non si insuperbisca di quello stato di consolazione» (L’imitazione di Cristo). Deus, in adiutorium meum intende; Domine, ad adiuvandum me festina (Sal 70,2): “O Dio, vieni a salvarmi! Signore, corri presto in mio aiuto” – Signore aiutami, ed aiutami presto. E supplicava il beato Bartolo Longo: «Madonna mia del Santo Rosario: Tu devi aiutarmi!».
- «Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione…» (Sir 2,1).
- «Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mc 14,38).
- «Chi teme il Signore non incorre in alcun male, se subisce tentazioni, ne sarà liberato di nuovo» (Sir.33,1).
- «Chi siete voi dunque che avete tentato Dio in questo giorno e vi siete posti al di sopra di lui, mentre non siete che uomini?» (Gdt 8,12).
Tutte queste citazioni e queste premesse potrebbero sembrarvi estranee al Purgatorio, è piuttosto il contrario. Se non comprendiamo le armi della nostra difesa, e non riconosciamo la vera misericordia di Gesù Cristo e la Giustizia divina, non comprenderemo mai che ci sono tante Anime che attendono i nostri Suffragi e che per questa ignoranza sono abbandonate e soffrono perché non c’è chi preghi per loro. “Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l’opera finirà bruciata, sarà punito; tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco” (1Cor 3,10-17). Il grande San Paolo insegna che l’opera di quelli che hanno costruito la loro vita sul fondamento Gesù Cristo verrà provata, verrà giudicata. Se, nonostante abbiamo costruito meritoriamente su Gesù Cristo, l’opera verrà trovata imperfetta, costoro verranno puniti, ma non per sempre: si salveranno, però dopo essere passati per il fuoco purificatore. Questo è il Purgatorio. Vedete bene che la credenza nella possibilità di scontare i propri peccati in Purgatorio è credenza fondata biblicamente.
Credere che è necessario pregare per le Anime del Purgatorio ha fondamento biblico. Noi cattolici possiamo dunque stare tranquilli. La nostra fede è pienamente conforme all’insegnamento biblico e il Purgatorio è l’ultima opportunità che Dio ha predisposto, con infinita misericordia e sempre attraverso il Cristo Gesù, per salvarci. Un’altra prova ce la offre San Francesco d’Assisi, quello vero, non quello proiettato dal volemose bene “in paradiso senza battaglia”. Nell’Angelus del 2 agosto 2009, così spiegava Benedetto XVI: «Oggi contempliamo in San Francesco d’Assisi l’ardente amore per la salvezza delle anime, che ogni sacerdote deve costantemente nutrire: ricorre infatti il cosiddetto “Perdono di Assisi”, che egli ottenne dal Papa Onorio III nell’anno 1216, dopo aver avuto una visione, mentre si trovava in preghiera nella chiesetta della Porziuncola. Apparendogli Gesù nella sua gloria, con alla destra la Vergine Maria e intorno molti Angeli, gli chiese di esprimere un desiderio, e Francesco implorò un “ampio e generoso perdono” per tutti coloro che “pentiti e confessati” avrebbero visitato quella chiesa».
Per capire come andarono i fatti, ce lo faremo raccontare direttamente dalle Fonti Francescane (FF) originali: «Insieme ai vescovi dell’Umbria, al popolo convenuto alla Porziuncola, Francesco disse tra le lacrime: “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in paradiso!”». Poco prima, il santo si era recato dal papa Onorio III, che in quei giorni si trovava a Perugia, per chiedergli il privilegio dell’indulgenza plenaria per tutti coloro che in stato di grazia, nel giorno del 2 agosto, avrebbero visitato questa chiesetta, dove egli viveva in povertà, aveva accolto s. Chiara, fondato l’Ordine dei Minori per poi inviarli nel mondo come messaggeri di pace.
Alla domanda del Papa: «Francesco, per quanti anni vuoi questa indulgenza?», il santo rispose: «Padre Santo, non domando anni, ma anime». E felice si avviò verso la porta, ma il Pontefice lo chiamò: «Come, non vuoi nessun documento?». E Francesco: «Santo Padre, a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, egli penserà a manifestare l’opera sua; io non ho bisogno di alcun documento; questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni». (FF 3391-3397)
Tutto qui? Sì, tutto qui! Ma ce lo immaginiamo questo stupendo dialogo e la forza persuasiva di San Francesco, il suo amore per le anime, anche per noi oggi? Naturalmente, per lucrare l’indulgenza occorre essere in “stato di grazia”: più chiaro di così non si può! Nessuno sconto al peccato. L’indulgenza riguarda infatti la pena, non l’assoluzione dei peccati senza essersi convertiti e senza essersi confessati. Possiamo mentire a noi stessi o al prete, ma non certo a Dio. Il Perdono di Assisi, detto della Porziuncola, rivoluzionò la dottrina delle Indulgenze e ci aprì ad una consapevolezza più matura in quel Suffragio per le Anime dei Defunti alle quali ottenere lo “sconto della pena”. Osserviamo molta confusione oggi fra l’assoluzione dei peccati e la pena, messa da parte, quasi che la Misericordia divina fosse un atto automatico delle opere di carità senza conversione a Cristo.
Le indulgenze, infatti, non riguardano la cancellazione delle colpe commesse e pure non confessate. Per ottenere una indulgenza che può essere “parziale” o totale, che può essere ottenuta per se stessi o per le Anime del Purgatorio, si deve stare alle condizioni stabilite dalla Chiesa e che riguardano sempre questi punti fondamentali:
- Visita, entro il tempo prescritto, a una chiesa Cattedrale o Parrocchiale o ad altra che ne abbia l’indulto come i Santuari e recita del “Padre Nostro” (per riaffermare la propria dignità di figli di Dio, ricevuta nel Battesimo) e del “Credo” (con cui si rinnova la propria professione di fede).
- Confessione Sacramentale per essere in Grazia di Dio (negli otto giorni precedenti o seguenti).
- Partecipazione alla Santa Messa e Comunione Eucaristica.
- Una preghiera per il Papa: un Padre Nostro, un’Ave Maria e un Gloria, (per riaffermare la propria appartenenza alla Chiesa, il cui fondamento e centro visibile di unità è il Romano Pontefice).
- Disposizione d’animo che escluda ogni affetto al peccato, anche veniale, e l’impegno a qualche opera di carità secondo il proprio stato.
Se non ci sono queste condizioni, non è possibile acquistare alcuna indulgenza! Questo tanto per chiarire le spudorate menzogne protestanti contro il dono delle Indulgenze… Che poi in passato, e forse ancora oggi, qualcuno approfitti di questi doni della Chiesa, non inficia assolutamente la verità dottrinale delle Indulgenze e il loro valore salvifico. Piuttosto chiediamoci: quanti di noi e fra noi, oggi, approfittano di questo dono delle Indulgenze per ricordare i propri Defunti o, più in generale, le Anime del Purgatorio? Queste Indulgenze scontano la pena e affrettano l’Anima a salire definitivamente nella Gloria di Dio.
Perché la pena? Non basta pentirsi, confessarsi ed ottenere l’assoluzione? No! Perché esiste la giustizia.
Facciamo un esempio: ho rubato qualcosa che non mi apparteneva, oppure ho arrecato un danno ad una persona. Non basterà chiedergli “scusami, perdonami”, accanto ad un vero pentimento giustizia vuole il risarcimento del danno provocato. A volte il danno è così grande che è impossibile ripagarlo, allora si cercherà di fare qualcosa che possa soddisfare, anche in minima parte, il danno. Se vogliamo un altro esempio più spicciolo: un bambino, avvisato più volte dalla mamma, trasgredisce il monito e si mangia di nascosto un barattolo di Nutella. Nulla di più “innocente” diremo, che vuoi che sia! La mamma riprende il bambino e il bambino chiede perdono. Ma cosa succede poi? Che al bambino viene il mal di pancia, e forse anche uno scombussolamento intestinale da farlo stare male…
Insomma, lo vediamo in natura: ogni qualvolta commettiamo errori, ne paghiamo le conseguenze. Così quando facciamo qualcosa di buono, ne godiamo i frutti, gli effetti.
Ecco, questi “effetti, conseguenze” sono la pena, le penitenze che – conseguenze dei nostri atti commessi – esigono purificazione. La Misericordia di Dio dove sta in tutto ciò? Che i nostri atti sbagliati causano danni enormi e nessuno sarebbe stato mai in grado di ripararli, ecco perché è venuto Gesù! È Lui la “Misericordia” fatta carne, infatti invochiamo Maria quale Madre di Misericordia. Solo attraverso Gesù Cristo noi possiamo essere salvati e soddisfare le pene, perché è il nostro Avvocato presso Dio, dopo aver pagato di persona il nostro riscatto, morendo sulla Croce per noi. Non ci sono altre vie o scorciatoie.
È una grave forma di superbia e di orgoglio diabolici pensare che, ad esempio, morendo una persona anche se a noi cara possa meritare il Paradiso in automatico, oppure perché muore un giovane, si dice: che peccati vuoi abbia fatto? Non ha fatto in tempo neppure a scegliere cosa fare nella vita, il Signore ne terrà conto! No! Non funziona così, è tutto scritto nei Vangeli! Ma a questi non diamo ascolto, preferiamo ascoltare quello che ci fa più comodo, o interpretarli nella maniera più facile cercando scorciatoie e vie comode. Leggete la storia dei tre Pastorelli di Fatima. Francesco aveva solo dieci anni eppure non riusciva a sentire cosa diceva la Vergine perché doveva in qualche modo “purificare” la sua anima. Solo dopo alcuni pii esercizi di devozione, e di promesse poi mantenute con piccoli sacrifici scaturiti dal suo cuore, anche Francesco poté udire e morire santo.
Una delle difficoltà più grandi che abbiamo oggi è che non crediamo davvero nella vita dopo la morte! A volte diciamo di credere, ma abbiamo il cuore attaccato alla terra! Diciamo di credere e di amare Dio, Gesù, la Vergine Santa, e siamo anche sinceri, ma in verità cerchiamo di tenerLi lontani dalle nostre vite quotidiane, Li rileghiamo alla messa della domenica, a qualche incontro occasionale liturgico, anche gli incontri festosi con un Papa ci sembrano possano soddisfare, o bastare, per essere automaticamente in Paradiso. No! È tutto sbagliato! Il Comandamento è amare Dio prima di tutto, prima di ogni altra cosa, prima di ogni affetto del mondo, poi amare il prossimo. La dinamica è chiara e semplice perché se prima non amiamo Dio sopra ogni cosa, non lo ameremo mai!
Francesco di Sales, quando era giovane studente a Parigi, si trovò sprofondato in una grande tribolazione: la Chiesa Cattolica insegnava che Dio è Amore infinitamente misericordioso, mentre al contrario la dottrina di Calvino, che imperversava in quel tempo, sbandierava nelle scuole la teoria che Dio da sempre destina alcuni alla salvezza e altri alla dannazione. La tentazione lo ghermì al punto che fu convinto di essere un dannato. Durante questa terribile crisi le sue invocazioni a Dio erano queste: “Io, miserabile, sarò dunque privato della grazia di Dio? O amore, o carità, o dolcezza, non godrò più di queste delizie? O Vergine, bella tra le figlie di Gerusalemme, non vi vedrò nel regno del vostro Figlio? E il mio Gesù non è morto anche per me? Signore, che almeno vi ami in questa vita se non posso amarvi in quella eterna”.
Un giorno entra in una chiesa e si dirige subito alla cappella della Vergine. Si inginocchia e compie un atto eroico di abbandono.
“Qualunque cosa abbiate deciso, o Signore, nell’eterno decreto della vostra predestinazione, io vi amerò, Signore, almeno in questa vita, se non mi è concesso di amarvi nella vita eterna”.
Poi recita la Salve Regina, il “Ricordati” di San Bernardo e la tentazione svanì completamente.
È questo l’abbandono che Dio vuole da noi! E nessuno può dire: “ma Francesco era un santo!!” perché in quel momento ancora non lo era, è quell’abbandono che lo farà diventare santo. E in Paradiso ci vuole la santificazione, come ci vuole di essere dannati per andare all’inferno, ecco perché, a quanti non è riuscito di perfezionarsi in terra, ma vi erano tutte le intenzioni, il Signore ha donato il Purgatorio. E’ un dono infinito della Sua Misericordia, non è qualcosa a noi dovuto, noi siamo debitori con Dio, non Dio con noi! Cerchiamo di rimettere le priorità di Dio al loro posto, perché per anni li abbiamo stravolti, mettendo al centro non Dio, ma noi con il nostro ego. Se nella nostra misera vita togliamo Dio, cosa rimane? “io”! E con “io” in Paradiso non si và proprio. Nella Città Santa “non entrerà nulla di impuro” (Apoc. 21,27), e l’Apocalisse si chiude con queste parole che faremo bene a meditare: ” Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine. Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte nella città. Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolàtri e chiunque ama e pratica la menzogna!” (22,12-15)
Il diario di Perpetua
Nell’anno 203,all’inizio del terzo secolo dopo Cristo ci perviene la più importante testimonianza. A farcela, attraverso il suo diario è la martire cristiana Perpetua morta il 7 marzo del 203 insieme ad altri cinque cristiani: Felicita, Revocato, Saturnino, Secundolo e il loro catechista Saturo.
Il diario ci narra un episodio importane. Perpetua, mentre è in prigione, ha una duplice visione.
Nella prima visione vede suo fratello Dinocrate, “morto a sette anni per un cancro che gli aveva devastato la faccia” al punto che, scrive Perpetua “la sua morte aveva fatto inorridire tutti”. Nella prima visione, Perpetua vede suo fratellino uscire “da un luogo tenebroso dove vi era molta altra gente; era accaldato e assetato, sudicio e pallido. Il volto era sfigurato dalla piaga che l’aveva ucciso”. E ancora, in questa prima visione, Perpetua vede suo fratello che tenta senza riuscirci di abbeverarsi ad una piscina e capisce che Dinocrate sta soffrendo. Non riesce ad abbeverarsi e questo era per lui motivo di grande sofferenza.
Perpetua prega per l’anima di suo fratello defunto. Il Signore ascolta le sue preghiere e in una seconda visione, Perpetua vede Dinocrate perfettamente guarito, in grado di abbeverarsi, capace di giocare come fanno tutti i bambini. Interpretando questa seconda visione, Perpetua scrive nel suo diario: “Mi svegliai e compresi che la pena (del Purgatorio) gli era stata rimessa”.
Le opere di Tertulliano
Un’altra preziosa testimonianza ci giunge da Tertulliano (ca 155 – ca 222) un pagano, convertito al Cristianesimo; divenne uno strenuo apologeta del cattolicesimo prima di cadere, purtroppo nell’eresia montanista, dalla quale non sappiamo se si riprese, la Chiesa spera di sì.
Nel suo De Corona, Tertulliano scrive: “Nel giorno anniversario facciamo preghiere per i defunti”.
Nel suo De monogamia, scrive: “La moglie sopravvissuta al marito offre preghiere per la gioia di suo marito nei giorni anniversari della sua morte”, dove si intende bene che la moglie prega perché l’anima del defunto giunga presto alla gioia del Paradiso.
La testimonianza di Sant’Agostino
Sant’Agostino attesta la fermissima fede della Chiesa dei primi secoli nella esistenza del Purgatorio. Scrive: “Non si può negare che le anime dei defunti possono essere aiutate dalla pietà dei loro cari ancora in vita, quando è offerto per loro il sacrificio del Mediatore (qui sant’Agostino sta parlando del sacrificio della Santa Messa), oppure mediante elemosine” (De fide, spe, et caritate).
La testimonianza di Sant’Efrem di Siro
Scrive sant’Efrem di Siro, vissuto nel IV secolo (306-373) nel suo testamento: “Nel trigesimo della mia morte ricordatevi di me, fratelli, nella preghiera. I morti infatti ricevono aiuto dalla preghiera fatta dai vivi” (Testamentum). San Girolamo (ca 347 – 419 o 420) attesta che gli scritti di sant’Efrem erano letti pubblicamente in Chiesa, dopo la Sacra Bibbia.
E così spiega San Giovanni Paolo II: “Ogni traccia di attaccamento al male deve essere eliminata; ogni deformità dell’anima corretta. La purificazione deve essere completa, e questo è appunto ciò che è inteso dalla dottrina della Chiesa sul Purgatorio... Coloro che dopo la morte vivono in uno stato di purificazione sono già nell’amore di Cristo, il quale li solleva dai residui dell’imperfezione (cfr Conc. Ecum. di Firenze, Decretum pro Graecis: DS 1304; Conc. Ecum. di Trento, Decretum de iustificatione: DS 1580; Decretum de purgatorio: DS 1820). Occorre precisare che lo stato di purificazione non è un prolungamento della situazione terrena, quasi fosse data dopo la morte un’ulteriore possibilità di cambiare il proprio destino. L’insegnamento della Chiesa in proposito è inequivocabile ed è stato ribadito dal Concilio Vaticano II, che così insegna: “Siccome poi non conosciamo né il giorno né l’ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l’unico corso della nostra vita terrena (cfr Eb 9,27), meritiamo con Lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati fra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori, dove ‘ci sarà il pianto e lo stridore dei denti’ (Mt 22,13 e 25,30)” (Lumen gentium, 48) (Udienza 4 agosto 1999)
E a tutti quei preti, parroci o prelati qual fossero, che si ostinano a confondere i fedeli sull’argomento, arrivando a negare i Novissimi, l’Inferno e il Purgatorio, ecco cosa dice il vero Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium Cap IV – La Chiesa celeste e la Chiesa peregrinante:
49. Fino a che dunque il Signore non verrà nella sua gloria, accompagnato da tutti i suoi angeli (cfr. Mt 25,31) e, distrutta la morte, non gli saranno sottomesse tutte le cose (cfr. 1 Cor 15,26-27), alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri, compiuta questa vita, si purificano ancora, altri infine godono della gloria contemplando chiaramente Dio uno e trino, qual E’.
Visto che siamo nell’Anno della Misericordia, vogliamo allora concludere con le parole di Santa suor Faustina Kowalska, Diario quaderno I° che vogliamo far nostre e, ci auguriamo, che anche voi Lettori, possiate trarne beneficio e pensare, da oggi, alle Anime Sante del Purgatorio. Anche perché, domani, saremo noi a trovarci in questa condizione, a supplicare che qualcuno dalla terra… si ricordi ancora di noi non per i nostri vaneggiamenti o la mondanità vissuta, ma per la nostra salvezza.
“Poco tempo dopo mi ammalai. La cara Madre Superiora mi mandò, assieme ad altre due suore, a passare le vacanze a Skolimòv, un po’ fuori Varsavia.
In quel tempo domandai al Signore Gesù: “Per chi ancora devo pregare?”. Gesù mi rispose che la notte seguente m’avrebbe fatto conoscere per chi dovevo pregare.
Vidi l’Angelo Custode, che mi ordinò di seguirlo. In un momento mi trovai in un luogo nebbioso, invaso dal fuoco e, in esso, una folla enorme di anime sofferenti.
Queste anime pregano con grande fervore, ma senza efficacia per se stesse: soltanto noi le possiamo aiutare. Le fiamme che bruciavano loro, non mi toccavano.
Il mio Angelo Custode non mi abbandonò un solo istante. E chiesi a quelle anime quale fosse il loro maggiore tormento. Ed unanimemente mi risposero che il loro maggior tormento è l’ardente desiderio di Dio. Scorsi la Madonna che visitava le anime del purgatorio. Le anime chiamano Maria “Stella del Mare”. Ella reca loro refrigerio.
Avrei voluto parlare più a lungo con loro, ma il mio Angelo Custode mi fece cenno d’uscire. Ed uscimmo dalla porta di quella prigione di dolore.
Udii nel mio intimo una voce che disse:
“La Mia Misericordia non vuole questo, ma lo esige la giustizia”. Da allora sono in rapporti più stretti con le anime sofferenti del purgatorio.”
Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.
Perché si va in Purgatorio se Cristo ha già perdonato le nostre colpe e ha pagato per noi? E perché la confessione? Quella diretta con Dio non basta?
Questo articolo è di AmiciDomenicani.it
Quesito
Buonasera padre,
Potrei sapere come si potrebbe spiegare il purgatorio e perché si va in Purgatorio se Cristo ha già perdonato le nostre colpe e ha pagato per noi? E riguardo la confessione? Perché quella diretta con Dio non è valida senza un sacerdote?
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. è vero che Cristo ha espiato tutti i nostri peccati.
Li ha espiati in maniera sovrabbondante.
Tuttavia perché la sua redenzione ci venga applicata è necessario accoglierla.
Diversamente bisognerebbe concludere che non importa avere la fede e che all’inferno non ci va nessuno.
Il che evidentemente è contrario alla Sacra Scrittura.
2. Poiché l’inferno è auto esclusione dalla comunione con Dio, se non esistesse l’inferno bisognerebbe concludere che si sarebbe costretti ad amare Dio anche se non lo si vuole.
Questo è un assurdo, perché c’è amore solo dove c’è volontà di amare.
3. Gesù invece ha detto chiaramente che alcuni andranno all’inferno: “Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato” (Mt 25,41-43).
4. E, soprattutto a proposito di quelli che dicono che è sufficiente la fede per salvarsi e che le buone opere non contano si legge nel Vangelo che “un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: «Signore, aprici!». Ma egli vi risponderà: «Non so di dove siete». Allora comincerete a dire: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze». Ma egli vi dichiarerà: «Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!” (Lc 13,24-27).
5. Sull’esistenza e sulla necessità del Purgatorio ho parlato molte volte. Puoi cliccare sul motore di ricerca del nostro sito.
Tuttavia è sufficiente ricordare quanto si legge nell’Apocalisse dove si dice che nella Gerusalemme celeste, cioè in paradiso, “non entrerà nulla d’impuro” (Ap 21,27).
6. Tra le impurità è doveroso distinguere tra quelle che sono gravi e quelle lievi.
L’affermazione dell’Apocalisse riguarda ogni impurità.
Di qui la necessità di un’interiore purificazione per le impurità anche solo lievi.
Questa purificazione non è una condanna, ma è una grande misericordia da parte di Dio.
È per questo che la Chiesa fin dall’inizio ha celebrato l’Eucaristia in suffragio dei defunti nelle catacombe, soprattutto nel giorno anniversario della loro morte.
7. Passiamo adesso alla domanda sulla confessione.
Anche su questo argomento puoi cliccare sul motore di ricerca del nostro sito e trovare molte risposte.
Ma spendo volentieri un’altra parola per te perché sei di estrazione evangelica.
Domandare perdono a Dio per i nostri peccati nel profondo del nostro cuore è la cosa più ovvia e necessaria.
Se non c’è pentimento, non c’è nessuna remissione dei peccati.
8. Tuttavia questo pentimento, pur essendo necessario, non è ancora sufficiente perché Gesù, la sera del giorno della sua risurrezione, ha istituito il sacramento della confessione o penitenza con le seguenti parole: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,23).
Come si vede, Gesù Cristo ha legato il suo perdono al perdono della Chiesa.
Ha detto che i peccati rimangono e non vengono rimessi se la Chiesa non li rimette.
9. Ci si può domandare perché Gesù abbia voluto legare il suo perdono al perdono della Chiesa.
Ecco la risposta data da Giovanni Paolo II: “Poiché col peccato l’uomo rifiuta di sottomettersi a Dio, anche il suo equilibrio interiore si rompe e proprio al suo interno scoppiano contraddizioni e conflitti. Così lacerato, l’uomo produce quasi inevitabilmente una lacerazione nel tessuto dei suoi rapporti con gli altri uomini e col mondo creato. È una legge e un fatto oggettivo, che hanno riscontro in tanti momenti della psicologia umana e della vita spirituale, come pure nella realtà della vita sociale, dov’è facile osservare le ripercussioni e i segni del disordine interiore” (Reconciliatio et Paenitentia, 15).
10. E poiché ogni persona “in virtù di una solidarietà umana tanto misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta” (RP 16) è intimamente relazionata con le altre, “il peccato di ognuno si ripercuote in qualche modo anche sugli altri. È questa l’altra faccia di quella solidarietà che a livello religioso si sviluppa nel profondo e magnifico mistero della comunione dei santi, grazie alla quale si è potuto dire che ogni anima che si eleva, eleva il mondo.
A questa legge dell’ascesa corrisponde, purtroppo, la legge della discesa, sicché si può parlare di una comunione nel peccato, per cui un’anima che si abbassa per il peccato abbassa con sé la chiesa e, in qualche modo, il mondo intero.
In altri termini, non c’è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette.
Ogni peccato si ripercuote, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull’intera famiglia umana” (RP 16).
Ora con il sacramento della confessione domandiamo perdono e ci riconciliamo simultaneamente con Dio e con la Chiesa.
Ed è per questo che fin dall’inizio, come è attestato dalla Didaché (uno scritto della seconda metà del I secolo e antecedente ad alcuni libri sacri del Nuovo Testamento), i credenti prima della celebrazione eucaristica, chiamata quei tempi frazione del pane, dovevano confessare i loro peccati.
11. Va ricordato infine che, proprio dalle parole con cui Cristo è istituito il sacramento, la confessione possiede un duplice significato: giudiziale e terapeutico o medicinale.
Sull’aspetto giudiziale Giovanni Paolo II ha affermato: “Questo Sacramento è, secondo la più antica tradizionale concezione, una specie di azione giudiziaria; ma questa si svolge presso un tribunale di misericordia, più che di stretta e rigorosa giustizia, il quale non è paragonabile che per analogia ai tribunali umani, cioè in quanto il peccatore vi svela i suoi peccati e la sua condizione di creatura soggetta al peccato; si impegna a rinunciare e a combattere il peccato; accetta la pena (penitenza sacramentale) che il confessore gli impone e ne riceve l’assoluzione” (RP 31,II).
12. Oltre al carattere giudiziale, vi è anche quello “terapeutico o medicinale”.
Nell’antichità cristiana l’opera redentrice viene chiamata “medicina salutis”.
“Io voglio curare, non accusare”, diceva Sant’Agostino a proposito della pastorale penitenziale (Sermo 82,8).
“È grazie alla medicina della confessione che l’esperienza del peccato non degenera in disperazione” (RP 31,II).
“Tribunale di misericordia o luogo di guarigione spirituale, sotto entrambi gli aspetti, il sacramento esige una conoscenza dell’intimo del peccatore per poterlo giudicare e assolvere, per curarlo e guarirlo.
E proprio per questo implica da parte del penitente un’accusa sincera e completa dei peccati, che ha pertanto ragion d’essere non solo ispirata a motivi ascetici (quale esercizio di umiltà e mortificazione), ma inerente alla natura stessa del Sacramento” (RP 31,II).
13. Per questo la Chiesa, fin dai primi tempi cristiani, in collegamento con gli apostoli e con Cristo, insegna che l’accusa dei peccati è inclusa nel segno sacramentale della penitenza.
Senza di essa il sacerdote non potrebbe svolgere il suo ruolo di giudice e di medico.
Il Concilio di Trento dopo aver osservato che “i sacerdoti non potrebbero né esercitare questo potere giudiziale senza conoscere la causa né osservare l’equità nell’imporre le pene se i fedeli stessi non dichiarassero prima i loro peccati non solo in genere ma anche in specie e singolarmente” conclude così: “Se qualcuno affermasse che la confessione sacramentale non è stata istituita o non è necessaria alla salvezza di diritto divino; oppure che il modo di confessarsi in segreto al solo sacerdote, che la Chiesa cattolica ha sempre osservato e osserva, è contrario all’istituzione e al comando di Cristo, ed è un’invenzione umana, sia scomunicato” (DS 1706).
Ti benedico, ti ricordo nella preghiera e ti auguro la remissione di tutti peccati sia per mezzo del battesimo (il nostro visitatore non è ancora battezzato) sia successivamente per mezzo della confessione sacramentale.
Padre Angelo