Dalla Nouvelle Théologie alla teologia da metropolitana

Ma forse è più serio il gioco del Tris…

Dopo i recenti fatti legati al misterioso “biglietto” di Benedetto XVI, vedi qui, attraverso il quale si voleva dare dello “stolto a chi ritenesse Bergoglio teologicamente inferiore a Ratzinger“, e di conseguenza alla pessima figura di mons. Viganò e alla sua triste, disperata operazione di marketing miseramente fallita, vogliamo noi qui approfondire l’elemento della causa che sono, in verità l’oramai famosa collana di 11 volumetti – piccoletti – che non sono l’opera di papa Francesco, come qualche giornale mediatico ha avanzato in un primo momento, ma una sorta di “spiegazione” al suo magistero, ai sogni di una “sua chiesa” personalizzata.

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Più la questione è complessa, più gli eretici, gli apostati ci sguazzano e perciò vi imploriamo, davvero, a fare ogni sforzo per comprendere la situazione. Qui cercheremo di facilitarvi l’apprendimento, ma per capire bene dovete leggere anche qui: Come la Chiesa cadde in mano ai neomodernisti, è solo la prima parte, ma molto utile per iniziare a capire i fatti e, quando parliamo di “nouvelle théologie“, parliamo di quel concetto di “NUOVO” attraverso il quale si è voluta sdoganare l’attuale apostasia ed eresia, vedere qui nell’elenco dei Dossier.

Dobbiamo tenere a mente che nel momento in cui si fa entrare il concetto di “novità” e di nuovo, si incorre immediatamente nel grave monito paolino (2Tim.4,1-5), si innesca quel: “Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa..“. Ed è evidente questo perché non esiste una teologia moderna, così come non esiste un Credo moderno, una liturgia più moderna, una prassi più moderna, un Catechismo più moderno, e quant’altro, senza cadere proprio in quella eresia che san Pio X condannò con il termine “Modernismo, la sintesi di tutte le eresie” del nostro tempo.

Ci opponiamo a questo concetto di “nuovo” perché Dio è sempre moderno, gli Apostoli sono sempre moderni, il Vangelo, la Scrittura è sempre moderna, i Padri della Chiesa sono sempre moderni, il concilio di Nicea come Trento, sono sempre moderni… esiste la teologia e basta, perché il Vangelo è sempre attuale, perché come affermiamo: Cristo è ieri, oggi e sempre, e sono le Membra, noi, che dobbiamo cambiare per conformarci al Cristo di sempre. Il contributo che i teologi possono e devono dare non è quello della modernità, inteso con tutti gli “ismi” del nostro tempo, ma della comprensione a ciò che ancora, della dottrina, non è del tutto comprensibile. Infatti, nel momento in cui facessimo diventare “magistero” ciò che si intende oggi per “nuovo”, gioco forza la stessa “nouvelle théologie” E’ VECCHIA... e bisogna allora adoperarsi per continuare ad inventare “cose nuove”.

E veniamo così al nocciolo della questione, assai chiara nel titolo che abbiamo voluto usare e che non è tutto nostro. La “nouvelle théologie” non basta più e a dimostrarcelo è proprio l’attuale pontificato che, nel suo magistero pasticciato, sta andando ben oltre gli “innovatores della nouvelle théologie” oppure, come pensiamo, stanno arrivando all’apice dell’applicazione di quello “spirito del concilio” ben denunciato come fatto grave da tutti i pontefici fino a Benedetto XVI. Bergoglio è l’uomo di fiducia per l’applicazione della “nouvelle théologie” ed anche oltre.

A confermare quanto stiamo dicendo è proprio questa piccola collana, fatta forse anche con troppa fretta, dalla editrice vaticana (LEV) che raccoglie, ed ecco la nuova novità, non più una “nouvelle théologie” ma siamo ora  alla TEOLOGIA DA METROPOLITANA!

A dirlo è proprio il direttore della LEV in questa intervista dal SIR, quando afferma:

Sono agili nel numero di pagine, affinché si possano leggere anche in metropolitana.”

No! Non ci siamo proprio. In metropolitana si possono leggere romanzi, gialli, i grandi classici, le vite dei Santi, ma non si possono leggere testi che dovrebbero impegnare il cuore e la mente per insegnare, ed imparare qualcosa. Per carità, tutto si può fare, ma parlando di TEOLOGIA non esiste una teologia spicciola senza penalizzarne il contenuto. A meno che, quella che si vuole spacciare per teologia non è tale, ma è più uno SCAMBIO DI IDEE teologiche, offerte come un passatempo (sulla metropolitana) per cercare di conoscere “il linguaggio, il pensiero e i gesti” di papa Francesco, come spiega il direttore della LEV.

In verità la collana raccoglie I SOGNI DI BERGOGLIO (basta leggere i titoli), come lui sogna una chiesa diversa e, questi Autori, tentano di spiegarlo, e ce ne sono voluti ben 11: un segnale di difficoltà o un segnale per dire – a chi non è d’accordo – che loro sono in tanti? Perciò sia chiaro, non c’è nulla di  veramente teologico. Forse è più serio il gioco del Tris

La “nouvelle théologie” non è più sufficiente a garantire, ai fedeli, la comprensione di un pontefice, ora siamo alla SPOLIAZIONE definitiva della teologia, per la qual nuova lettura ed interpretazione, sono serviti ben 11 teologi (tutti modernisti) ognuno dei quali, ovviamente, esprime nella collana la sua idea e la sua opinione sul “pensiero di papa Francesco”. Non lo diciamo noi che non abbiamo letto i volumetti e neppure intendiamo leggerli (ci basta conoscere il curriculum modernista degli Autori, come vedremo a breve), in questo caso ci fidiamo dello stile con il quale Benedetto XVI ha dato forfè alla loro lettura!

La Teologia è la conoscenza di Dio, è “scienza di Dio”, leggerla, riflettere, meditare, e non si improvvisa dal giorno alla notte. Il concetto di “semplicità” qui, ha lo stesso spessore che è stato usato per distruggere LA LITURGIA. Semplifichiamola – dissero – così da venire incontro ai fedeli, AL POPOLO… con la superba pretesa di poter in qualche modo pensare di poter svelare il Mistero ivi contenuto, e farlo capire al PUEBLO! I gravi risvolti di queste semplificazioni, li conosciamo.

San Tommaso d’Aquino meditava e ruminava ogni giorno, tanto da infilare la testa nel Tabernacolo, per ricevere aiuto alla comprensione della Teologia… e quando gli fu concesso DI SAPERE, si arrestò dallo scrivere, riconoscendo che tutto il suo capolavoro della Summa Theogia, era nulla al confronto di ciò che il Signore gli aveva rivelato. Da quel momento non scrisse più nulla.

Oggi si pretende di facilitare l’accesso alla teologia non aiutando i fedeli, le persone ad impegnarsi con la mente e il cuore, ma impoverendo la teologia, spogliandola del tomismo, trasformandola in “letture metropolitane”così come hanno impoverito la Liturgia e i Sacramenti.

Chi sono questi teologi scelti per l’iniziativa? Noi ve li indichiamo senza alcun commento aggiuntivo, lasciando a voi di giudicare i fatti e di pensare quanto sia stato illuminato, Benedetto XVI, nel non aver voluto leggere questa collana, e ribadendo che non l’avrebbe letta in futuro… a buon intenditor….

Una cosa è però curiosa: sembra il contraltare dello schema dei Dodici Apostoli, quelli veri, scelti da Gesù, lo stesso numero non è certo un caso, il 12° qui dovrebbe essere Bergoglio, l’ispiratore della collana.

. Jurgen Werbick: appassionato di teologia “contemporanea” (??), teologo cattolico tedesco modernista, allergico al tomismo;

. Don Lucio Casula: Docente di Teologia dogmatica presso la Facoltà Teologica della Sardegna, già autore di un libretto sulla “cristologia di papa Francesco”, con un nuovo concetto sul Cristo “oggi” (??);

. Peter Hünermann: ordinato sacerdote nel 1955 è un teologo cattolico tedesco modernista (infatti veste in giacca e cravatta), collaboratore della rivista Concilium, quella dalla quale Ratzinger si ritirò, dopo aver aperto gli occhi. Lui tratta il libretto dal titolo: “Uomini secondo Cristo, oggi“….  quindi il pensiero di Cristo “ieri” è superato? secondo Peter sì! Giudicate voi!

. Don Roberto Repole: è presbitero della diocesi di Torino, docente di teologia sistematica. Un autentico teologo modernista che vorrebbe “ripensare” il ruolo del vescovo e del presbiterio… con l’auspicio di una più marcata sinodalità… Non a caso, in questa collana, si dedicherà al desiderio di papa Francesco di volere una chiesa più evangelica che, tradotto in soldoni, è la comunità tipicamente pentecostale, come è sempre piaciuta a Bergoglio in Argentina;

. mons. Carlos Maria Galli: Membro della Commissione Teologica Internazionale, è altresì decano della Facoltà di teologia di Buenos Aires, della Pontificia università cattolica argentina, e presidente della Società argentina di teologia. Amico di Bergoglio da vecchia data è l’autore (e il suggeritore) della nuova pastorale urbana alla luce di Aparecida per il progetto missionario di papa Francesco, per il genere latinoamericano “Avanti popolo, alla riscossa”, o se vi è più chiaro Hasta la victoria siempre (“Sempre fino alla vittoria”);

. Padre Santiago Madrigal Terrazas: gesuita che va in giro in giacca e cravatta come il suo maestro Karl Rahner… è favorevole al diaconato femminile e papa Francesco lo ha chiamato a far parte della Commissione riguardo all’argomento. E’ tra i fautori di un ammodernamento anche degli “Esercizi spirituali” di sant’Ignazio;

. Don Aristide Fumagalli: docente di teologia morale al Seminario di Venegono, un vero guru della promozione di Amoris laetitiae e fustigatore verso i quattro cardinali che osarono formulare i “Dubia”… per lui la questione Gender non è da condannare ma una sfida antropologica, tutta da giocare, insomma non c’è nulla da condannare, ma trovare NUOVI APPROCCI al problema e trovare nuove condivisioni per la NUOVA ANTROPOLOGIA;

. Padre Juan Carlos Scannone: gesuita argentino, appassionato della teologia della liberazione prima, e di quella del popolo poi. E’ stato professore di Bergoglio… nel 1957, quando insegnava greco e letteratura al seminario di Villa Devoto. Nel 2016 ha pubblicato un libretto a favore di papa Francesco dal titolo eloquente: “Teologia del pueblo y la cultura”, con sottotitolo: “Raices teologicas del papa Francisco“… In una intervista del 2016 ha affermato candidamente, a seguito di un’altra pubblicazione: “Nel libro mostro come il Vaticano II cambia di paradigma teologico e la Gaudium et Spes di metodo, che poi applicherà l’episcopato latinoamericano nel corso degli anni, dalla seconda conferenza episcopale di Medellin nel 1968 ad Aparecida…”; sulla questione del “paradigma” leggete anche qui per comprendere la gravità di queste affermazioni;

. Marinella Perroni: teologa presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma, dove è professoressa stabile di Nuovo Testamento nella Facoltà di Filosofia e nella Facoltà di Teologia. Ha fondato il Coordinamento Teologhe Italiane, ne è stata presidente dal 2004 al 2013. Definisce che la “lettura femminista della Bibbia, in chiave femminista” è per lei l’equivalente della rivoluzione copernicana, necessaria e fondamentale, ecco il suo pensiero femminista: “oggi più che mai, continuare a raccontare la lunga marcia con la quale le donne cristiane hanno cominciato, in questi primi cento anni, a riappropriarsi della Bibbia….”

. Don Piero Coda: è un presbitero e teologo italiano della diocesi di Frascati. È professore di teologia dogmatica alla Pontificia Università Lateranense e autore di numerose pubblicazioni teologiche. Presidente dell’Associazione Teologica Italiana e segretario della Pontificia Accademia di Teologia. È preside dell’Istituto Universitario Sophia fondato da Chiara Lubich. Il suo punto forte è l’ecumania, il sincretismo religioso.

. Padre Marko Ivan Rupnik: gesuita del quale c’è poco da aggiungere dal momento che tutti riconosciamo i suoi lavori artistici… un tuttologo alla Pico de Paperis!

E come diceva il grande Alessandro Manzoni: “Ai posteri l’ardua sentenza”, intanto noi cerchiamo di fare la nostra buona parte.

Laudetur Jesus Christus

Vi invitiamo ad approfondire gli argomenti attraverso alcune interviste: quella di mons. Antonio Livi qui;  quella del professor Stefano Fontana qui; e quella al dott. Marco Tosatti qui.


AGGIORNAMENTO: da La Nuova Bussola Quotidiana

  • I VOLUMETTI DI VIGANÒ

Promuovere Francesco ignorando Giovanni Paolo e Benedetto

Continuiamo la lettura dei volumetti sulla “Teologia di papa Francesco”, affrontando il saggio di don Roberto Repole dedicato all’ecclesiologia. Laddove risulta che il rapporto tra Chiesa universale e Chiese locali è rovesciato rispetto a quanto codificato dai suoi predecessori.

La collana sulla teologia di Francesco

Continuiamo la lettura dei volumetti sulla “Teologia di papa Francesco”, editi dalla Libreria Editrice Vaticana, che sono stati al centro del pasticcio che ha coinvolto Benedetto XVI e alla fine provocato le dimissioni di monsignor Dario Edoardo Viganò da prefetto della Segreteria per la Comunicazione. Scopo della collana è l’approfondimento del pensiero teologico dell’attuale Pontefice e la dimostrazione della sua continuità con i predecessori. Dopo aver affrontato i tedeschi Peter Hünermann e Jürgen Werbick, prendiamo ora in esame il lavoro dell’italiano don Roberto Repole, curatore della collana.

Il sogno di una Chiesa evangelica, che si occupa dell’ecclesiologia del Papa, è particolarmente importante perché scritto dal curatore dell’intera collana, don Roberto Repole, torinese, classe 1967, attuale direttore della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, sezione di Torino. Don Repole sceglie una via piuttosto difficile, volendo dimostrare la continuità del Papa con i predecessori, semplicemente ignorando di chiamare in causa tali predecessori. Il Papa più “vecchio” che compare è Giovanni Paolo II, relegato in una noticina, giusto per dire che il suo insegnamento presente in Apostolos Suos, 12 è troppo “all’interno di una cornice ancora tendenzialmente universalistica di Chiesa”.

Questo limite, che risalta, secondo lui, in modo ancora più evidente nella lettera Communionis notio della Congregazione per la Dottrina della Fede (1992), ha fatto sorgere – afferma Repole – “un intenso dibattito teologico che ha visto in Ratzinger e Kasper i due principali protagonisti”. In questa disputa, Francesco ha seguito la posizione di Kasper, sostenitore di una concezione “per cui non si possa intendere l’universalità della Chiesa come realtà previa all’esistenza delle Chiese locali”.

Stranamente si fa finta che Ratzinger sia un teologo che esprime il proprio personale pensiero, dibattendo con un altro teologo (Kasper) e che il Papa attuale avrebbe preferito quest’ultimo. Le cose però sono un tantino diverse: “La Chiesa universale precede le Chiese particolari, e queste devono sempre conformarsi a quella, secondo un criterio di unità e universalità” è un’affermazione che fece Benedetto XVI, in occasione della solennità di Pentecoste del 2010; affermazione da Papa, che riprende in modo sintetico quanto diffusamente spiegato nella già citata Communionis Notio, che egli firma da Prefetto della CDF, con approvazione di un Papa, Giovanni Paolo II. E sempre da Papa pubblicò l’Esortazione Apostolica Ecclesia in Medio Oriente, dove al n. 38 si legge che la Chiesa universale è una realtà preliminare alle Chiese particolari, che nascono nella e dalla Chiesa universale”, precisando che “questa verità riflette fedelmente la dottrina cattolica e particolarmente quella del Concilio Vaticano II. Introduce alla comprensione della dimensione gerarchica della comunione ecclesiale e permette alla diversità ricca e legittima delle Chiese particolari di articolarsi sempre nell’unità”.

È quindi quanto meno curioso che Repole non riporti questi testi, ma riduca il tutto ad una disputa tra teologi, laddove Benedetto XVI intende esporre fedelmente la dottrina cattolica ed anche l’insegnamento del Concilio. Un modo singolare di provare la continuità quello di cancellare qualsiasi testo del Magistero precedente che possa mostrare qualche problema di discontinuità…

Ed infatti Repole presenta una linea diretta tra papa Francesco e il Vaticano II, come se nel frattempo non ci siano stati cinquant’anni di Magistero, che di quel Concilio hanno indicato l’interpretazione. Secondo Repole, l’insegnamento di Francesco segna una “nuova fase di recezione dell’insegnamento ecclesiologico espresso dal Vaticano II”, talmente nuova da non riuscire a trovare agganci se non in Francesco stesso ed in altri nuovi “pontefici”. I più citati: Spadaro, già ben conosciuto; Carlos Maria Galli, decano della Facoltà di teologia di Buenos Aires (della Pontificia Università Cattolica Argentina, il cui rettore è Victor Manuel Fernandez), che con Spadaro ha pubblicato La riforma e le riforme nella Chiesa. Un libro che provocherà la risposta di mons. Agostino Marchetto, che ha dovuto mettere in rilievo come nel volume, gli autori “si situano tutti, o quasi, in una linea unidimensionale di riforma, con sottolineatura della sinodalità-collegialità, senza tener molto presente e sviluppare l’altro polo del fondamentale binomio primato-sinodalità…E proprio per questo, in fondo, monocorde tono del coro e la conseguente unilateralità dell’opera, che è sorta in me l’idea di far udire un’altra voce” (cioè la pubblicazione di Marchetto La riforma e le riforme nella Chiesa. Una risposta).

Galli – che insieme al gesuita argentino Juan Carlos Scannone, altra firma della collana sulla teologia del Papa – è tra i sostenitori della cosiddetta “teologia del popolo”, è anche autore del volume della collana La Teologia di papa Francescodedicato alla mariologia. Oltre a Spadaro e Galli, l’altra grande auctoritas a cui rinvia il libro di Repole è Kasper. Niente male. Paolo VI, Giovanni Paolo II assenti; Benedetto XVI ridotto a semplice teologo, ma in compenso abbiamo le tre colonne della continuità: Spadaro, Galli e Kasper.

Quest’ultimo poi viene tirato in ballo anche per un’altra chicca: una cosina non proprio indifferente. Le formule dottrinali, scrive Repoli, “sono sempre definitive e provvisorie al tempo stesso, per usare un’espressione adoperata da Kasper già diversi decenni or sono. Tali formulazioni non possono, perciò, costituire un divieto allo sforzo di riesprimere in altri modi quella medesima verità”. Repole, sulla scorta di Evangelii Gaudium, 41, arriva a sostenere che “senza cogliere il senso profondo e il compito delle formule dottrinali, che non impediscono nuove formulazioni… si potrebbe arrivare alla situazione paradossale di sentire un linguaggio formalmente ortodosso che non indirizza al vero Vangelo di Cristo”. Da qui porte aperte a “nuove formulazioni”, a “nuovi linguaggi di espressione della fede”. Per Repole, anche Ratzinger avvallerebbe quanto sopra.

Ora, su un argomento così delicato ci si sarebbe aspettati almeno qualche precisazione in più; e soprattutto, se si cita qualcuno (in questo caso un certo Ratzinger), si dovrebbe esprimere il suo pensiero integralmente, sebbene limitatamente allo spazio a disposizione. Ratzinger, nella frase riportata in nota da Repole, affermava che la formulazione dogmatica certamente non ha la pretesa di essere l’unica possibile, eppure essa obbliga e permane perché “esprime la fede in comune”; cioè per dirla con il documento L’interpretazione dei dogmi, della Commissione Teologica Internazionale (1990), autorizzato dallo stesso cardinal Ratzinger, la Chiesa, per giungere a delle formulazioni, ha sottoposto i termini utilizzati “a un processo di purificazione e di trasformazione o di rielaborazione. Così, ha creato il linguaggio adatto al proprio messaggio”. Proprio per questo, “come comunità della fede, la Chiesa è una comunità nella parola della confessione. Perciò l’unità nelle parole fondamentali della fede fa anche parte… dell’unità della Chiesa”.

La conseguenza di questo processo è diametralmente opposta a quella cui arriva Repole: “Queste parole fondamentali della fede non sono rivedibili, neppure quando ci si propone di non perdere di vista la realtà che è espressa in esse. Ma ci si deve sforzare di assimilarle sempre più e di procedere oltre nella loro spiegazione, grazie a tutta una gamma di forme diverse di evangelizzazione”.

Tout se tient: la posta in gioco è l’unità della Chiesa; se si rinuncia alla precedenza della Chiesa universale rispetto alle chiese particolari, se la sinodalità e la collegialità diventano ipertrofiche, se le formulazioni dogmatiche non solo possono ma devono cambiare, il risultato è che l’unità della Chiesa si frantuma e non a vantaggio di una maggiore libertà dei cristiani, ma per un loro completo naufragio. Ed infatti a tutti questi punti i predecessori di Bergoglio si sono opposti, riequilibrando la barca di Pietro.

La ripetizione mantrica della sinodalità va di pari passo con l’assolutizzazione della concezione della Chiesa come popolo di Dio. Repole decide piuttosto arbitrariamente che “la categoria più importante con cui il Vaticano II ha parlato della Chiesa è stata quella di popolo di Dio”, categoria che diventa centrale nell’ecclesiologia di papa Francesco. Il minimo che si dovrebbe dire è che insieme alla categoria di popolo di Dio, la Sacra Scrittura, la Tradizione della Chiesa, lo stesso Concilio e il Catechismo ne utilizzano altre (Corpo mistico di Cristo, Sposa di Cristo, Tempio dello Spirito Santo, nuova Gerusalemme…), ciascuna delle quali permette di arricchire la nostra comprensione di ciò che permane un mistero e di evitare fughe unilaterali. La stessa Lumen Gentium, subito dopo il secondo capitolo dedicato alla Chiesa popolo di Dio, parla della costituzione gerarchica della Chiesa.

Ma Repole non sembra tenerne molto conto e tira dritto con affermazioni di sconcertante superficialità; secondo lui, l’identificazione della Chiesa come popolo di Dio impedisce di “separare rigidamente una Ecclesia docens ed una Ecclesia discens. All’interno della Chiesa nessuno può essere, infatti, collocato al di sopra degli altri”. Frase certamente ad effetto, adatta alle campagne elettorali, ma non ad un testo di ecclesiologia. Perché un’affermazione così risulta (volutamente?) anfibologica, prestandosi come minimo ad interpretazioni contrarie alla fede cattolica.

Stessa sorte per il continuo ricorrere all’immagine della “Chiesa in uscita” e alla “conversione pastorale”, provocando uno sbilanciamento molto problematico, che finisce con lo snaturare la Chiesa di Dio e la vita cristiana. E’ l’evangelista Marco a ricordare che Gesù “ne costituì Dodici – che chiamò Apostoli – perché stessero con lui e per mandarli a predicare” (Mc. 3, 14): nessuna conversione pastorale, ma semmai cristocentrica.

E’ significativo che in questa presentazione dell’ecclesiologia di Francesco manchi totalmente il riferimento liturgico ed anche quello sacramentale risulta carente. Più correttamente, il cardinal Ratzinger, nel suo noto intervento del 2000 sull’ecclesiologia di Lumen Gentium, faceva notare alcune cose essenziali, sulle quali, non a caso Repole, dice che “si può eccepire”. Così scriveva Ratzinger: “il Vaticano II voleva chiaramente inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio, voleva proporre una ecclesiologia nel senso propriamente teo-logico…All’inizio sta l’adorazione. E quindi Dio. Questo inizio corrisponde alla parola della Regola benedettina: Operi Dei nihil praeponatur… La Chiesa si lascia guidare dalla preghiera, dalla missione di glorificare Dio. L’ecclesiologia ha a che fare per sua natura con la liturgia”. Un altro mondo.

E proprio in questo discorso Ratzinger metteva in guardia da alcuni malintesi: “Ero grato e contento, quando il Sinodo del 1985 riportò al centro della riflessione il concetto di «communio». Ma gli anni successivi mostrarono che nessuna parola è protetta dai malintesi, neppure la migliore e la più profonda. Nella misura in cui «communio» divenne un facile slogan, essa fu appiattita e travisata. Come per il concetto di popolo di Dio così si doveva anche qui rilevare una progressiva orizzontalizzazione, l’abbandono del concetto di Dio. L’ecclesiologia di comunione cominciò a ridursi alla tematica della relazione fra Chiesa locale e Chiesa universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l’una e l’altra”. Come dicono a Roma: stiamo da capo a 12.

 

 


  • I VOLUMI DI VIGANO’/IV

Fumagalli, teologia tra equivoci e forzature

Tace l’essenziale sulla natura del matrimonio, espelle le azioni intrinsecamente cattive, equivoca le norme morali negative e ammette un bene possibile, ma senza la Grazia divina. L’analisi del libro di don Aristide Fumagalli nella collana dei libri sulla teologia di Papa Francesco.

A sinistra don Aristide Fumagalli

Cosa ci fanno due tedeschi, due argentini, uno spagnolo, cinque italiani e uno sloveno?  Potrebbe sembrare l’inizio della più classica delle barzellette, invece c’è poco da ridere. La squadra selezionata per la collana dei libretti sulla teologia di papa Francesco mostra con sempre più chiarezza lo iato tra la piega presa dalla corrente ecclesiale attuale ed il Magistero precedente. Si è vista la netta opposizione di Hünermann Werbick, firmatari della Dichiarazione di Colonia, ai pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI; si è constatata l’accelerazione degli argentini e di don Repole, curatore della collana, verso una chiesa sempre più “collegiale”, decentrata, e sempre più aperta a nuove formulazioni della fede.

Anche gli altri autori indicano una direzione ben precisa: il focolarino don Piero Coda; Marinella Perroni, fondatrice e per nove anni presidente (o presidentessa?) del Coordinamento delle Teologhe Italiane, don Lucio Casula, docente di dogmatica alla Facoltà Teologica della Sardegna, don Aristide Fumagalli, docente di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale.

Ed è al libro scritto da Fumagalli Camminare nell’amore. La teologia morale di papa Francesco, che dedicheremo la nostra attenzione, perché in fondo ha un grande pregio: quello di far vedere una buona volta che Amoris Laetitia è un documento senza radici, un documento fragile, rappezzato. E che la più discussa conclusione cui AL giunge (quella della possibilità dell’Eucaristia per i divorziati-risposati) è stata possibile solo mediante un’operazione di totale fraintendimento dei testi che la dovrebbero supportare.

Il secondo capitolo del libro riprende le medesime argomentazioni di quanto Fumagalli aveva scritto nei numeri 7/8 2016 de La Rivista del Clero italiano (“La «via caritatis». Sul capitolo ottavo di «Amoris Laetitia»). I principi etici presenti in Evangelii Gaudium trovano, secondo Fumagalli, la loro “prima grande declinazione in AL”. L’argomentazione di Fumagalli è riassumibile in questi termini:

  1. Il matrimonio in AL non è più concepito come patto, alleanza, men che meno come contratto, ma come “progetto”, cioè come “un processo” in corso.
  2. In questo processo, occorre rispettare la legge della gradualità, principio già presente in Familiaris Consortio, ma lì, secondo Fumagalli, non sembra “trovare adeguata composizione”. Ancora più esplicitamente, “per il soggetto in cammino, l’«oggettivo» [cioè la legge, n.d.a.] non è immediatamente il tutto del percorso, ma il grado amoroso che hinc et nunc può e dev’essere praticato. Esiste cioè un «oggettivo-soggettivo» che, pur non coincidendo con l’oggettività assoluta, nemmeno si risolve nell’arbitrio soggettivo”. Il criterio della gradualità diventa il “grado amoroso”. Auguri.
  3. Fumagalli introduce l’idea di una “perfetta imperfezione della carità”, richiamando a sostegno un testo della Summa Theologiae: la perfezione della carità non è da considerare in assoluto, ma come perfezione del soggetto che ama con tutte le sue forze, secondo la sua “misura”. “Questa perfezione… – spiega Fumagalli – può sussistere con l’imperfezione del suo attuarsi negli actus, cioè con i peccati veniali”. Da questa affermazione, conseguirebbe che “nessuna situazione è perfettamente in regola e ogni situazione, data la sua imperfezione, potrebbe essere detta «irregolare»”.
  4. Il cammino della gradualità esige l’immancabile discernimento, che dovrà avere un passo “secondo la gamba di chi cammina”, riuscirgli cioè possibile, dato che, … Deus impossibilia non jubet”. Questo discernimento, assicura Fumagalli, non è una deroga alla legge universale, ma permette di cogliere il bene possibile “nella singolarità del caso”. “Il bene possibile, per quanto minimo rispetto al bene assoluto, è tuttavia il bene massimo rispetto alla persona che lo pratica”, e in questo senso è “il bene migliore”.

L’applicazione di questi principi alle “differenti fragilità” matrimoniali risulta piuttosto evidente: in quelle situazioni in cui una seconda unione è “consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa…” (AL 298), “il discernimento circa la partecipazione dei fedeli divorziati risposati alla vita della Chiesa può riguardare anche l’accesso ai sacramenti”, precisando che non si tratta di “una nuova normativa canonica stabilita da Francesco, ma l’esito di un cammino, frutto di discernimento personale e pastorale”.

Andiamo con ordine. Anzitutto dire che il matrimonio è un processo è una “mezza verità”; e l’altra metà, quella taciuta, è essenziale. Il nuovo legame tra un uomo ed una donna inizia ad esistere nel momento del consenso e si consuma nell’unione carnale; prima non erano “una caro” e ad un certo punto lo sono. Una nuova relazione inizia ad esistere: l’indissolubilità è posta in essere, non è un ideale e non è un progetto. La dimensione processuale riguarda la fedeltà quotidiana a questa nuova realtà già esistente. Allora, la legge della gradualità (punto 2) deve fare i conti con questa nuova realtà che già esiste ed escludere tutto ciò che le è contrario. Ed è questo il cuore del rigetto da parte di Veritatis Splendor della gradualità della legge e dell’accoglienza, invece, del principio della legge della gradualità. Anche se Fumagalli e AL ribadiscono il proprio rifiuto del principio di gradualità della legge, quello che affermano rientra proprio in quella categoria. Perché? Perché la legge della gradualità ha come punto di partenza il fatto che le azioni intrinsecamente cattive non ammettono gradualità; sono un comando, non un consiglio e nemmeno un ideale da raggiungere. Invece la gradualità della legge ammette, per varie ragioni, che le leggi morali negative possano essere, all’interno del percorso, occasionalmente trasgredite. Nella prospettiva di Fumagalli le azioni intrinsecamente cattive spariscono e si dà invece spazio ad un continuum di “crescita graduale nell’amore”.

La sua prospettiva intende essere più attenta al soggetto, senza cadere nel soggettivismo (secondo lui). Il problema è che concepire la legge della gradualità come il graduale cammino nell’amore, ma senza tener presente l’intenzionalità oggettiva delle azioni compiute dal soggetto – da cui il fatto che ci siano alcune azioni sempre intrinsecamente cattive, e quindi mai da compiere, nemmeno nell’ottica di una gradualità – fa de facto scivolare la legge della gradualità nella gradualità della legge. Anche se a parole si afferma il contrario.

Espulsa la peculiarità delle azioni intrinsecamente cattive, si finisce in quanto affermato nel punto 3, e cioè che alla fine ogni situazione è irregolare, perché imperfetta. Fumagalli chiama a sostegno la quaestio 24 (Summa Theologiae II-II), nella quale Tommaso spiega che la carità rispetto al suo oggetto (Dio) è sempre imperfetta. Un’azione morale intrinsecamente cattiva non è mai ordinabile a Dio e per questo motivo è incompatibile con la carità (cf Summa Theologiae. I-II, q. 88, a. 1 e Veritatis Splendor 68).

Altro grave equivoco: quando Fumagalli richiama il principio del discernimento per “ovviare all’indeterminazione della norma generale rispetto al caso particolare” applica alle norme morali negative un principio che vale solo per le norme morali positive, commettendo così un grave errore. Questo è Tommaso e questa è Veritatis Splendor. Il continuo richiamo al discernimento per individuare il bene possibile (punto 4) è completamente fuori luogo, perché non tiene conto che nei casi di azioni intrinsece mala non siamo di fronte al bene possibile, ma al male reale, che non potrà mai diventare, come afferma Fumagalli (303), “il che richiama AL bene massimo rispetto alla persona che lo pratica”. Questa è alchimia verbale e non teologia morale. Un’alchimia già presente in AL, dove nel testo sopra riportato (§ 298) parla, in riferimento ad alcune nuove unioni di divorziati-risposati, di “provata fedeltà”, mentre essa è semmai una provata e stabile infedeltà, perché, se il matrimonio precedente è valido, l’unione con una persona che non è il coniuge è per definizione un atto di infedeltà, ed il fatto che questa nuova infedeltà sia stabile e duratura non muta la sostanza delle cose.

Tommaso distingue – eccome! – peccati che di per sé non si oppongono alla legge di Dio ed altri che vi si oppongono e perciò rifiuterebbe una posizione che afferma che nel matrimonio ogni imperfezione è in fondo una irregolarità. Commettere adulterio non è “irregolare” quanto litigare per il fatto di lasciare in giro i calzini. La posizione “sfumata” di Fumagalli finisce per assomigliare, per dirla con Hegel, ad una notte in cui tutte le vacche sono nere: alla fine tutti i matrimoni sono irregolari!

Singolare è anche il richiamo del principio per cui Dio non ordina l’impossibile, perché Fumagalli lo intende in modo opposto all’insegnamento della Chiesa. Il Concilio di Trento afferma sì che “Dio, infatti, non comanda l’impossibile”, ma aggiunge anche che “quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi e di chiedere quello che non puoi, ed aiuta perché tu possa”. Quando perciò si parla di bene possibile si è nuovamente di fronte ad un equivoco: di quale possibilità si parla? Con o senza la grazia di Dio? Forse che la grazia di Dio, se cercata, richiesta, se ben disposti ad accoglierla non rende possibile quello che con le sole forze umane risulta impossibile? Se Dio ha in odio l’adulterio, non darà forse la grazia sufficiente a chi la domanda con fede, per non cadere in questo peccato mortale? Come è possibile pensare che Dio in certi casi accolga l’adulterio come l’unico bene possibile, mentre nel contempo lo condanna? “Il braccio del Signore è forse raccorciato?” (Nm 11, 23).

E’ chiaro che questa prospettiva è funzionale per supportare il nocciolo della questione, cioè la comunione per chi vive more uxorio. Fumagalli cerca di tirare a proprio sostegno addirittura Benedetto XVI, il cui “lucido insegnamento… riconosceva che non esistono «semplici ricette»”. Il riferimento è ad alcune risposte che il Papa diede il 2 giugno 2012, in occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie. In realtà Papa Benedetto affermò che “non abbiamo semplici ricette” per affrontare la grande sofferenza della Chiesa, che è quella delle persone divorziate e risposate. E ci mancherebbe. Ma ha aggiunto con chiarezza “di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia”. E ribadiva che “se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante”. Quindi il non avere semplici ricette, non equivale a un “tana libera tutti”. Fumagalli sembra a suo agio nello strapazzare il senso dei testi degli autori da lui chiamati in causa. Per lui, Francesco semplicemente continua nella “logica dell’integrazione”, ammettendo che “la partecipazione dei fedeli divorziati risposati alla vita della Chiesa può riguardare anche l’accesso ai sacramenti”, risolvendo la questione in foro interno: “non è una nuova normativa canonica… ma l’esito di un cammino, frutto di discernimento personale e pastorale”. Un discernimento capace di tramutare il male reale in un bene possibile.

 

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