La Comunione alla mano? E’ protestante ecco le prove.

Cari Amici, in occasione dell’infausto Cinquantenario (1969-2019) del Nuovo Messale detto “Paolo VI”, e del divieto a poter celebrare nel Rito di sempre, detto Vetus Ordo (che venne poi riabilitato nel 2007 con il Summorum Pontificum di Benedetto XVI), abbiamo iniziato un breve ma intenso excursus storico – molto drammatico e che abbiamo intitolato in una nuova sezione “CRISI LITURGICA” – per cercare di capire da dove il tutto ebbe inizio. Visitate la sezione perché troverete molto materiale interessante.

In questo link: Guéranger spiega La catastrofe che fu il luteranesimo; siamo entrati proprio all’interno di un percorso alle radici di questa vera follia…. ora proseguiamo con due interessanti interventi: da chi ebbe inizio la DISTRUZIONE degli Altari cattolici per sostituirli con tavole e che oggi, da 50 anni, vediamo imposte anche dentro la Chiesa Cattolica, in una non meglio identificata “volontà” di un pseudo “spirito”??? Abbiamo trattato poi – clicca qui – una seconda parte: da chi è partito l’ordine di abolire gli Altari cattolici per sostituirli con tavole di legno, ed oggi con la devastazione che ne è conseguita? 

Qui  il video che spiega e sintetizza i testi che andrete a leggere a seguire.


RICORDIAMO QUI: Comunione spirituale, usi ed abusi


Michael Davies: cambiare il rito per cambiare la fede 

Continuiamo ad esaminare le misure preparatorie alla riforma anglicana, secondo lo studio fatto dal grande storico inglese Michael Davies.
Uno dei cambiamenti introdotti, prima del passaggio definitivo all’abbandono del Cattolicesimo per quella nuova forma di cristianesimo che è l’Anglicanesimo (cambiamenti graduali per abituare i fedeli ad abbandonare il Cattolicesimo Romano), è stato quello della distribuzione della santa comunione sulla mano. È impressionante vedere le motivazioni avanzate per questa modifica: tornare ad un uso antico perché non sussiste il pericolo di profanazione da parte dei fedeli. In verità si voleva attaccare il sacerdozio ordinato (il dare la comunione in bocca ai fedeli è, per i riformatori, un’ingiusta pretesa di superiorità del clero, perché dice di avere le mani consacrate) e la presenza reale di Gesù Cristo nelle specie eucaristiche (per i riformatori questa è una superstizione da abbattere!). Leggendo questo studio non si può non andare con la mente a molti cattolici, anche sacerdoti, che negli anni passati hanno avanzato le stesse motivazioni protestanti per obbligare (molte volte è stato così) i fedeli ad adeguarsi al nuovo ordine: comunione in piedi e sulla mano!
 
Con estenuanti insegnamenti sul “balletto” da farsi per riceverla con dignità! Oggi, Dio sia ringraziato, nelle messe papali il Santo Padre distribuisce la santa comunione solo ai fedeli in ginocchio e sulla bocca: è un esempio che i sacerdoti dovrebbero subito seguire. Peccato che a fianco del Papa, anche in S. Pietro, schiere di sacerdoti continuino a distribuire imperterriti la comunione in mano.
 
Leggendo il brano che segue forse ci chiariremo le idee sulle vere ragioni che spingono il Papa al ritorno alla forma tradizionale: la difesa del Sacerdozio cattolico e della verità della Transustanziazione, della presenza sostanziale del Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo nella SS. Eucarestia.
 
La comunione nella mano
 

E’ interessante notare che, nel rito del 1549, il popolo riceveva la santa comunione in ginocchio dalle mani del prete. Ecco ciò che dice una rubrica che si trova alla fine del Servizio di Comunione: “Benché si legga negli antichi autori che i fedeli ricevevano un tempo il sacramento del corpo di Cristo dalle mani del prete nelle loro e che non si trovi alcun ordine di Cristo che prescriva di agire diversamente, però, visto che ben sovente la si teneva segretamente e la si conservava in proprio possesso per oltraggiarla utilizzandola per dei fini superstiziosi e perversi, per paura che si tenti di usarne allo stesso modo in avvenire e allo scopo che si agisca in modo uniforme in tutto il regno, è stato giudicato opportuno che il popolo riceva ordinariamente il sacramento del corpo di Cristo in bocca, dalle mani del prete” (D. Harrison, The First and Second Prayer Books of Edward VI, Londra 1968, p. 230).

Il Prayer Book del 1552 modifica questa pratica tradizionale e prescrive: “Allora il ministro riceverà per primo la comunione sotto le due specie, poi la darà anche ai vescovi, preti e diaconi (se sono presenti); dopo la darà anche in ordine nelle mani del popolo, essendo ciascuno umilmente in ginocchio”. I fatti e le influenze che accompagnarono questo cambiamento sono particolarmente degni d’interesse. Nella Apostolicae curae, per giudicare l’intenzione che animava i riformatori d’Inghilterra nella loro impresa di elaborazione dei nuovi libri liturgici, il papa Leone XIII insistette in modo del tutto speciale sul ruolo degli associati eterodossi di cui i riformatori anglicani avevano sollecitato il concorso. Di questi, il più influente fu l’ex –domenicano Martin Bucer. Bucer negava ogni presenza di Cristo in o sotto le apparenze del pane e del vino. Era in lui una vera ossessione quella di vegliare a che nessuna liturgia riformata conservasse una sola parola, un solo gesto, una sola rubrica, suscettibile di essere interpretati come dei segni di fede in una tale presenza.
 
Avendo ricevuto da Cranmer un invito pressante, Bucer arrivò in Inghilterra in aprile e soggiornò dal suo ospitante a Lambeth e a Croydon. I due uomini divennero dei compagni inseparabili (F. Clark, Eucharistic Sacrifice and the Reformation, Devon 1980, p. 122). Bucer fu nominato regius professor di teologia a Cambridge, dove sostenne delle controversie contro la presenza reale e la messa. Preparò un trattato sull’ordinazione, a partire dal rito di ordinazione che aveva composto a Strasburgo dieci anni prima. Fu il riferimento principale dell’ordinario di Cranmer nel 1550 (Ibid.). Cranmer invitò il suo amico a procedere all’esame del Prayer Book del 1549, pregandolo di formulare le sue critiche e di suggerire delle migliorazioni.

La risposta di Bucer fu la sua lunga Censura dove fulminò contro “questo sacrificio della messa, tutto pieno di abominazioni, che non si aborrirà mai abbastanza e questa adorazione del pane (artolatreia), che non è che un insulto fatto a Dio”. (Bucer, p. 58) I due terzi dei suoi scritti, almeno, furono accolti e applicati nella compilazione del Prayer Book del 1552, confermando così la sua influenza su Cranmer (F. Clark, Eucharistic Sacrifice and the Reformation, Devon 1980, p. 123).

 

Bucer censurava diversi punti del rito di comunione che, temeva, potevano condurre a interpretarlo in senso cattolico. E’ così, per esempio, che faceva delle obiezioni al mantenimento dell’uso delle ostie, anche quando assomigliassero a del pane, uso prescritto nel rito del 1549; la revisione del 1552 ordinò dunque che si utilizzasse d’ora in avanti del pane ordinario: “E per combattere ogni occasione di dibattito e di superstizione che si potrà avere toccando il pane e il vino, sarà sufficiente che il pane sia come quello che si mangia ordinariamente in tavola con gli altri cibi, previsto che sia del migliore pane di frumento che si possa comodamente trovare. E se accade che resti del pane e del vino, il ministro li porterà via per il suo uso personale” (D. Harrison, The First and Second Prayer Books of Edward VI, Londra 1968, p. 392). Bucer teneva particolarmente che il pane non fosse posato nella bocca del comunicante ma nella sua mano: “Non arrivo a comprendere come si possa trovare logica la settima sezione, che esige che il pane del Signore sia posato non nella mano, ma in bocca di colui che lo riceve.

Sicuramente, la ragione che si dà in questa sezione, vale a dire la paura che coloro che ricevono il pane del Signore non lo mangino ma che lo portino segretamente con loro per farne un cattivo uso per superstizione o malvagità, non mi pare convincente; in effetti, quando il ministro depone il pane nella mano, gli è facile vedere se lo si mangi o no. “In realtà, non dubito che l’uso di non deporre le sante specie nelle mani dei fedeli sia stato introdotto a causa di una duplice superstizione: prima di tutto il falso onore che si intendeva rendere a questo sacramento in seguito, l’arroganza colpevole dei preti, che rivendicano una santità superiore a quella del popolo cristiano in ragione dell’olio della loro consacrazione. Non c’è alcun dubbio che il Signore ha rimesso i suoi segni sacri nelle mani degli apostoli e chiunque ha letto i testi degli antichi non potrà dubitare che tale fu l’uso osservato dalle Chiese fino all’avvento della tirannia dell’Anticristo romano (il Papa per i protestanti era l’anticristo, n.d. r.).

 

“Dunque, come dobbiamo avere in odio tutte le superstizioni dell’Anticristo romano e ritornare alla semplicità di Cristo, degli apostoli e delle Chiese antiche, amerei che si prescrivesse ai pastori e a coloro che hanno missione di insegnare al popolo che ognuno insegni loro fedelmente che è una superstizione e un errore pensare che le mani di coloro che credono sinceramente a Cristo siano meno pure delle loro bocche; o che le mani dei ministri siano più sante che le mani dei laici; tanto e così bene che sarebbe colpevole, o meno corretto, come il popolo ha falsamente creduto, che si posino le sante specie nelle mani dei laici. Che si facciano dunque scomparire i segni di questa falsa credenza, come, per esempio, l’idea che i ministri possano toccare le sante specie, ma non possono permettere ai laici di farlo e che le posino al contrario nella bocca, cosa che non è solo estranea all’istituzione del Signore, ma offensiva per la ragione umana.

 

“Così, sarà facile condurre tutti i fedeli a ricevere i segni sacri nella mano; tutti li riceveranno allo stesso modo e si vigilerà per evitare ogni profanazione segreta delle sante specie. Che, ammettendo che si possa fare per un certo tempo delle concessioni a coloro la cui fede è fragile donando loro, quando lo desiderino, la comunione in bocca, se si prende cura di istruirli, non tarderanno a comportarsi come gli altri membri della Chiesa e si comunicheranno nella mano”.

 

L’obiezione di Bucer contro il modo tradizionale di dare la santa comunione è dunque doppia: questa maniera di fare racchiude la credenza secondo la quale esiste una differenza essenziale fra prete e laico e tra il pane distribuito alla comunione e il pane ordinario . La soluzione di Bucer fu di imporre la comunione nella mano, dapprima come opzione, ma accompagnando questa maniera di procedere con una campagna di propaganda destinata a provocare rapidamente l’uniformità. Nella sua opera Missarum sollemnia, il padre Joseph Jungmann spiega che è il rispetto crescente verso il santo sacramento, ben più che il timore delle profanazioni, che fu la principale ragione della sostituzione della comunione sulla mano con la comunione sulla lingua (J. Jungmann, The Mass of the Roman Rite, Londra 1959, p. 510).

E’ qui uno sviluppo logico, quasi ineluttabile, pienamente conforme della lex orandi, lex credendi. Sotto la guida dello Spirito Santo, una intelligenza sempre più crescente della natura dell’eucaristia ricevette un’espressione dottrinale più precisa; questa, a sua volta, si espresse nella liturgia con un rispetto ed una venerazione accrescente verso il santo Sacramento. Così, tornando ad una pratica in uso anteriormente, con l’intenzione esplicita di manifestare un rifiuto dell’insegnamento cattolico sull’eucaristia, i riformatori diedero a questo uso della comunione sulla mano un senso anticattolico. Ormai, comunicarsi nella bocca voleva dire che si riceveva nella fede il sacerdozio ministeriale e la presenza reale, e comunicarsi sulla mano significava che li si rifiutava.

Michael Davies: cambiare il rito per cambiare la fede 

Da tempo, guidati da Michael Davies e dalla sua opera “La riforma liturgica anglicana”, stiamo considerando come siano pericolosissime tutte quelle operazioni che, volendo semplificare la Messa Cattolica, di fatto la trasformano in qualcosa di diverso: la cena protestante non è più la vera Messa. Questo è avvenuto nella riforma anglicana attraverso una serie di omissioni pericolose.

 

Ma è giunto il momento di considerare come “toccare la Messa” voglia dire “toccare il Sacerdozio”. Sacrificio della Messa e Sacerdozio cattolico sono intimamente uniti. Alla protestantizzazione della Messa corrisponde la protestantizzazione del sacerdozio: non pìù il prete cattolico che ha come scopo principale l’offrire il Santo Sacrificio della Messa, ma il pastore protestante, ministro designato per predicare e dirigere il culto.

 

La protestantizzazione invadente della Chiesa ha toccato ormai a livello popolare anche le nostre parrocchie. Provate a chiedere alla gente chi è il prete, quale è il suo compito, e dovrete constatare che si è più vicini alla nozione anglicana protestante di pastore che a quella cattolica di sacerdote. Come non pensare che l’attuale crisi di vocazioni sacerdotali – drammaticamente gli anni che verranno vedranno la scomparsa dei preti dai nostri paesi – sia dovuta a un spaventoso allontanamento dalla fede cattolica: Dio non manderà vocazioni per un culto protestante impregnato di preoccupazioni sociologiche, Dio darà vocazioni a un popolo che domanda la grazia della Messa e dei Sacramenti.
 

La negazione del carattere sacrificale della messa, che era esplicitamente formulato nell’insegnamento dei riformatori e contenuto implicitamente nel Prayer Book del 1549, ebbe per conseguenza logica come spiega il padre Messenger, “l’abolizione dell’antica nozione cattolica di sacerdozio con i suoi sette gradi e la sua sostituzione con un ministero protestante comprendente tre gradi”: vescovi, preti e diaconi (E. C. Messenger, The Reformation, The Mass, and The Priesthood, tomo I, Londra, 1936, pag. 564). (…) Secondo i protestanti, non esiste un vero stato sacerdotale al quale si accederebbe con il sacramento dell’ordine. Nei loro scritti, la fede non ci è comunicata da una società visibile che ha il compito di insegnare; la Chiesa non è governata da un’autorità istituita dal Cristo e la grazia non è trasmessa all’uomo per mezzo di segni esteriori, ma attraverso la fede fiduciale.

 

Di conseguenza, i riformatori non riconoscevano uno stato particolare istituito dal Cristo per il ministero di questa grazia. Poiché non riconoscevano il sacrificio della messa, non avevano nessun bisogno, nemmeno, di un sacerdozio legato al sacrificio. Tutti gli attacchi diretti contro il sacerdozio cattolico hanno dunque per origine il rifiuto di riconoscere nella messa un vero sacrificio, affidato dal Cristo alla sua Chiesa e, in ultima conseguenza, il rifiuto puro e semplice di una Chiesa visibile alla quale il Cristo avrebbe affidato la sua missione di Mediatore e di redentore.

 

Contro i Riformatori, il concilio di Trento insegna, nella sua XXIII sessione, che… “sacrificio e sacerdozio sono stati così legati insieme dalla disposizione di Dio che l’uno e l’altro sono esistiti sotto le due Leggi. Come, nel Nuovo Testamento, la Chiesa cattolica ha ricevuto dall’istituzione del Signore il santo sacrificio visibile dell’Eucaristia, si deve anche riconoscere che vi è in essa un sacerdozio nuovo, visibile ed esteriore, nel quale il sacerdozio antico è stato “cambiato”. (Denzinger-Schonmetzer, Enchiridion symbolorum 1764). L’anatema era pronunciato contro chiunque rigettava questa dottrina (ibidem 1771).

 

Il rifiuto della concezione cattolica del sacerdozio fu chiaramente manifesto con la sostituzione del pontificale cattolico “con un nuovo ordinale, costruito dal rito luterano in Germania e impregnato pezzo dopo pezzo dello spirito del protestantesimo” (E.C. Messenger, The Reformation, The Mass, and The Priesthood, tomo I, Londra, 1936, pp. 564-565). Martin Bucer influenzò profondamente la composizione di numerose parti di questo ordinale (The Oxford Dictionary of the Christian Church, Oxford, 1977, pag. 206).
 

All’esame delle testimonianze, nessun lettore imparziale potrebbe dubitare un istante che il nuovo ordinale non avesse certamente per intenzione l’ordinazione di preti destinati a offrire un sacrificio e investiti del potere di consacrare e di offrire il corpo e sangue di Cristo nel sacrificio della messa. Ancora oggi, la più parte dei ministri anglicani ne convengono senza esitare: non si considerano come preti ordinati per offrire un sacrificio nel senso cattolico di questo termine; essi affermano che non esiste alcun fondamento scritturistico a una tale concezione del sacerdozio. I limiti di questo studio non ci permettono di intraprendere l’esame, anche superficiale, degli errori e delle lacune dell’ordinale anglicano. Dobbiamo accontentarci di citare qualcuno dei giudizi che sono stati formulati a suo riguardo. Al lettore desideroso di intraprendere uno studio più approfondito di questa questione, suggeriamo di cominciare con la lettura della Apostolicae curae di Papa Leone XIII. Si troverà anche uno studio dettagliato di questa questione nella nostra opera The Order of Melchisedech. Ecco in che termini lo storico protestante S.T. Bindoff giudica l’ordinale di Cranmer: “Il cambiamento più marcante fu la trasformazione del prete, investito dalla grazia divina del potere di offrire il sacrificio, in un ministro designato per predicare, insegnare e dirigere il culto.

 

Ben inteso, fu la conseguenza della trasformazione della messa in un servizio di comunione, o santa cena” (S.T. Bindoff, Tudor England, Londra, 1952, pag. 162).

 

Ecco a questo proposito ciò che dichiarano i vescovi cattolici nella loro apologia della Apostolicae Curae: “Poiché gli autori di questo ordinale non hanno mai menzionato chiaramente il sacerdozio, ma al contrario si sono premurati grandemente di far scomparire delle preghiere che avevano ripreso dall’antico rito ogni riferimento concernente; poiché, inoltre, sappiamo dai loro scritti, e da quelli di una serie ininterrotta dei vostri principali teologi (anglicani), fino alla seconda parte di questo secolo, che queste soppressioni e queste omissioni furono effettuate secondo un disegno, in ragione dell’odio caratterizzato da queste dottrine che è stata la caratteristica costante della vostra Chiesa, cosa possiamo rimproverare alla conclusione di Leone XIII , secondo la quale il vostro ordinale non può essere considerato come un rito che implica nettamente la trasmissione del sacerdozio ordinato al sacrificio e che non si possa dunque trattare di un rito istituito per attendere validamente a questo scopo?” (Il Cardinal arcivescovo e i Vescovi della Provincia di Westminster, A Vindication of the Bull Apostolicae Curae, Londra, 1898, pag. 78).
 

Un gesuita, il padre Francis Woodlock, porta sul nuovo ordinale e il servizio di comunione del 1552 un giudizio che riassume eccellentemente ciò che fu il fine ultimo del processo rivoluzionario di cui abbiamo schizzato le grandi linee nel corso dei capitoli precedenti: “Comparate la messa e l’ordinale cattolico con il servizio di comunione e l’ordinale anglicano e voi vi troverete quaranta passaggi comportanti una soppressione; queste soppressioni concernenti sempre la presenza reale o il sacrificio della messa. Prendeteli tutti e due e comparateli voi stessi: non potrete non vedere ciò che è accaduto. La dottrina cattolica della presenza reale e del sacrificio è stata eliminata con un’attenzione grande come quella con cui nel corso di una operazione chirurgica il chirurgo estirpa un tessuto canceroso. Cranmer compie cosi’ bene il suo dovere che il suo ordinale si presenta, nel suo contesto storico, come un ordinale mutilato con uno scopo preciso: eliminare dalla Chiesa riformata d’Inghilterra il sacerdozio istituito per il sacrificio. Eliminandolo, era la funzione prima del sacerdozio che sopprimeva in questa Chiesa; di conseguenza, a giudizio della Chiesa cattolica, i ministri anglicani di oggi non sono dei veri preti.

 

“Il vescovo Ryle, vescovo (anglicano) di Liverpool, esprimeva l’esatta verità quando dichiarava: “Nella nostra Chiesa, i riformatori trovarono il sacrificio della messa. Lo rigettarono come favola blasfema e pericolosa superstizione, e diedero alla cena del Signore il nome di servizio di comunione. Nella nostra Chiesa i riformatori trovarono gli altari; ne ordinarono la distruzione, fecero scomparire completamente la parola altare dal nostro Prayer Book e non parlarono più che della tavola del Signore e della cena del Signore.

 

“Nel nostro clero, i riformatori trovarono dei preti che offrivano il sacrificio; ne fecero dei ministri incaricati della preghiera e della predicazione, dei ministri della parola di Dio e dei sacramenti.
Nella nostra Chiesa, i riformatori trovarono la dottrina di una presenza reale e corporale di Cristo nella cena del Signore sotto le apparenze del pane e del vino; diedero la loro vita per opporvisi. Non lasciarono nemmeno sussistere nel nostro Prayer Book l’espressione di presenza reale” (F. Woodlock, The Reformation and the Eucharist, Londra, 1927, pp. 50-51).
 
Ecco ciò che scriveva il vescovo anglicano Knox: “Alla lettura dell’ordinale romano, nessuno può dubitare che sia impregnato dell’intenzione di ordinare dei preti destinati ad offrire un sacrificio.
Nessuno, alla lettura dell’ordinale anglicano, può immaginare di avere un simile obiettivo.

Dalla prima all’ultima riga, non contiene una sola parola che evochi il sacrificio. Allo stesso modo, nel rito della consacrazione di un vescovo, non si trova una sola parola che lasci intendere che i vescovi debbano ordinare dei preti incaricati di offrire un sacrificio” (ibid., pag. 51).

 

Quando l’Inghilterra si trovò di nuovo unita alla Santa Sede sotto il regno di Maria Tudor e che il cardinal Pole venne in questo paese in qualità di legato del papa, dovette occuparsi del problema pastorale urgente che ponevano i vescovi e i preti ordinati nello scisma e che desideravano esserne assolti ed esercitare il loro ministero in qualità di vescovi o preti cattolici. Il problema cruciale era sapere se gli ordini che avevano ricevuto fossero o no validi. Il papa Paolo IV regolò la questione nella sua bolla Preclara carissimi (1555) e in un breve pubblicato nello stesso anno. Il papa decise che coloro che erano stati ordinati preti o vescovi con il pontificale di Sarum, fosse ciò da vescovi scismatici, lo erano stati validamente e che bastava assolverli dallo scisma. Coloro che erano stati ordinati con l’ordinale di Cranmer erano sempre dei laici e se, dopo averi assolti dallo scisma, si doveva permettere loro di esercitare un ministero sacerdotale o episcopale bisognava conferire loro l’ordinazione. Il giudizio del papa Paolo IV fu confermato dal papa Leone XIII nel 1896, dopo un’indagine prolungata e imparziale nel corso della quale gli anglicani che credevano alla validità dei loro ordini intesi nel senso cattolico del termine ebbero tutta la possibilità di esporre il loro punto di vista presso la commissione pontificia.

 

Il giudizio del papa secondo cui “le ordinazioni conferite secondo il rito anglicano sono state e sono assolutamente vane e veramente nulle”, è irrevocabile, così come il papa fece sapere in una lettera indirizzata al cardinal Richard, arcivescovo di Parigi, lettera nella quale diceva che la questione era stata “definitivamente regolata e che la conclusione era senza appello”. Questo giudizio possiede la qualità di fatto dogmatico, ed è dunque infallibile.

continua…………


 

È sbagliato inginocchiarsi nel momento in cui si prende la comunione?

Buonasera padre.
Mi chiamo Michele.
È sbagliato inginocchiarsi nel momento in cui si prende la comunione?
Perché io lo faccio da qualche anno, non certo per esibirmi ma perché sento di farlo davanti al Signore. In segno anche di rispetto per cosa si sta ricevendo in quel momento.
Ma qualche sera fa, un sacerdote mi ha detto di alzarmi obbligandomi a prenderla in piedi.
L’ho fatto perché non era il caso di mettersi a discutere ma finita la messa sono andato a chiedere spiegazioni da lui.
Mi ha detto e fatto leggere che la comunione si prende tutti stando in piedi, che ci sono norme e regole da rispettare e che se altri sacerdoti non me l’hanno mai fatto notare è perché non rispettano queste cose.
Io sono rimasto sulla mia posizione.
Anche se fosse scritto nero su bianco credo che Dio si meriti una devozione e un rispetto maggiore da parte di tutti noi laici e non. Come è stato per secoli.
Oggi a parere mio non c’è più il senso della fede e del sacro all’interno della stessa chiesa in cui credo ma che in certe situazioni non difendo. E dico questo basandomi sulle parole di San Pietro: bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Come a dire anche un papa può andare contro Dio e se così fosse sarebbe sbagliato seguirne i comandi.
Grazie a Dio ci sono ancora bravi sacerdoti e laici. Non dubito di questo.
Vorrei sapere cosa ne pensa.
Grazie per la pazienza.


Caro Michele,
1. mi dispiace per l’incidente che ti è accaduto proprio nel momento più sacro, quello della Santa Comunione.
Il minimo che si possa dire è che non te l’ha fatta vivere bene.

2. Al termine della Messa sei andato in sacrestia e il sacerdote che aveva celebrato ti ha fatto leggere quello che ha voluto.
Infatti sebbene la Conferenza episcopale italiana dica che “particolarmente appropriato appare oggi l’uso di accedere processionalmente all’altare ricevendo in piedi, con un gesto di riverenza, le specie eucaristiche, professando con l’Amen la fede nella presenza sacramentale di Cristo” (Enchiridion CEI 4/1859), tuttavia non ne fa obbligo.
Il linguaggio è chiaro: “Particolarmente appropriato appare oggi l’uso di accedere processionalmente all’altare ricevendo in piedi”.
Questo rito viene caldeggiato, ma non imposto.

3. Il n. 160 dell’Ordinamento Generale del Messale Romano stabilisce che “i fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza Episcopale”.

4. Come si è visto, la Conferenza episcopale italiana caldeggia la Santa Comunione in  piedi, ma non la impone.

5. Il ventunesimo volume dell’Enchiridion Vaticano ha pubblicato una lettera (“This Congregation”) della Congregazione per il Culto divino ad un vescovo e ad un fedele circa la postura per ricevere la comunione eucaristica. La data è del 1 luglio 2002 .
In essa si legge: “Pur avendo la Congregazione approvato la legislazione che stabilisce per la santa comunione la postura eretta, in accordo con gli adattamenti permessi dalle Conferenze dei vescovi per mezzo della Istitutio generalis Missalis Romani, n. 160, par. 2, lo ha fatto chiarendo che i comunicandi che scelgono di inginocchiarsi non devono per questo motivo subire un rifiuto” (EV 21/665).

6. Pertanto ricevere la Santa Comunione in ginocchio o in piedi non è a discrezione del sacerdotema dei fedeli.

7. Successivamente l’Istruzione della Congregazione per il culto divino Redemptionis sacramentum del 25.3.2004 ha dichiarato: “Non è lecito negare a un fedele la santa comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi” (RS, 91).

8. Si sa che Benedetto XVI favoriva la recezione della Santa Comunione in ginocchio.
Nelle Messe da lui celebrate venivano preparati due inginocchiatoi. I fedeli che ricevano la Santa Comunione da Lui la ricevevano in ginocchio.

9. È chiaro che quando tutti ricevono la Santa Comunione in piedi e processionalmente è necessario non causare confusione o particolari ritardi.
È il buon senso che lo suggerisce.
Ma se una persona vuol fare la Santa Comunione in ginocchio e non causa alcun ritardo ha pieno diritto di farla così e il sacerdote non può rimproverarlo.

10. Nella nostra chiesa vi sono diversi giovani che senza che io gliel’abbia suggerito fanno la Santa Comunione in ginocchio nell’edificazione generale dei fedeli.
Prima di iniziare sono venuti a chiedermi se era lecito. Ho detto di sì.
Ho detto anche che la Chiesa lascia a loro, e non al sacerdote, la possibilità di scegliere, come del resto lascia ai fedeli il diritto di riceverla in bocca o sulla mano.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

 


I documenti parlano chiaro: la Comunione si è sempre presa direttamente in bocca e non in mano

Ormai è frequentissimo vedere fedeli che vanno a comunicarsi prendendo l’Eucaristia in mano. Chi è favorevole, dice che Gesù nel Cenacolo diede la prima Eucaristia nelle mani degli Apostoli. E inoltre che nei primi tempi della Chiesa non vi sarebbe stata l’usanza di ricevere l’Eucaristia direttamente in bocca. Ma è proprio così?

Prima di tutto facciamo parlare papa Giovanni Paolo II che nell’Ecclesia de Eucharistia scrive al n.61:“Dobbiamo badare con ogni premura a non attenuare alcuna dimensione o esigenza dell’Eucaristia. Così ci dimostriamo veramente consapevoli della grandezza di questo dono. (…) Non c’è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero!”

Fatta questa autorevole premessa, veniamo al dunque.

A proposito del fatto che Gesù nell’Ultima Cena non diede agli Apostoli l’Eucaristia direttamente in bocca ma in mano, va detto che ciò non è affatto scontato. Anzi, è possibile supporre che Gesù abbia dato il pane direttamente in bocca a ciascun apostolo. In Medio Oriente, al tempo di Gesù vi era un’usanza che perdura tuttora: il capofamiglia nutre i suoi ospiti con la propria mano, mettendo un pezzo simbolico di cibo nella bocca degli ospiti. Ma, ammesso e non concesso che sia andata davvero così, cioè che Gesù abbia dato l’Eucaristia nelle mani degli apostoli, va fatta una precisazione importante: in quel momento gli Apostoli già erano stati ordinati sacerdoti, addirittura sacerdoti in pienezza, quindi vescovi.

Per quanto invece riguarda il secondo argomento e cioè che i primi cristiani ricevessero la Comunione in mano vanno fatte due premesse.

Prima premessa

Non è detto che ciò che vi era nell’antichità è sempre migliore di ciò che si è approfondito e si è istituzionalizzato in seguito. Liturgicamente, come è sbagliato il progressismo, per cui ciò che viene dopo sarebbe sempre migliore di ciò che è venuto prima, è altrettanto sbagliato l’archeologismo, ovvero ciò che è venuto prima sarebbe sempre migliore di ciò che viene dopo.

Seconda premessa

Nei primi secoli del Cristianesimo si facevano forti penitenze per l’Eucaristia, per esempio ci si asteneva da qualsiasi cibo e bevanda dalla vigilia fino al momento della Comunione. Ora, se valesse il principio archeologista, bisognerebbe chiedere a tanti sostenitori della Comunione nella mano: perché non recuperate anche le rigide penitenze dei primi secoli? Se è giusto riprendere ciò che vi era all’inizio, allora si riprendano anche le dure penitenze dell’inizio. E’ da prevedere che molti si tirerebbero indietro.

Veniamo ai fatti

Davvero nei primi tempi della Chiesa l’Eucaristia si riceveva nella mano? No, si tratta di un falso.

Ci sono testimonianze certe che attestano come sin dall’inizio era diffusa la consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra dei comunicandi e anche della proibizione ai laici di toccare l’Eucaristia con le mani. Solo in caso di necessità e in tempo di persecuzione, assicura per esempio san Basilio, si poteva derogare da questa norma e quindi era concesso anche ai laici di comunicarsi con le proprie mani.

Papa Sisto I fu papa dal 115 al 125. Questi proibì ai laici di toccare i vasi sacri, per cui è ampiamente fondato supporre che vietasse agli stessi di toccare le Sacre Specie eucaristiche.

Sant’Eutichiano, papa dal 275 al 283, affinché non toccassero l’Eucaristia con le mani, proibì ai laici di portare le sacre Specie agli ammalati.

Il Concilio di Saragozza, nel 380, emanò la scomunica contro coloro che si fossero permessi di trattare la santissima Eucaristia come in tempo di persecuzione, tempo nel quale –come abbiamo già detto- anche i laici potevano trovarsi nella necessità di toccarla con le proprie mani.

Sant’Innocenzo I, dal 404, impose il rito della Comunione solo sulla lingua.

Papa Sant’Innocenzo I (401-417), nel 416, nella Lettera a Decenzio, Vescovo di Gubbio, che gli chiedeva direttive riguardo alla liturgia romana che intendeva adottare, rispose affermando per tutti l’obbligo di rispettare al riguardo la Tradizione della Chiesa di Roma, perché essa discende dallo stesso Pietro, primo Papa. Ebbene, lo stesso Sant’Innocenzo –come abbiamo detto prima- dal 404 aveva imposto il rito della Comunione solo sulla lingua.

San Gregorio Magno narra che sant’Agapito, papa dal 535 al 536, durante i pochi mesi del suo pontificato, recatosi a Costantinopoli, guarì un sordomuto all’atto in cui “gli metteva in bocca il Corpo del Signore”, dunque l’Eucaristia si dava direttamente in bocca.

Il Concilio di Rouen, verso il 650, proibì al ministro dell’Eucaristia di deporre le sacre Specie sulla mano del comunicando laico: “(Il sacerdote) badi a comunicarli (i fedeli) di propria mano, non ponga l’Eucaristia in mano a nessun laico o donna, ma la deponga solo sulle labbra con queste parole…” ‘.

Sulla medesima linea il Concilio Costantinopolitano III (680-681), sotto i pontefici Agatone e Leone II, vietò ai fedeli di comunicarsi con le proprie mani e minacciò la scomunica a chi avesse avuto la temerarietà di farlo.

Il Sinodo di Cordoba dell’anno 839 condannò la setta dei “casiani” a causa del loro rifiuto di ricevere la sacra Comunione direttamente in bocca.

In Occidente, il gesto di prostrarsi e inginocchiarsi prima di ricevere il Corpo del Signore si osservava negli ambienti monastici già a partire dal VI secolo (per esempio nei monasteri di san Colombano) Più tardi nei secoli X e XI questo gesto si diffuse ancora di più.

Quando san Tommaso d’Aquino espose nella Summa (III, 9, 82) i motivi che vietavano ai laici di toccare le sacre Specie, non parlò di un rito di recente invenzione, bensì di consuetudine liturgica antica come la Chiesa.

Ecco perché il Concilio di Trento (Decreto sull’Eucaristia, Sessione III) poté affermare che non solo nella Chiesa di Dio fu una consuetudine costante che i laici ricevessero la Comunione dai sacerdoti, mentre i sacerdoti si comunicassero da sé, ma anche che tale consuetudine è di origine apostolica: “Nell’assunzione di questo Sacramento (l’Eucaristia) fu sempre costume nella Chiesa di Dio che i laici ricevessero la comunione dai Sacerdoti e i Sacerdoti celebranti invece comunicassero se stessi, costume che con ogni ragione deve ritenersi come proveniente dalla Tradizione apostolica.”

Abbiamo iniziato con papa Giovanni Paolo II, concludiamo con lui. Sempre nella Ecclesia de Eucharistia, al n.49, scrive: “Sull’onda dell’elevato senso del mistero si comprende come la fede della Chiesa nel mistero eucaristico si sia espressa nella storia non solo attraverso l’istanza di un interiore atteggiamento di devozione, ma anche attraverso una serie di espressioni esterne.”

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri


ED INFINE:

Il grande inganno circa la S. Comunione in mano
S. Cirillo di Gerusalemme e la Comunione sulla mano

Archeologite Liturgica – In UnaVox http://www.unavox.it/032b.htm

[A proposito della questione relativa alla cosiddetta “Comunione sulla mano”, riproduciamo un articolo del R. P. Giuseppe Pace, S. B. D., pubblicato nel n° di gennaio 1990 del periodico Chiesa Viva (Editrice Civiltà, via Galileo Galilei, 121, 25123 Brescia).]
La ghianda è una quercia in potenza; la quercia è una ghianda divenuta perfetta. Il ritornare ghianda per una quercia, posto che lo potesse senza morire, sarebbe un regredire. Per questo nella Mediator Dei (n. 51) Pio XII condannava l’archeologismo liturgico come antiliturgico con queste parole: «… non sarebbe animato da zelo retto e intelligente colui il quale volesse tornare agli antichi riti ed usi, ripudiando le nuove norme introdotte per disposizione della Divina Provvidenza e per mutate circostanze. Questo modo di pensare e di agire, difatti, fa rivivere l’eccessivo ed insano archeologismo suscitato dall’illegittimo concilio di Pistoia, e si sforza di ripristinare i molteplici errori che furono le premesse di quel conciliabolo e ne seguirono, con grande danno delle anime, e che la Chiesa, vigilante custode del Depositum Fidei affidatole dal suo divin Fondatore, a buon diritto condannò».

Di una tale ossessione morbosa – di archeologite – sono preda quei pseudoliturgisti che stanno desolando la Chiesa in nome del Concilio Vaticano II; pseudoliturgisti che talora giungono al punto di spingere con l’esortazione e con l’esempio i loro sudditi a violare quelle poche leggi sane che ancora sopravvivono, e da loro stessi formalmente promulgate o confermate.
Sintomatico a questo riguardo è il caso del rito della Santa Comunione. Qualche vescovo infatti, dopo aver proclamato che il rito tradizionale, di collocare le sacre Specie sulle labbra del comunicando, è tuttora in vigore, permette tuttavia che si distribuisca la santa Comunione in cestelli che si passano i fedeli dalla mano dell’uno a quella dell’altro; o lui stesso depone le sacre Specie nelle mani nude – e sempre pulite? – del comunicando. Se si vuole convincere i fedeli che la santissima Eucarestia non è che del pane comune, magari anche benedetto, per una refezioncella simbolica, certo si è imbroccata la via piú diretta: quella del sacrilegio.
I fautori della Comunione in mano fanno appello a quell’archeologismo pseduoliturgico condannato apertis verbis da Pio XII. Dicono infatti e ripetono che in tal modo la si deve ricevere, perché in tal modo si è fatto in tutta la Chiesa, sia in Oriente che in Occidente dalle origini in poi per mille anni.

È vero e certo che dalle origini in poi per quasi duemila anni i comunicandi dovevano astenersi da qualsiasi cibo e bevanda, dalla vigilia fino al momento della santa Comunione, in preparazione alla medesima. Perché quelli dell’archeologite non restaurano un tale digiuno eucaristico? che certamente contribuirebbe non poco a mantenere vivo nella mente dei comunicandi il pensiero della santa Comunione imminente, e a disporveli meglio.
È invece certamente falso che dalle origini in poi per mille anni ci sia stata in tutta la Chiesa, in Oriente e in Occidente, la consuetudine di deporre le sacre Specie nelle mani del fedele.

Il cavallo di battaglia di quei pesudoliturgisti è il seguente brano delle Catechesi mistagogiche attribuite a san Cirillo di Gerusalemme: «Adiens igitur, ne expansis manuum volis, neque disiunctis digitis accede; sed sinistram velut thronum subiiciens, utpote Regem suscepturæ: et concava manu suscipe corpus Christi, respondens Amen». (Andando quindi [alla Comunione] accostati non con le palme delle mani aperte, né con le dita disgiunte; ma tenendo la sinistra a guisa di trono sotto a quella che sta per accogliere il Re; e con la destra concava ricevi il corpo del Cristo, rispondendo Amen).
Giunti a questo Amen, si fermano; ma le Catechesi mistagogiche non si fermano lí, ed aggiungono:
«Postquam autem caute oculos tuos sancti corporis contactu santificaveris, illud percipe… Tum vero post communionem corporis Christi, accede et ad sanguinis poculum: non extendens manus; sed pronus [in greco: ‘allà kùpton, che il Bellarmino traduce genu flexo], et adorationis ac venerationis in modum, dicens Amen, sancticeris, ex sanguine Christi quoque sumens. Et cum adhuc labiis tuis adbaeret ex eo mador, manibus attingens, et oculos et frontem et reliquos sensus sanctifica… A communione ne vos abscindite; neque propter peccatorum inquinamentum sacris istis et spiritualibus defraudate mysteriis». (Dopo che tu con cautela abbia santificato i tuoi occhi mettendoli a contatto con il corpo del Cristo, accostati anche al calice del sangue: non tenendo le mani distese; ma prono e in modo da esprimere sensi di adorazione e venerazione, dicendo Amen, ti santificherai, prendendo anche del sangue del Cristo. E mentre hai ancora le labbra inumidite da quello, toccati le mani, e poi con esse santifica i tuoi occhi, la fronte e tutti gli altri sensi… Dalla comunione non staccatevi; né privatevi di questi sacri e spirituali misteri neppure se inquinati dai peccati). (P. G. XXXIII, coll. 1123-1126).

Chi potrà sostenere che un tale rito fosse sia pure un po’ meno che per mille anni consueto nella Chiesa universale? E come conciliare un tale rito, secondo il quale è ammesso alla santa Comunione anche chi è inquinato di peccati, con la consuetudine certamente universale sin dalle origini che proibiva la santa Comunione a chi non era santo?: «Itaque quicumque manducaverit panem hunc, vel biberit calicem Domini indigne, reus erit corporis et sanguinis Domini. Probet autem seipsum homo: et sic de pane illo edat, et de calice bibat. Qui enim manducat et bibit indigne, indicum, sibi manducat et bibit non diiudicans corpus Domini». (Perciò chiunque abbia mangiato di questo pane e bevuto del calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Si esamini dunque ognuno: e cosí [trovatosi senza peccati gravi] di quel pane si cibi e di quel calice beva. Colui infatti che ne mangia e ne beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non discernendo il corpo del Signore ). (I Corinti, 11, 27-29).

Un tal stravangante rito della Santa Comunione, la cui descrizione si conchiude con l’esortazione di fare la santa Comunione anche se inquinati di peccati, non fu certo predicato da San Cirillo nella Chiesa di Gerusalemme, né poté essere lecito in qualsivoglia altra Chiesa. Si tratta infatti di un rito dovuto alla fantasia, oscillante tra il fanatismo e il sacrilego, dell’autore delle Costituzioni Apostoliche: un anonimo Siriano, divoratore di libri, scrittore instancabile, che riversa nei suoi scritti, indigerite e contaminate dai parti della sua fantasia, gran parte di quelle sue stesse letture; che al libro VIII di dette Costituzioni apostoliche, aggiunge, attribuendo a san Clemente Papa, 85 Canoni degli Apostoli; canoni che Papa Gelasio I, nel Concilio di Roma del 494, dichiarò apocrifi: «Liber qui appellatur Canones Apostolorum, apocryfus (P. L., LIX, col. 163).
La descrizione di quel rito stravagante, se non necessariamente sempre sacrilego, entrò nelle Catechesi mistagogiche per opera di un successore di san Cirillo, che i piú ritengono sia il vescovo Giovanni, cripto-ariano, origeniano e pelagiano; e perciò contestato da sant’Epifanio, da san Gerolamo e sant’Agostino.

Come può il Leclercq affermare che: «… nous devons y voir [in detto rito stravagante] une exacte représentation de l’usage des grandes Eglises de Syrie»? Non lo può affermare che contraddicendosi, dato che poco prima afferma trattarsi di: «… une liturgie de fantasie. Elle ne procède et elle n’est destinée qu’à distraire son auteur; ce n’est pas une liturgie normale, officielle, appartenant à une Eglise déterminée» (Dictionaire de Archeologie chretienne et de Liturgie, vol. III, parte II, col. 2749-2750).

Abbiamo invece delle testimonianze certe della consuetudine contraria, e cioè della consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra del comunicando, e della proibizione ai laici di toccare dette sacre Specie con le proprie mani. Solo in caso di necessità e in tempo di persecuzione, ci assicura san Basilio, si poteva derogare da detta norma, ed era concesso ai laici di comunicarsi con le proprie mani (P. G., XXXII, coll. 483-486).
Non intendiamo, è chiaro, passare in rassegna tutte le testimonianze invocate a dimostrare che nell’antichità vigeva la consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra del comunicando laico; ne indichiamo solo alcune sintomatiche, e peraltro sufficienti a smentire quanti affermano che per mille anni nella Chiesa universale, sia d’Oriente che d’Occidente, fu consuetudine deporre le sacre Specie nelle mani dei laici.

Sant’Eutichiano, Papa dal 275 al 283, a che non abbiano a toccarle con le mani, proibisce ai laici di portare le sacre Specie agli ammalati: «Nullus præsumat tradere communionem laico vel femminæ ad deferendum infirmo» (Nessuno osi consegnare la comunione ad un laico o ad una donna per portarla ad un infermo) (P. L., V, coll. 163-168).
San Gregorio Magno narra che sant’Agapito, Papa dal 535 al 536, durante i pochi mesi del suo pontificato, recatosi a Costantinopoli, guarí un sordomuto all’atto in cui «ei dominicum Corpus in os mitteret» (gli metteva in bocca il Corpo del Signore) (Dialoghi, III, 3).

Questo per l’Oriente; e per l’Occidente, si sa ed è indubitabile che lo stesso san Gregorio Magno amministrava in tal modo la santa Comunione ai laici.
Già prima il Concilio di Saragozza, nel 380, aveva lanciato la scomunica contro coloro che si fossero permessi di trattare la santissima Eucarestia come se si fosse in tempo di persecuzione, tempo nel quale anche i laici potevano trovarsi nella necessità di toccarla con le proprie mani (SAENZ DE AGUIRRE, Notitia Conciliorum Hispaniæ, Salamanca, 1686, pag. 495).
Innovatori indisciplinati non mancavano certo neppure anticamente. Il che indusse l’autorità ecclesiastica a richiamarli all’ordine. Cosí fece il Concilio di Rouen, verso il 650, proibendo al ministro dell’Eucarestia di deporre le sacre Specie sulla mano del comunicando laico: «[Presbyter] illud etiam attendat ut eos [fideles] propria manu communicet, nulli autem laico aut fœminæ Eucharistiam in manibus ponat, sed tantum in os eius cum his verbis ponat: “Corpus Domini et sanguis prosit tibi in remissionem peccatorum et ad vitam æternam”. Si quis hæc transgressus fuerit, quia Deum omnipotentem comtemnit, et quantum in ipso est inhonorat, ab altari removeatur» ([Il presbitero] baderà anche a questo: a comunicare [i fedeli] di propria mano; a nessun laico o donna deponga l’Eucarestia nelle mani, ma solo sulle labbra, con queste parole: “Il corpo e il sangue del Signore ti giovino per la remissione dei peccati e per la vita eterna”. Chiunque avrà trasgredito tali norme, disprezzato quindi Iddio onnipotente e per quanto sta in lui lo avrà disonorato, venga rimosso dall’altare). (Mansi, vol. X, coll. 1099-1100).
Per contro gli Ariani, per dimostrare che non credevano nella divinità di Gesú, e che ritenevano l’Eucarestia come pane puramente simbolico, si comunicavano stando in piedi e toccando con le proprie mani le sacre Specie. Non per nulla sant’Atanasio poté parlare dell’apostasia ariana (P. G., vol. XXIV, col. 9 ss.).

Non si nega che sia stato permesso ai laici di toccare talora le sacre Specie, in certi casi particolari, o anche in alcune Chiese particolari, per qualche tempo. Ma si nega che tale sia stata la consuetudine della Chiesa sia in Oriente che in Occidente per mille anni; e piú falso ancor affermare che si dovrebbe fare cosí tuttora. Anche nel culto dovuto alla santissima Eucarestia è avvenuto un sapiente progresso, analogo a quello avvenuto nel campo dogmatico (con il quale non ha nulla a che fare la teologia modernista della morte di Dio).
Detto progresso liturgico rese universale l’uso di inginocchiarsi in atto di adorazione, e quindi l’uso dell’inginocchiatoio; l’uso di coprire la balaustra di candida tovaglia, l’uso della patena, talora anche di una torcia accesa; e poi la pratica di fare almeno un quarto d’ora di ringraziamento personale. Abolire tutto ciò non è incrementare il culto dovuto a Dio nella santissima Eucarestia, e la fede e la santificazione dei fedeli, ma è servire il demonio.

Quando san Tommaso (Summa Theologica, III, q. 82, a 3) espone i motivi che vietano ai laici di toccare le sacre Specie, non parla di un rito di recente invenzione, ma di una consuetudine liturgica antica come la Chiesa. Ben a ragione il Concilio di Trento non solo poté affermare che nella Chiesa di Dio fu consuetudine costante che i laici ricevevano la Comunione dai sacerdoti, mentre i sacerdoti si comunicavano da sé; ma addirittura che tale consuetudine è di origine apostolica (Denzinger, 881). Ecco perché la troviamo prescritta nel Catechismo di san Pio X (Questioni 642-645). Ora tale norma non è stata abrogata: nel Nuovo Messale Romano, all’articolo 117, si legge che il comunicando tenens patenam sub ore, sacramentum accipit (tenendo la patena sotto la bocca, prenda il sacramento).
Dopo di che non si riesce a capire come mai gli stessi promulgatori di tanto sapiente norma, ne vadano dispensando le diocesi una dopo l’altra. Il semplice fedele di fronte a tanta incoerenza, non può che concepire una grande indifferenza nei riguardi delle leggi ecclesiastiche liturgiche e non liturgiche.

tratto da: http://muniatintrantes.blogspot.com/2011/10/s.html
Pubblicato da unafides


ATTUALMENTE FA FEDE QUESTO DOCUMENTO 1969

Correva l’anno 1969. Il cardinale svizzero Benno Gut, prefetto della Congregazione dei riti, emanò un’istruzione, intitolata Memoriale Domini, con la quale, su mandato del papa Paolo VI, la Sede apostolica raccomandava vivamente la ricezione della Comunione sulla lingua e scoraggiava l’uso di riceverla sulla mano. Scriveva infatti: “Un cambiamento in cosa di tanta importanza, basata su una tradizione antichissima e veneranda, non tocca solo la disciplina; potrebbe dimostrarsi fondato il timore di eventuali pericoli derivanti da questo nuovo modo di distribuire la Comunione; il pericolo per esempio di un diminuito rispetto verso il Santissimo Sacramento dell’altare, o quello di una sua profanazione, o anche di un’alterazione della dottrina eucaristica”.

Il documento riportava anche i risultati di una consultazione tra i vescovi, che dimostrava come un’ampia maggioranza dei presuli fosse contro il cambiamento. Siccome però in alcune aree, specie nel Nord Europa, la Comunione sulla mano si stava diffondendo, il documento spiegava: “Se poi in qualche luogo fosse stato già introdotto l’uso contrario, quello cioè di porre la santa Comunione nelle mani dei fedeli, la Sede apostolica, nell’intento di aiutare le Conferenze episcopali a compiere il loro ufficio pastorale, reso non di rado ancor più difficoltoso dall’attuale situazione, affida alle medesime conferenze il compito di vagliare attentamente le eventuali circostanze particolari, purché sia scongiurato ogni pericolo di mancanza di rispetto all’eucaristia o di deviazioni dottrinali su questo Santissimo Sacramento, e sia eliminato con cura ogni altro inconveniente”.

Fu dunque aperto un pertugio che, in Italia, su pressione della CEI a Giovanni Paolo II, fu dato l’indulto per la comunione alla mano. E attraverso quel pertugio la Comunione sulla mano dilagò, fino alla situazione attuale, segnata dal totale ribaltamento di quanto prescriveva la Santa Sede.

Istruzione Memoriale Domini [1]

Celebrando il memoriale del Signore, la Chiesa attesta con il rito stesso la sua fede in Cristo e lo adora: egli infatti è presente nel sacrificio e vien dato in cibo a coloro che partecipano alla mensa eucaristica.

Sta quindi molto a cuore alla Chiesa che l’Eucaristia si celebri e che ad essa si partecipi nel modo più degno e più fruttuoso, in assoluta fedeltà alla tradizione, quale si è affermata, con la ricca varietà della sua espressione, nella pratica vissuta della Chiesa, ed è giunta nel suo progressivo sviluppo fino a noi.

Che ci sia stata in passato varietà nel modo di celebrare e di ricevere l’Eucaristia è un fatto storicamente documentato; ma anche attualmente, per un beninteso adattamento del rito alle esigenze spirituali e psicologiche degli uomini del nostro tempo, sono stati introdotti, nella celebrazione dell’unica e medesima Eucaristia, non pochi ritocchi rituali, anche di un certo rilievo; e ritoccata è stata pure la disciplina che regola le modalità della Comunione dei fedeli, con la reintroduzione, in determinate circostanze, della Comunione sotto le due specie; era questo in passato il modo comune di far la Comunione, anche nel rito latino, ma era andato a poco a poco in disuso, tanto che il Concilio di Trento, resosi conto del nuovo orientamento pratico ormai generalizzato, lo sanzionò, sostenendolo con ragioni teologiche e dimostrandone l’opportunità in quella particolare contingenza storica [2].

L’antica disciplina ora ripresa è servita senza dubbio a porre in maggior risalto il segno del convito eucaristico e la dimensione piena del mandato di Cristo; ma questa stessa più completa partecipazione alla celebrazione eucaristica, attuata nel segno della Comunione sacramentale, ha fatto nascere qua e là, in questi ultimi anni, un altro desiderio: quello di ritornare all’uso primitivo di deporre il pane eucaristico nella mano del fedele, perché se lo porti lui stesso alla bocca, e si comunichi così direttamente. Anzi, in alcuni luoghi e in certe comunità, questo rito è stato già introdotto senza la previa approvazione della Sede apostolica, e talvolta senza che i fedeli vi fossero stati opportunamente preparati. È vero che in antico era abitualmente consentito ai fedeli di ricevere in mano il cibo eucaristico e di portarselo direttamente alla bocca; ed è vero che nei primi tempi i fedeli potevano anche prelevare il Santissimo dal luogo della celebrazione, soprattutto per servirsene come viatico, qualora avessero dovuto correre dei rischi per l’aperta professione della loro fede. Però le prescrizioni della Chiesa e gli scritti dei padri documentano con ricchezza grande di testi quale venerazione e quale attento rispetto si avesse per la Santa Eucaristia. «Nessuno si ciba di quella carne, senza aver fatto prima un atto di adorazione», dice Agostino [3]; e per il momento della Comunione, si fa a ogni fedele questa raccomandazione: «… prendi quel cibo, e bada che nulla ne vada perduto» [4]. «È il corpo di Cristo» [5].

Inoltre la cura e il ministero del Corpo e del Sangue di Cristo venivano affidati in modo tutto particolare ai sacri ministri o a persone appositamente scelte e designate: «Quando colui che presiede ha terminato le preghiere, e il popolo ha fatto la sua acclamazione, coloro che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ognuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua su cui è stata pronunciata la preghiera di azione di grazie, e ne recano agli assenti» [6]. Fu così che il compito di recare la Santa Eucaristia agli assenti venne ben presto affidato ai Sacri Ministri soltanto, allo scopo di meglio assicurare da una parte la debita riverenza verso il corpo di Cristo, e di provvedere dall’altra più responsabilmente alla necessità dei fedeli.

Con l’andare del tempo, e con il progressivo approfondimento della verità del mistero eucaristico, della sua efficacia e della presenza in esso del Cristo, unitamente al senso accentuato di riverenza verso questo Santissimo Sacramento e ai sentimenti di umiltà con cui ci si deve accostare a riceverlo, si venne introducendo la consuetudine che fosse il ministro stesso a deporre la particola del pane consacrato sulla lingua dei comunicandi.

Questo modo di distribuire al Comunione, tenuta presente nel suo complesso la situazione attuale della Chiesa, si deve senz’altro conservare, non solo perché poggia su di una tradizione plurisecolare, ma specialmente perché esprime e significa il riverente rispetto dei fedeli verso la Santa Eucaristia. Non ne è per nulla sminuita la dignità della persona dei comunicandi; tutto anzi rientra in quel doveroso clima di preparazione, necessario perché sia più fruttuosa la Comunione al Corpo del Signore [7].

Questo rispetto significa che non si tratta di «un cibo e di una bevanda comune» [8], ma della Comunione al Corpo e al Sangue del Signore; in forza di essa «il popolo di Dio partecipa ai beni del Sacrificio pasquale, riconferma il nuovo patto sancito una volta per sempre da Dio con gli uomini nel Sangue di Cristo, e nella fede e nella speranza prefigura e anticipa il convito escatologico nel regno del Padre» [9].

Inoltre con questa forma ormai tradizionale è meglio assicurata una distribuzione rispettosa, conveniente e dignitosa insieme della Comunione; si evita il pericolo di profanare le specie eucaristiche, nelle quali «è presente in modo unico, sostanzialmente e ininterrottamente, il Cristo tutto e intero; Dio e uomo» [10] e si ha modo di osservare con esattezza la raccomandazione sempre fatta dalla Chiesa sul riguardo dovuto ai frammenti del pane consacrato: «Se tu ti lasci sfuggire qualche frammento è come se perdessi una delle tue stesse membra» [11].

Ecco perché quando alcune Conferenze episcopali e anche singoli vescovi chiesero che fosse loro consentito di introdurre nei rispettivi territori l’uso di deporre il pane consacrato nelle mani dei fedeli, il Sommo Pontefice stabilì che venissero consultati tutti e singoli i vescovi della Chiesa latina, perché esprimessero il loro parere sull’opportunità di introdurre quest’uso.

Un cambiamento in cosa di tanta importanza, basata su una tradizione antichissima e veneranda, non tocca solo la disciplina; potrebbe dimostrarsi fondato il timore di eventuali pericoli derivanti da questo nuovo modo di distribuire la Comunione; il pericolo per esempio di un diminuito rispetto verso il Santissimo Sacramento dell’altare, o quello di una sua profanazione, o anche di un’alterazione della dottrina eucaristica.

Ecco dunque le tre domande poste ai vescovi, e le relative risposte da essi pervenute fino al 12 marzo scorso:

Si ritiene opportuno accogliere la petizione che, oltre al modo tradizionale di ricevere la Comunione, sia pure consentito di riceverla in mano?

Sì: 567. No: 1233. Sì con riserva: 315. Schede nulle: 20.

Si è favorevoli a eventuali esperimenti di questo nuovo rito in piccole comunità, con l’assenso dell’ordinario del luogo?

Sì: 751. No: 1215. Schede nulle: 70.

Si pensa che i fedeli, dopo una ben condotta catechesi preparatoria, accetteranno volentieri questo nuovo rito?

Sì: 835. No: 1185. Schede nulle: 128.

Dalle risposte date risulta chiaramente il pensiero della grande maggioranza dei Vescovi: la disciplina attuale non deve subire mutamenti; anzi un eventuale cambiamento si risolverebbe in un grave disappunto per la sensibilità dell’orientamento spirituale dei Vescovi e di moltissimi fedeli.

Tenuti quindi presenti i rilievi e le osservazioni di coloro che «lo Spirito Santo ha posto a reggere come vescovi le varie Chiese» [12] per l’importanza della cosa e il peso degli argomenti addotti, il Sommo Pontefice non ha ritenuto opportuno cambiare il modo tradizionale con cui viene amministrata ai fedeli la santa Comunione.

Pertanto la Sede apostolica esorta caldamente vescovi, sacerdoti e fedeli a osservare con amorosa fedeltà la disciplina in vigore, ora ancora una volta confermata; tengano tutti presente il giudizio espresso dalla maggior parte dell’episcopato cattolico, la formula attualmente in uso nel rito liturgico, il bene comune della Chiesa.

Se poi in qualche luogo fosse stato già introdotto l’uso contrario, quello cioè di porre la santa Comunione nelle mani dei fedeli, la Sede apostolica, nell’intento di aiutare le Conferenze episcopali a compiere il loro ufficio pastorale, reso non di rado ancor più difficoltoso dall’attuale situazione, affida alle medesime conferenze il compito di vagliare attentamente le eventuali circostanze particolari, purché sia scongiurato ogni pericolo di mancanza di rispetto all’eucaristia o di deviazioni dottrinali su questo Santissimo Sacramento, e sia eliminato con cura ogni altro inconveniente.

In questi casi, per un’opportuna normativa del nuovo uso, le Conferenze episcopali, esaminata con prudenza la cosa, prenderanno le loro deliberazioni con votazione segreta, a maggioranza di due terzi, e presenteranno poi il tutto alla Santa Sede, per averne la necessaria conferma [13] allegandovi una accurata esposizione dei motivi che le hanno indotte alle deliberazioni stesse. La Santa Sede vaglierà con cura i singoli casi, tenendo anche presenti i rapporti che uniscono le varie Chiese locali tra di loro, e ognuna di esse con la Chiesa universale, per il bene comune, per lo comune edificazione, e per l’incremento di fede e di pietà che il vicendevole esempio reca e promuove.

Questa istruzione, preparata per mandato speciale del sommo pontefice Paolo VI, è stata da lui approvata, in forza della sua autorità apostolica, il 23 maggio 1969. Egli ha inoltre disposto che per il tramite dei presidenti delle Conferenze episcopali fosse portata a conoscenza di tutti i vescovi.

Nonostante qualunque cosa in contrario. Roma, 29 maggio 1969.

Benno card. Gut, prefetto – Bugnini, segretario

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su questa linea si è mantenuta e mantiene la Chiesa oggi con il Documento che ricalca questo firmato da Giovanni Paolo II la Redemptionis Sacramentum, dal capitolo IV in particolare i nn.88-96 CLICCARE QUI.

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