Urge uscire da Rahner

Per uscire dalla crisi che regna nella Chiesa è necessario “uscire” dalla figura e dal pensiero del gesuita tedesco.

Rahner, maestro di Martini, del Vaticano II e della coscienza relativa

Dietro l’opposizione intra-ecclesiale all’insegnamento di Benedetto XVI c’è il pensiero di un altro influente tedesco: il gesuita Karl Rahner.

di Roberto de Mattei

Il nome di Karl Rahner è un passaggio obbligato per chi voglia entrare nel cuore del dibattito intraecclesiale dei nostri giorni. Come perito conciliare del cardinale Franz König il gesuita tedesco svolse, dietro le quinte, un ruolo cruciale nel Vaticano II, fino a essere definito dall’allora decano della Gregoriana, Juan Alfaro, “il massimo ispiratore del Concilio”. Di certo ha dominato il postconcilio come conferenziere di grido e scrittore dalla alluvionale produzione, pronto a intervenire disinvoltamente su tutti i problemi del momento: i suoi titoli sono oltre quattromila, le sue opere, tradotte e diffuse in tutto il mondo, continuano a esercitare una larga influenza sul mondo cattolico contemporaneo.

978-3-7867-2478-0_544ecbc7023e1Sembra giunta però l’ora di “uscire da Rahner”, come implicitamente auspicato da Benedetto XVI nell’ormai storico discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, sulle “ermeneutiche” del Concilio Vaticano II. Lo “spirito del Concilio” a cui si richiamano gli ermeneuti della “discontinuità” ha infatti la sua fonte nel Geist in Welt di Rahner, quello “Spirito nel mondo” che è il titolo del suo primo importante libro, pubblicato nel 1939. Se in questo volume Rahner delinea la sua concezione filosofica della conoscenza, nel successivo, “Uditori della parola” (Hörer des Wortes), pubblicato nel 1941, espone la sua visione propriamente teologica. Le tesi di questi due libri e dei successivi, già lucidamente criticate dal padre Cornelio Fabro (La svolta antropologica di Karl Rahner, 1974), sono ora oggetto di un importante volume, a cura di padre Serafino M. Lanzetta, che raccoglie gli atti del convegno tenutosi a Firenze nel novembre 2007, con la partecipazione di eccellenti studiosi, provenienti da diverse parti del mondo: Ignacio Andereggen, Alessandro Apollonio, Giovanni Cavalcoli, Peter M. Fehlner, Joaquín Ferrer Arellano, Brunero Gherardini, Manfred Hauke, Antonio Livi, H. Christian Schmidbaur, Paolo M. Siano, (Karl Rahner. Un’analisi critica. Le figure, le opere e la recensione. Teologia di Karl Rahner, 1904-1984. Cantagalli).

Oggetto della scienza teologica, per Rahner, non è Dio, di cui non può essere dimostrata l’esistenza, ma l’uomo, che costituisce l’unica esperienza di cui abbiamo l’immediata certezza. Non si può dunque parlare di Dio al di fuori del processo conoscitivo dell’uomo. Dio, più precisamente, esiste “autocomunicandosi” all’uomo che lo interpella. Rahner afferma che nessuna risposta va al di là dell’orizzonte che la domanda ha già precedentemente delimitato. L’orizzonte di Dio è misurato dall’uomo che, delimitando nella sua domanda la risposta divina, diviene la misura stessa della Rivelazione di Dio. Rahner non dice che l’uomo è necessario a Dio perché Dio possa esistere, ma poiché senza l’uomo Dio non può essere conosciuto, la conoscenza umana diviene la chiave di quella che egli definisce la “svolta antropologica” della teologia. Rahner si richiama spesso a san Tommaso d’Aquino, ma di fatto riduce la metafisica ad antropologia e l’antropologia a gnoseologia ed ermeneutica.

La “teologia trascendentale” di Rahner appare, in questa prospettiva, come uno spregiudicato tentativo di liberarsi della tradizionale metafisica tomista, in nome dello stesso san Tommaso. Ciò naturalmente può avvenire solo a condizione di falsificare il pensiero dell’Aquinate. Fabro non esita a definire Rahner “deformator thomisticus radicalis”, a tutti i livelli: dei testi, dei contesti e dei principi. L’esito è un “trasbordo” dal realismo metafisico di Tommaso all’immanentismo di Kant, di Hegel e soprattutto di Heidegger, acclamato dal gesuita tedesco come il suo “unico maestro”.

Rahner accetta il punto di partenza cartesiano dell’io come auto-coscienza. L’uomo, spogliato della sua corporeità, è innanzitutto coscienza, puro spirito, immerso nel mondo. Come per Cartesio e per Hegel, anche per Rahner è il conoscere che fonda l’essere, ma la conoscenza ha il suo fondamento nella libertà, perché “nella misura in cui un essere diventa libero, nella medesima misura esso è conoscente”. La coscienza coincide con la volontà dell’uomo e la volontà dell’uomo è l’attuarsi dell’Io. L’Io a sua volta non è sottomesso a nulla che lo possa condizionare, perché il suo fondamento sta proprio nella sua incondizionatezza e dunque nell’assenza di ogni oggettiva limitazione esterna.

La conseguenza della riduzione dell’uomo ad auto-coscienza è la dissoluzione della morale. La libertà prevale sulla conoscenza perché, come afferma Heidegger, dietro il cogito cartesiano irrompe la libertà. L’uomo è coscienza che si auto-conosce e libertà che si auto-realizza. Per Rahner, come per il suo maestro, l’uomo conosce e vive il vero facendosi libero. Il valore morale dell’azione non ha una radice oggettiva, ma è fondato sulla libertà del soggetto.

Forzando il n. 16 della Lumen Gentium, in cui si parla della possibilità di salvezza di coloro che “non sono giunti a una conoscenza esplicita di Dio”, Rahner afferma che la salvezza non è un problema, perché è assicurata a tutti, senza limiti di spazio, di tempo e di cultura. La chiesa è una comunità vasta come il mondo, che include i “cristiani anonimi”, i quali, benché possano dirsi non-cattolici, o addirittura atei, hanno la fede implicita. Chiunque infatti “accetta la propria umanità, costui, pur non sapendolo, dice di sì a Cristo, perché in lui ha accettato l’uomo”. Tutti, dunque, anche gli atei, in quanto atei, si salvano se seguono la propria coscienza. Qualsiasi uomo, quando conosce se stesso, anche nel male che compie, se si accetta come tale, allora è auto-redento ed ha fede. E quanto più conosce e accetta la propria “esperienza trascendentale” tanto più ha fede. Questo, osserva giustamente il padre Andereggen, significa che ha più fede un individuo che si sia psicanalizzato freudianamente durante dieci anni, piuttosto che un religioso che preghi (p. 35).

Il cardinale Franz König, uomo di punta del progressismo conciliare, fu il grande “sdoganatore” di Rahner, in odore di eresia fino agli anni Sessanta.

Tra i numerosi e illustri discepoli del gesuita, bisogna ricordare l’ex presidente della Conferenza episcopale tedesca Karl Lehmann e, in Italia, il cardinale Carlo Maria Martini. Le ultime interviste-confessioni di Martini, con Georg Sporschill (Conversazioni notturne a Gerusalemme, Mondadori) e con don Luigi Verzé (Siamo tutti nella stessa barca, Edizioni San Raffaele), sono di impronta rahneriana, per l’universalismo salvifico e la “morale debole”. Martini, come Rahner, ritiene che la missione della chiesa sia aprire le porte della salvezza a tutti, compresi coloro che si discostano dalla fede e dalla morale cattolica. Lo stesso Martini, istituì a Milano una “cattedra dei non credenti”, per ascoltare il loro contributo alla salvezza del mondo. Il successore di san Carlo Borromeo, rinunciava così al compito di portare Cristo a chi non crede, per affidare ad atei dichiarati come Umberto Eco la missione di “evangelizzare” i fedeli della diocesi ambrosiana.

Non è eccessivo affermare che Rahner è il padre del relativismo teologico contemporaneo. A confermarlo è la sua più intima confidente, Luise Rinser, che l’11 maggio 1965 gli scriveva: “Sai qual è la maggior difficoltà che mi viene da parte tua? Che sei un relativista. Da quando ho imparato a pensare come te non oso affermare nulla con sicurezza” (“Gratwanderung”, Kösel). Qualche anno dopo la stessa Rinser avrebbe solidarizzato con i terroristi Andreas Baader e Gudrun Ensslin. Rahner, da parte sua, il 16 marzo 1984, poco prima di morire, scrisse una lettera in difesa della teologia della liberazione che chiamava i cattolici alle armi in America Latina.

La lettura del libro curato dal padre Lanzetta conferma nell’idea che Karl Rahner, per lo spregiudicato uso delle sue indubbie capacità intellettuali, fu soprattutto un grande avventuriero della teologia. Il giovane Ratzinger subì il fascino della sua personalità, ma intravide presto le conseguenze devastanti del suo pensiero e, sotto un certo aspetto, dedicò tutta la sua successiva opera intellettuale a confutarne le tesi. Oggi il nome di Rahner rappresenta la bandiera teologica di chi si oppone al pensiero antirelativista di Benedetto XVI-Ratzinger. L’analisi critica merita di essere portata fino in fondo.

© FOGLIO QUOTIDIANO (16/06/2009)


Rahner è il maestro dell’ambiguità che grava nella Chiesa

Per Rahner l’essenza della teologia è di vanificare tutte le conclusioni teologiche raggiunte dal pensiero della chiesa nel corso dei secoli.

di Roberto de Mattei

Che cosa significa “uscire da Rahner”? Significa innanzitutto uscire dalla cappa di ambiguità che grava sul pensiero cattolico da oltre quarant’anni. Di questa ambiguità Rahner fu maestro, tanto che se gli si dovesse attribuire un titolo, come si usa tra i teologi, potrebbe ben essere definito “doctor ambiguitatis”.

Karl Rahner,PorträtLa prima prova di questa ambiguità è data proprio dalla pluralità di interpretazioni possibili del suo pensiero su una stessa pagina di giornale. Il Rahner “tomista” proposto dalla professoressa Salatiello è certamente un Rahner inesistente, che non ha nulla a che fare con quello conosciuto dagli studiosi della sua opera, che ne sottolineano tutti la “discontinuità” con la grande tradizione della Scolastica e il rapporto invece di dipendenza dal pensiero moderno.

Decisiva fu l’influenza di Heidegger, che Rahner salutò pubblicamente con “il rispetto di uno scolaro davanti al grande maestro” (R. Wisser (ed), Martin Heidegger im Gespräch, Friburgo i.B.m 1979, p. 49). Il che nulla toglie alla sua filiazione dal gesuita belga Joseph Maréchal che, malauguratamente per lui, costituì l’anello di congiunzione non con san Tommaso, ma con Kant e con Cartesio. È da questo filone immanentista che proviene la fondamentale tesi rahneriana dell’identità tra l’essere e il conoscere.

Per san Tommaso l’essere precede la conoscenza, mentre per Rahner, che si esprime con linguaggio heideggeriano, “conoscere è l’essere-con-sé dell’essere e questo essere con sé è l’essere dell’essente”: è questa la tesi fondamentale di “Spirito del mondo”, un’opera che deve essere letta prima di “Uditori della parola”, per comprendere la natura della “antropologia trascendentale” di Rahner.

Per la Salatiello la “svolta antropologica” di Rahner mira ad affrontare Dio partendo dall’unico esistente che è in grado di farlo, cioè l’uomo. Ma essendoci unità tra essere e conoscenza, tra soggetto conoscente e cosa conosciuta, Dio diventa l’esistente presente nell’uomo, non realmente distinto da esso, in una prospettiva panteista confermata dalla equivoca formula della “autocomunicazione” o “autopartecipazione” divina.

Si può nello sviluppo logico del ragionamento partire dalla “meditazione dell’uomo” invece che dalla “meditazione di Dio”, come voleva Rosmini e ripropone mons. Lorizio, ma a condizione di sottolineare la finitezza e la limitatezza della condizione umana, ferita dal peccato. Per Rahner invece, la grazia non è necessaria alla natura umana per sanarla dal peccato, ma per costituire ciò a cui la “apertura infinita” dell’uomo è strutturalmente ordinata, la sua unità-identità con Dio.

Attraverso Heidegger, si svela sullo sfondo la presenza potente di Hegel, la cui dialettica costituisce il fondamento della anfibologia semantica e concettuale di Rahner. La teologia è la scienza che analizzando e confrontando con i princìpi della ragione i dati della Rivelazione (Scrittura e Tradizione, interpretate dal Magistero della chiesa) tratta di Dio e delle creature in rapporto a Dio, arrivando a formulare conclusioni teologiche.

Per Rahner, al contrario, l’essenza della teologia è di vanificare tutte le conclusioni teologiche raggiunte dal pensiero della chiesa nel corso dei secoli. Ogni formula dogmatica, ogni certezza metafisica e morale, ogni culto e devozione della chiesa, viene problematizzato e ridotto a “mistero”, di cui propriamente non si può neppure parlare. “Gli enunciati teologici – afferma – sono coerenti a se stessi solo in un processo di auto superamento radicale”.

La teologia è “reductio in mysterium”, come dice il titolo di un suo saggio, e più precisamente “in unum mysterium”, quello della “autopartecipazione divina”. Nel febbraio 1984, poco prima della morte, Rahner tenne una conferenza sulle “Esperienze di un teologo cattolico” che è un po’ il suo testamento spirituale. In questo ultimo testo, egli spiega che “non si può affermare niente di Dio in maniera legittima, se non a condizione di aggiungervi una negazione e di mantenere la scomoda oscillazione tra il sì e il no come il vero e unico punto saldo della nostra conoscenza”. Il teologo che parla di Dio, del mondo, dell’uomo, deve esprimersi attraverso affermazioni e negazioni, nella consapevolezza che proprio in questa continua oscillazione consiste la vera conoscenza.

“Che cosa significa oggettivamente, ad esempio, che il Figlio dell’uomo ritornerà sulle nubi del cielo, che egli si dona veramente a noi nelle specie del’eucarestia con la sua carne e il suo sangue, che il Papa è infallibile quando parla ex cathedra, che esiste un inferno eterno (…)?”. Si tratta di affermazioni che vanno inquadrate all’interno di una tensione dialettica tra il sì e il no, tra il possibile e l’impossibile, perché in ultima analisi il mistero divino è inconoscibile all’uomo. “Il teologo – continua Rahner – è veramente tale soltanto lì dove non pensa tranquillamente di parlare con chiarezza e in modo trasparente, bensì estende l’oscillazione analoga tra il sì e il no sull’abisso di incomprensibilità di Dio e nello stesso tempo la sperimenta e la testimonia con gioia”.

L’influsso di Hegel è evidente, ma a differenza della dialettica hegeliana, che si conclude in una sintesi, quella di Rahner si presenta come una dialettica aperta, che fa dell’ambivalenza la principale caratteristica del suo pensiero. Questo atteggiamento è più pericoloso di un’eresia formalmente professata, perché mina i fondamenti della fede cattolica alla radice, attraverso l’assunzione di un relativismo dissolutore. Anche quando Rahner “opta” per la verità, la tratta però come una tesi altrettanto possibile dell’errore, che viene da lui dignificato, anche se non accolto. Il passo per assumerlo è breve e il fatto che a compierlo sia Hans Küng, piuttosto che Karl Rahner, non diminuisce le responsabilità di quest’ultimo.

Mons. Lorizio non è un’apologeta di Rahner come la professoressa Salatiello, ma è più rahneriano di quanto non pensi, quando cerca la convivenza dialettica delle correnti o “cordate” teologiche all’interno della Chiesa, senza comprendere che qui non si tratta delle tradizionali differenze tra “scuole” unite da una medesima fede, ma di un’aspra battaglia tra teologie incompatibili, in un momento della storia della chiesa in cui non c’è più spazio per la politica del compromesso e del “buonismo” ecclesiale.

© FOGLIO QUOTIDIANO (18/06/2014)