L’indissolubile intreccio tra fede e carità
“L’indissolubile intreccio tra fede e carità. …. risulta chiaro che non possiamo mai separare o, addirittura, opporre fede e carità. Queste due virtù teologali sono intimamente unite ed è fuorviante vedere tra di esse un contrasto o una «dialettica». Da un lato, infatti, è limitante l’atteggiamento di chi mette in modo così forte l’accento sulla priorità e la decisività della fede da sottovalutare e quasi disprezzare le concrete opere della carità e ridurre questa a generico umanitarismo.
Dall’altro, però, è altrettanto limitante sostenere un’esagerata supremazia della carità e della sua operosità, pensando che le opere sostituiscano la fede. Per una sana vita spirituale è necessario rifuggire sia dal fideismo che dall’attivismo moralista.
L’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l’amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio. Nella Sacra Scrittura vediamo come lo zelo degli Apostoli per l’annuncio del Vangelo che suscita la fede è strettamente legato alla premura caritatevole riguardo al servizio verso i poveri (cfr At 6,1-4). Nella Chiesa, contemplazione e azione, simboleggiate in certo qual modo dalle figure evangeliche delle sorelle Maria e Marta, devono coesistere e integrarsi (cfr Lc 10,38-42). La priorità spetta sempre al rapporto con Dio e la vera condivisione evangelica deve radicarsi nella fede.
Talvolta si tende, infatti, a circoscrivere il termine «carità» alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. E’ importante, invece, ricordare che massima opera di carità è proprio l’evangelizzazione, ossia il «servizio della Parola»….
L’invito ad evangelizzare si traduce in un appello alla conversione” (1)
Con queste parole tratte dal magistero di Benedetto XVI, vogliamo approfondire l’autentica Dottrina Cattolica su questo argomento oggi così confuso e quasi inesistente nella predicazione e persino nella tanto auspicata evangelizzazione.
Il discorso sarà inevitabilmente lungo, ce ne scusiamo ma non è possibile trattare certi argomenti esclusivamente con piccole frasi.
Cerchiamo di imparare a leggere davvero dentro il Magistero della Chiesa, e a meditare, interiorizzare e sviluppare armoniosamente ciò che leggiamo.
Nostro Signore Gesù Cristo dice che il perdono deve essere concesso solo a chi è veramente pentito:”se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli” (Lc. 17,3 ).
Il rimprovero non è assenza di perdono, ma lo stesso perdonare non significa non rimproverare, non riprendere l’errante. Forse una mamma non è amorevole verso il figlio quando lo rimprovera per delle mancanze? Essere “perdonati” infatti non è un diritto, ma un dono che bisogna guadagnare, una concessione, la concessione di un animo addestrato dal Cristo stesso, dal momento che “per-donare” è dono di Dio, incapacità degli uomini a a causa del Peccato originale.
San Giovanni Paolo II insegna che la penitenza: “lungi dall’essere un sentimento superficiale, è un vero capovolgimento dell’anima. (…) Fare penitenza vuol dire cambiare direzione anche a costo di sacrificio e riparare il male fatto a Dio, a se stessi, ai fratelli, a tutto il creato…Fare penitenza è qualcosa di autentico ed efficace soltanto se si traduce in atti e gesti di penitenza. La penitenza è la conversione che passa dal cuore alle opere …” (2)
L’analisi del peccato, della sua vera essenza e dell’itinerario che da esso ha origine, indica che, ad opera del diavolo, vi sarà lungo la storia una costante pressione al rifiuto di Dio che porta fino all’odio verso il Creatore: amore di sé fino al disprezzo di Dio, come dice S. Agostino.
Come condizione del perdono, Dio fece ricadere su Gesù l’iniquità di tutti: – il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is. 53,5 ).
E, dice ancora Giovanni Paolo II: “La giustizia di Dio ha stabilito per la redenzione il processo inverso: l’amore di Dio fino al disprezzo di sé da parte del figlio prediletto, che offrì un sacrificio perfetto mediante l’atto della sua morte: – offrì se stesso senza macchia a Dio” ( Eb 9,14 ) (3).
Il “calice” della passione è il destino che il Padre ha riservato al Figlio: nella letteratura biblica il calice è il simbolo del destino perché i nomi degli interessati che venivano tirati a sorte erano posti dentro un calice. Il sacrificio della vita è stato voluto dal Padre e Gesù, come uomo, solo a Dio chiede di togliere tale pena: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!” ( Mt 26,39 ).
Ma attenzione, la morte di Gesù non deve essere confusa con la logica del pacifismo: la crocifissione di Nostro Signore è un atto di obbedienza alla giustizia voluta dal Padre, è un atto di amore per noi e un atto di condivisione dell’umana sofferenza, attraverso il quale si attiva il perdono a determinate condizioni.
In merito al pacifismo Giovanni Paolo II precisa: “Noi non siamo pacifisti, non vogliamo la pace ad ogni costo. Una pace giusta. Pace e giustizia. La pace è sempre opera della giustizia… Opus iustitiae, pax “. (4)
Se dunque, il perdono non esclude la giustizia ma, anzi, la giustizia è condizione del perdono, in che cosa consiste il perdono e lo stesso perdonare?
Chiariamo subito che il perdono del Vangelo non è il perdonismo oggi in voga e non è un diritto!
Perdonare significa, propriamente, donare di nuovo, una parola composta da due “per-donare” – “donare-per” è perciò quella disponibilità personale a donare di nuovo il nostro aiuto a chi è pentito, un donare qualcosa che non viene propriamente da noi, piuttosto è un dono che a nostra volta abbiamo ricevuto dal Crocefisso, per questo si parla di “grazia del perdono“.
Perdonare significa che non dobbiamo odiare il colpevole che è pentito (anzi Gesù estremizza dicendoci che dobbiamo amare i nostri nemici), cioè non dobbiamo desiderare il male per il male; al contrario perdonare significa proprio offrire il nostro aiuto al colpevole veramente pentito per il male fatto e questo compatibilmente con le esigenze della giustizia umana (e Divina) che esige la riparazione del male e la punizione (la penitenza nel Vangelo) del colpevole.
L’esempio più chiaro dei Vangeli è il fatto tra Gesù e l’adultera:
“Allora Gesù, alzatosi, le chiese: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?
Rispose: Nessuno, Signore. Le disse Gesù: Neppure io ti condanno, va e non peccare più” (Gv.8,3,11).
O come quando guarisce il paralitico, pochi citano le parole di Gesù che sono un severo giudizio e monito per il comportamento del redento: qui il giudizio del “non peccare più” è accompagnato da un monito severo: “perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”(Gv.5,14).
Purtroppo a questi episodi, queste parole, vengono tolte, da troppe prediche, l’ultima frase “va e non peccare più” e il “perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”, sembrano diventate, oggi, delle richieste intolleranti.
“Siamo letteralmente invasi dai travisamenti e dalle menzogne: i cattolici in larga parte non se ne avvedono, quando addirittura non rifiutano di avvedersene. Se io vengo percosso sulla guancia destra, la perfezione evangelica mi propone di offrire la sinistra. Ma se si attenta alla verità, la stessa perfezione evangelica mi fa obbligo di adoperarmi a ristabilirla: perché, dove si estingue il rispetto della verità, comincia a precludersi per l’uomo ogni via di salvezza”
(Card. G. Biffi).
Il castigo è certamente la privazione di un bene. Il criminale, per esempio, viene privato del bene della libertà, ma tale sacrificio di un bene viene fatto non per il desiderio del male in se stesso ma con lo scopo di salvaguardare o di ottenere un bene più grande: la riabilitazione del pentito.
Bisogna tenere presente che esiste una gerarchia dei beni così come ci insegna lo stesso San Tommaso d’Aquino che qui semplifichiamo: il bene dell’anima è superiore al bene del corpo e il bene rappresentato dai diritti dell’innocente, della famiglia e della comunità civile è superiore al bene della libertà del criminale. Inoltre bisogna considerare il fatto che, anche quando si tratta di una condanna, lo Stato non dispone dei diritti dell’individuo. Lo Stato può privare il condannato del bene della libertà, in espiazione del male fatto, dopo che, con il suo crimine, egli si è già privato del suo diritto alla libertà: la perdita di certi diritti va attribuita allo stesso criminale che vi si è esposto e privato con la sua azione.
L’autentica e vera disposizione d’animo del perdono è bene espressa nell’opera di misericordia corporale che dice di – visitare i carcerati – ma non dice di abolire le carceri e le condanne.
Se la giustizia, dunque, non solo è lecita ma doverosa, come interpretare queste parole di Gesù: “ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due” ( Mt 5,38 – 41 ) ?
Queste parole dette da Gesù non possono essere interpretate alla lettera ma devono essere intese in senso più allargato. Infatti, Nostro Signore, che ha raccomandato di non opporsi al malvagio e di porgere l’altra guancia, in realtà, non si è comportato secondo la lettera di tale insegnamento. A Gerusalemme, dopo aver fatto una sferza, percosse i mercanti che si trovavano nel tempio ( cfr Gv 2,14 – 15 ).
Quando una delle guardie del Sommo Sacerdote lo schiaffeggia, invece di porgere l’altra guancia si oppone al gesto ingiusto del malvagio difendendosi verbalmente: “se ho parlato male, dimostrami dov’è il male, ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”( Gv 18,23 )
Davanti all’offesa personale Gesù porge senza dubbio la guancia, ma non tace quando ad essere colpita è la “Verità” stessa, in tal senso Gesù non risponde violenza con violenza, ma pone una domanda precisa al persecutore.
E va anche detto che in tutti i Vangeli non si legge mai che Gesù sia sceso in amicizia con i malvagi… anzi, a quelli che davvero riteneva “malvagi” reagisce duramente chiamandoli “vipere, ipocriti, figli del demonio…”. Quello che Gesù ci chiede è di non vendicarci, di non usare “l’occhio per occhio”, la reazione deve essere intelligente, ossia, sapienziale – si legga qui l’esempio del re Salomone –
Citando il Catechismo della Chiesa Cattolica, così si esprime Giovanni Paolo II:
” la legittima difesa può essere non soltanto un diritto, ma un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile “. Accade purtroppo che la necessità di porre l’aggressore in condizione di non nuocere comporti talvolta la sua soppressione. In tale ipotesi, l’esito mortale va attribuito allo stesso aggressore che vi si è esposto con la sua azione..” ( 5 )
La legittima difesa è forse in contrasto con il V comandamento che dice di – non uccidere – ?
Il Catechismo della Chiesa Cattolica precisa il senso del V comandamento citando integralmente il passo biblico dove viene enunciato: “la Scrittura precisa la proibizione del V comandamento: “ non far morire l’innocente e il giusto “ ( Es. 23,7 ). L’uccisione volontaria di un innocente è gravemente contraria alla dignità dell’essere umano, alla – regola d’oro – e alla santità del Creatore.
La legge che vieta questo omicidio ha una validità universale: obbliga tutti e ciascuno, sempre e dappertutto…” (6)
La rinuncia al diritto di difendersi da parte del singolo contro un ingiusto aggressore – quando non provoca danni ai diritti del prossimo e non è fatta per vigliaccheria o per odio e indifferenza verso la propria vita – può assumere un significato profetico, cioè attestare in maniera assolutamente credibile la fede in un’altra vita e nella giustizia definitiva e perfetta di Dio.
Ma la legittima difesa, dato il vincolo di solidarietà che ci lega agli altri uomini, è quasi sempre un grave dovere, soprattutto per i governanti che sono responsabili del bene comune. Un operaio, per esempio, può rinunciare ad esigere la giusta mercede defraudatagli da un datore di lavoro, ma i governanti devono comunque impegnarsi perché venga impedita l’ingiustizia attraverso l’uso lecito della forza e cioè attraverso l’opera delle forze dell’ordine, dei tribunali e attraverso l’applicazione delle pene stabilite dai tribunali.
Scrive il Vescovo Maggiolini di venerata memoria: “la persona può rinunciare al diritto di difendersi ma chi rinuncia al diritto di difendersi deve interrogarsi sui danni e sulla mancanza di aiuto che provoca a chi da lui dipende. Si pensi, come esempio, a un padre che ha la responsabilità di figli ancora incapaci di provvedere a se stessi “. (7)
L’apostolo Paolo, nella lettera ai Romani, dice :”Vuoi non avere da temere l’autorità? Fa il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male” ( Rm 13,3 – 4 ).
Quindi, Dio ha affidato ai governanti la spada per punire chi fa il male (il famoso potere di Cesare, il potere temporale).
Naturalmente non entreremo per ora qui nel merito delle dittature, dell’uso perverso del potere, dell’abuso di certo potere nel fare leggi ingiuste, delle condanne ingiuste e quant’altro, qui per ora vogliamo solo approfondire alcuni principi del perdono e della giustizia divina.
Qualcuno vede una certa contraddizione tra le esigenze della giustizia e lo spirito delle beatitudini enunciato da Gesù, in particolare le beatitudini dove viene detto: “beati gli afflitti perché saranno consolati – e – beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”( Mt 5,4 e 5,10).
“Le beatitudini evangeliche, in realtà, non intendono distogliere l’uomo dalla realizzazione della giustizia ma dall’atteggiamento integralista di chi crede di poter realizzare un mondo e una società perfetti per cui finisce per non fare più distinzioni tra Paradiso e mondo, tra Cesare e Dio, tra verità e legge, tra stato e religione, tra fede e vita. Il cristiano, invece, in analogia con quanto si deve praticare nella vita spirituale individuale, deve evitare di confondere la sfera della fede con quella della vita, ma altrettanto deve accuratamente guardarsi dal separare la fede dalla vita“. ( 8 )
Le beatitudini: “permettono di stabilire l’ordine temporale in funzione di un ordine trascendente, che senza togliere al primo il suo specifico contenuto, gli conferisce la sua vera misura. (…) Le beatitudini preservano dall’idolatria dei beni terreni e dalle ingiustizie, che la loro sfrenata bramosia comporta. Esse distolgono dalla ricerca utopistica e pericolosa di un mondo perfetto, perché passa la scena di questo mondo”( 1 Cor 7,31 ). (9)
Le beatitudini, dunque, possono essere considerate un manifesto contro l’utopia: esse ricordano che in questo mondo non può esistere la perfezione ma è possibile un continuo progresso dell’uomo verso la verità, nel senso che può essere aumentata la comprensione soggettiva – per una applicazione poi oggettiva – della verità e può essere continuamente migliorata nella sua applicazione.
Dopo queste spiegazioni, come interpretare l’insegnamento di Gesù in merito al – porgere l’altra guancia – ?
San Tommaso d’Aquino spiega che Gesù non è venuto ad abolire l’antica legge ma a completarla ( cfr Mt 5,17 ).
Queste massime di nostro Signore si riferiscono, in particolare, ai precetti giudiziali dell’antica legge: si tratta del diritto positivo del popolo ebreo che doveva garantire la giustizia. Cristo completa i precetti giudiziali nel senso che ne spiega il vero significato. Gli ebrei credevano lecito il desiderio di vendetta, mentre le pene dovevano essere applicate per amore della giustizia e non per odio verso la persona che aveva commesso un delitto.
Per questo Cristo dice di amare il nemico e di porgere l’altra guancia. Gli ebrei credevano lecita la cupidigia delle ricchezze per le pene del taglione che comandavano la restituzione dei beni rubati con un sovrappiù di multa, mentre tali pene dovevano essere applicate per amore della giustizia e non per desiderio di ricchezza. Ecco perché il Signore dice di essere pronti a cedere di più a chi ci deruba.
Tali espressioni evangeliche, dice S. Agostino, vanno intese come – disposizioni d’animo -, altrimenti esse non hanno senso.
Nella Enciclica sulla Divina Misericordia Giovanni Paolo II sviluppa una eccellente comprensione di questa giustizia, dice:
“….. sarebbe difficile non avvedersi che molto spesso i programmi, che prendono avvio dall’idea di giustizia e che debbono servire alla sua attuazione nella convivenza degli uomini, dei gruppi e delle società umane, in pratica subiscono deformazioni. Benché essi continuino a richiamarsi alla medesima idea di giustizia, tuttavia l’esperienza dimostra che sulla giustizia hanno preso il sopravvento altre forze negative, quali il rancore, l’odio e perfino la crudeltà. In tal caso, la brama di annientare il nemico, di limitare la sua libertà, o addirittura di imporgli una dipendenza totale, diventa il motivo fondamentale dell’azione; e ciò contrasta con l’essenza della giustizia che, per sua natura, tende a stabilire l’eguaglianza e l’equiparazione tra le parti in conflitto.
Questa specie di abuso dell’idea di giustizia e la pratica alterazione di essa attestano quanto l’azione umana possa allontanarsi dalla giustizia stessa, pur se venga intrapresa nel suo nome. Non invano Cristo contestava ai suoi ascoltatori, fedeli alla dottrina dell’Antico Testamento, l’atteggiamento che si manifestava nelle parole: “ Occhio per occhio e dente per dente “. Questa era la forma di alterazione della giustizia in quel tempo; e le forme di oggi continuano a modellarsi su di essa. E’ ovvio, infatti, che in nome di una presunta giustizia ( ad esempio, storica o di classe ) talvolta si annienta il prossimo, lo si uccide, si priva della libertà, si spoglia degli elementari diritti umani.
L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all’annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni. E’ stata appunto l’esperienza storica che, fra l’altro, ha portato a formulare l’asserzione: summum ius, summa iniuria. Tale affermazione non svaluta la giustizia e non attenua il significato dell’ordine che su di essa si instaura; ma indica solamente, sotto altro aspetto, la necessità di attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, che condizionano l’ordine stesso della giustizia “. (10)
La giustizia, da sola, può portare alla negazione di se stessa senza la disposizione d’animo dell’amore per il nemico. Quando Gesù afferma, – (…) io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello – ( Mt 5, 39 – 40 ), cosa realmente vuole dire? Cosa significano queste frasi: sono una metafora o vanno prese alla lettera ?
Dice ancora Giovanni Paolo II: “Non si tratta qui certamente di acconsentire al male. E neppure ci viene proibita una legittima difesa nei confronti dell’ingiustizia, del sopruso o della violenza. Anzi è a volte soltanto con un’energica difesa, che certe violenze possono e debbono essere respinte. Quello che Gesù ci vuole insegnare innanzitutto con quelle parole, come con le altre (…), è la netta distinzione che dobbiamo fare tra la giustizia e la vendetta. Ci è consentito di chiedere giustizia; è nostro dovere praticare la giustizia. Ci è invece proibito vendicarci o fomentare in qualunque modo la vendetta, in quanto espressione dell’odio e della violenza “. (11)
“Un’altra controversia – spiega il suo Successore Benedetto XVI – riguarda il problema della conciliazione della bontà e dell’onnipotenza di Dio con l’esistenza del male. Se Dio è onnipotente e buono, come si spiega la realtà del male? Ruperto infatti reagì alla posizione assunta dai maestri della scuola teologica di Laon, che con una serie di ragionamenti filosofici distinguevano nella volontà di Dio l'”approvare” e il “permettere”, concludendo che Dio permette il male senza approvarlo e, dunque, senza volerlo. Ruperto, invece, rinuncia all’uso della filosofia, che ritiene inadeguata di fronte a un problema così grande, e rimane semplicemente fedele alla narrazione biblica. Egli parte dalla bontà di Dio, dalla verità che Dio è sommamente buono e non può che volere il bene. Così egli individua l’origine del male nell’uomo stesso e nell’uso sbagliato della libertà umana. Quando Ruperto affronta questo argomento, scrive delle pagine piene di afflato religioso per lodare la misericordia infinita del Padre, la pazienza e la benevolenza di Dio verso l’uomo peccatore…” (12)
Per quanto riguarda l’insegnamento di Gesù che afferma – amate i vostri nemici – ( Mt 5,44 ), Giovanni Paolo II dice che: “non va inteso nel senso di un’approvazione del male compiuto dal nemico. Gesù invece ci invita ad una veduta superiore, magnanima, simile a quella del Padre celeste, per la quale, anche nel nemico e nonostante sia nemico, il cristiano sa scoprire ed apprezzare aspetti positivi, meritevoli di stima e degni d’essere amati: primo fra tutti, la persona stessa del nemico, creata, come tale, ad immagine di Dio, anche se, al presente, è offuscata da un’indegna condotta. – (13)
Il nemico – nell’insegnamento di Gesù – è il non amico, colui che fa il male e che non vuole pentirsi.
La persona del peccatore deve essere sempre amata perché essa è stata creata da Dio a sua immagine anche se al momento presente è offuscata e deformata dal peccato. Il peccato del nemico, al contrario, deve essere odiato e combattuto e l’aggressore deve essere messo in condizione di non nuocere, ma anche portato in una condizione tale che possa comprendere il peccato, il male che compie per potersi pentire, ecco perché Gesù ci spinge ad amare i nostri nemici.
Il vero discernimento…
Non possiamo, dunque, stare insieme cioè essere amici e solidali con coloro che fanno il male, che commettono il peccato e sono contenti di come vivono: non ci può essere solidarietà con coloro che fanno il male e questo comporta un allontanamento dalle opere malvagie del peccatore in tutte quelle azioni che possono significare complicità o condivisione nei confronti del male, del peccato.
Gesù infatti dimostra ed insegna la solidarietà verso l’uomo che da peccatore può e deve convertirsi, ma non solidarizza mai con i peccatori lasciandoli peccatori. La solidarietà del Vangelo ha uno scopo preciso, la solidarietà è perciò lo strumento che Gesù consegna ai “suoi” (dopo che anch’essi si saranno ravveduti-convertiti) per convertire gli uomini e non certo per restare solidali con i loro peccati.
Molte volte, con la scusa che non dobbiamo giudicare, sospendiamo il giudizio verso i peccati che si commettono. Questo non è buono perché siamo invitati a fare discernimento su ogni cosa, anche nei confronti del prossimo da amare come si ama se stessi in Dio.
Gesù dice: “Non giudicate per non essere giudicati “, perché la parola `giudizio’, al tempo di Gesù, equivaleva a una `condanna’.
Noi non dobbiamo condannare le persone ma il peccato, e siamo chiamati ad esaminare ciò che c’è nell’altro, così come faceva Gesù – si legga qui Con la Sapienza divina possiamo giudicare –
Si legge nel Vangelo che: “ Gesù però non si confidava con loro perché conosceva tutti …” (Gv.2,13-25).
Egli sapeva quello che c’era in ogni uomo, perché ne conosceva i pensieri. Il nostro giudizio, prima di tutto, deve servire ad aiutare le persone con cui ci relazioniamo. Se il Signore ci mette accanto una persona, è per amarla di più, per aiutarla non a rimanere nel proprio peccato, ma perchè conoscendo il Cristo si penta e si ravveda. Ecco perchè dice anche: “può un cieco guidare un altro cieco? non cadranno tutti e due nella fossa?” (Lc.6,39).
La vera solidarietà diventa allora una guida attraverso la quale camminare, con il prossimo, verso la meta della santità.
Il discernimento serve anche per difendere noi stessi: il diavolo vuole la nostra morte fisica e spirituale. Il discernimento base, per quanto riguarda le persone, è indicato chiaramente da Gesù, che ha detto: “Guardatevi dai falsi profeti! Vengono a voi vestiti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci.” (Mt.7,15)
E anche: “Voi siete sepolcri imbiancati perché fuori siete tutti belli puliti e dentro pieni di marciume.” (Mt.23,27)
Per conoscere i lupi e i sepolcri imbiancati dobbiamo analizzare-discernere i frutti che producono, che sono diversi dai prodotti che spesse volte produciamo nel peccare. I prodotti sono tutte le attività che facciamo molte nel male, altre nel bene, quelle nel bene producono i frutti. I frutti buoni sono nove e si trovano elencati in Galati 5,22
“Amore, Gioia, Pace, Pazienza, Benevolenza, Bontà, Fedeltà, Mitezza e Dominio di sé “.
Se la frequenza a una persona o a una realtà ci porta ad acquisire questi frutti, spiega lo stesso san Paolo, è bene continuare il rapporto, in caso contrario, meglio evitarlo.
Il Signore non vuole la nostra infelicità e non vuole la nostra improduttività: siamo invitati a fare un discernimento su tutto, e dobbiamo portare frutto.
E’ dovere del cristiano evitare quella solidarietà indiretta verso il male che consiste nei peccati di omissione, primo fra tutti il mancato ammonimento e il mancato insegnamento nei confronti del peccatore.
L’insegnamento dell’amore verso i nemici deve essere messo in relazione con questi altri insegnamenti di Gesù: “pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra ? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre” ( Lc 12,51- 53 ).
E ancora: “Ma se qualcuno scandalizzasse uno di questi piccoli, che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina da asino e venisse sommerso nel fondo del mare” ( Mt 18, 6 );
e c’è anche un monito ancora più grave:
” Se qualcuno viene da voi e non porta questa dottrina, non ospitatelo in casa, né dategli il saluto, poiché chi gli rivolge il saluto, partecipa alle sue opere malvagie “ (2Gv.10 ),
non è affatto vero, dunque, che siamo “obbligati-costretti” ad ospitare chiunque in casa, o di frequentare chiunque, o di perdonare alla cieca!
L’amore di carità – cioè amare Dio al di sopra di se stessi e il prossimo per amore di Dio – può e deve richiedere il sacrificio dell’amore umano perché non è possibile amare veramente il prossimo senza amare prima Dio e i suoi comandamenti: senza Dio finiremmo, anche senza volerlo, a causa delle passioni disordinate, per fare del male a noi stessi e al prossimo, confondendo i piaceri disordinati e momentanei con il bene e finendo facilmente per persuaderci che è falso ciò che non vorremmo fosse vero.
Infine non dimentichiamo come San Paolo, sulla lotta che il cristiano combatte per rimanere fedele a Cristo, dice: “Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ef 6, 11-12 ).
Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza. …e cosi avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona (Gen 1,26.31 )
L’uomo, immagine di Dio? Sembra davvero impossibile! Guardiamoci!! Guardiamo come ci siamo ridotti!
L’esperienza di oggi, la storia di millenni, ci presenta molte volte un altro tipo di immagine: davvero brutta, di certo non divina.
L’uomo deturpa, violentemente, questo disegno di Dio che lo vuole a “Sua immagine” e la stessa Scrittura già ci metteva in guardia:
l’uomo si fa sapiente, Dio stolto,
l’uomo libero, Dio servo
l’uomo si gonfia, Dio si svuota
l’uomo forte, Dio debole.
(Rom 11,13; 1Co. 1,17-25; 3, 18-20; 13,4; 4, 18-19; Fil 2,8 ).
Più che come immagine di Dio, l’uomo di oggi sembra volersi affermare, con più decisione del vecchio Adamo, come l’immagine proteica del “superuomo” creato da Nietzsche, che costruisce “Torri di Babele” per soppiantare Dio, per cacciarLo dalla sua vita: nel cuore di ogni stolto, risuona il “Via! Via! Crocifiggilo” (Gv 19,15) contro Colui che, unico, lo ama.
Finiamo sempre per ritrovarci davanti a quel Pretorio romano pronti a scegliere da che parte stare: con Gesù (Verità, vita e via) o con Barabba (immagine della menzogna, della violenza, della cupidigia)?
Dice la Scrittura: La sapienza dell’uomo è stoltezza, la stoltezza di Dio è sapienza.
«Ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini… Ciò che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti» (1Cor 1, 25.27 ).
Gesù lo dice chiaramente: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di Me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà…”( Mt 10, 37 – 39 ).
“…la presenza di Dio che si oppone a tutte queste forze (del male) con il suo potere totalmente diverso e divino: con il potere della misericordia. È la misericordia che pone un limite al male. In essa si esprime la natura tutta peculiare di Dio – la sua santità, il potere della verità e dell’amore” (14 )
Dunque la Misericordia di Dio è un potere… essa ha il potere di porre un limite al male.
Gesù stesso ci ha avvisati, per esempio, a riguardo degli ultimi tempi, dello scatenarsi della natura e delle forze del male e in Matteo 22 ci rammenta: “Se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe; ma, a motivo degli eletti, quei giorni saranno abbreviati.“
“La misericordia è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio, il volto con il quale Egli si è rivelato nell’antica Alleanza e pienamente in Gesù Cristo, incarnazione dell’Amore creatore e redentore. Questo amore di misericordia illumina anche il volto della Chiesa, e si manifesta sia mediante i Sacramenti, in particolare quello della Riconciliazione, sia con le opere di carità, comunitarie e individuali. Tutto ciò che la Chiesa dice e compie, manifesta la misericordia che Dio nutre per l’uomo, dunque per noi. Quando la Chiesa deve richiamare una verità misconosciuta, o un bene tradito, lo fa sempre spinta dall’amore misericordioso, perché gli uomini abbiano vita e l’abbiano in abbondanza (cfr Gv 10, 10)” (15)
Non dimentichiamo infatti il duro monito paolino:
“Si sente da per tutto parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti, in modo che si tolga di mezzo a voi chi ha compiuto una tale azione! Orbene, io, assente col corpo ma presente con lo spirito, ho gia giudicato come se fossi presente colui che ha compiuto tale azione: nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere del Signore nostro Gesù, questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinchè il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore.
Non è una bella cosa il vostro vanto. Non sapete che un pò di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.” (1Cor.5,1-8 )
“Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia” (Is.1,15-17) e: ” Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro…” (Is.5,20)
In conclusione
” La missione essenziale della Chiesa, che continua quella di Cristo, è una missione evangelizzatrice e salvifica. Essa attinge il suo slancio dalla carità divina. L’evangelizzazione è annuncio della salvezza, dono di Dio. Per mezzo della Parola di Dio e dei sacramenti, l’uomo è liberato, prima di tutto, dal potere del peccato e dal potere del Maligno, che l’opprimono, ed è introdotto nella comunione d’amore con Dio.
Seguendo il suo Signore, “venuto nel mondo per salvare i peccatori” (1 Tm, 1, 15), la Chiesa vuole la salvezza di tutti gli uomini.
Compiendo questa missione, la Chiesa insegna la via che l’uomo deve percorrere in questo mondo per entrare nel regno di Dio. Perciò, la sua dottrina si estende a tutto l’ordine morale e, segnatamente, alla giustizia, che deve regolare le relazioni umane. Ciò fa parte della predicazione del Vangelo”. (16 )
Gesù ha stabilito che al banchetto messianico della comunità cristiana che è rinnovato nella Mensa Eucaristica, può partecipare chiunque abbia fatto una CONVERSIONE, la Misericordia di Dio si muove infatti laddove c’è una conversione vera ed autentica! (cfr. Gv.4,1-42 ).
Confidiamo davvero in Gesù, oppure ci illudiamo in facili sentimentalismi, perdonismi vari, pacifismi d’ogni risma nel momento di qualche prova per poi lamentarci di non aver ricevuto quanto chiedevamo?
Ce lo rammenta san Giacomo nella sua Lettera:
Fratelli miei, non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria.
e al cap. 4 dice:
[1]Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra?
[2]Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete;
[3]chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri.
[4]Gente infedele! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio.
[5]O forse pensate che la Scrittura dichiari invano: fino alla gelosia ci ama lo Spirito che egli ha fatto abitare in noi?
[6]Ci dà anzi una grazia più grande; per questo dice: ‘Dio resiste ai superbi; agli umili invece dà la sua grazia’.
[7]Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi.
[8 ]Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Purificate le vostre mani, o peccatori, e santificate i vostri cuori, o irresoluti.
[9]Gemete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza.
[10]Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà.
Ricorda che:
“Un Gesù che sia d’accordo con tutto e con tutti, un Gesù senza la sua santa ira, senza la durezza della verità e del suo vero amore, non è il vero Gesù come lo mostra la Sacra Scrittura, ma una sua miserabile caricatura.
Una concezione del “vangelo” dove non esista più la serietà dell’ira di Dio, non ha niente a che fare con il Vangelo biblico.
Un vero perdono è invece qualcosa di più autentico e diverso da un debole “lasciar correre, tanto Dio è buono”!
Il perdono è esigente e chiede ad entrambi – chi lo riceve e chi lo dona – una presa di posizione che concerne l’intero loro essere.
Un Gesù che approva tutto è un Gesù privato della Croce, perchè allora non c’è più bisogno del dolore, della croce, per guarire l’uomo.
Ed effettivamente la Croce viene sempre più estromessa dalla teologia e falsamente interpretata come una brutta avventura o come un affare puramente politico, fermo al suo tempo.
La Croce come espiazione, la Croce come forma di perdono e della salvezza non si adatta a un certo schema di pensiero moderno, solo quando si vede bene il nesso tra verità e amore, allora la Croce diventa comprensibile nella sua autentica profondità teologica poichè, il perdono, ha a che fare con la verità e perciò esige la Croce del Figlio di Dio, ed esige per questo la nostra conversione.
Perdono e perdonare è appunto la restaurazione della verità, rinnovamento dell’essere e superamento della menzogna nascosta in ogni forma di peccato.
Il peccato è sempre, per sua essenza, un abbandono della verità del proprio essere e quindi della verità voluta dal Creatore, da Dio” (17 ).
Laudetur Jesus Christus – semper laudetur – Ave Maria
suggeriamo anche questo link: IL PECCATO ORIGINALE SPIEGATO in modo SEMPLICE
Note
1) Messaggio per la Quaresima 2013 di Benedetto XVI
2) Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, esortazione apostolica post-sinodale sulla riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa oggi, 2 dicembre 1984.
3) cfr Giovanni Paolo II , Lettera enciclica Dominum et Vivificantem sullo Spirito Santo nella vita della Chiesa e del mondo, 18 Maggio 1986, n.38; e si legga anche la sua Lettera apostolica Salvifici Doloris sul senso cristiano della sofferenza umana, nella quale esprime i medesimi concetti.
4) Giovanni Paolo II dalla Salvifici Doloris.
5) Giovanni Paolo II, lettera enciclica Evangelium vitae
6) Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2261
7) mons. Alessandro Maggiolini, Breve esposizione del cristianesimo, ed, Piemme, Casale Monferrato (AL ), 1985, p. 98
8 ) cfr Il messaggio del Papa a Strasburgo, in Giovanni Cantoni, Papa Giovanni Paolo II a Strasburgo: religione e libertà, Cristianità, Piacenza, ottobre 1988, n.162, pp. 3-6
9) Istruzione della Sacra Congregazione per la dottrina della fede, Libertà cristiana e liberazione, 22 marzo 1986, approvata dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, n. 62 – per il Documento entrate nell’area download del sito.
10) Enciclica Dives in Misericordia di Giovanni Paolo II
11) Giovanni Paolo II, Omelia alla parrocchia di S. Chiara a Vigna Clara- Due Pini, 24 febbraio 1987
12) Benedetto XVI Udienza Generale 9 dicembre 2009
13) ivi nota 11.
14) Benedetto XVI Omelia del 15 aprile 2007, per il suo 80° compleanno e Domenica in Albis
15) Benedetto XVI Angelus 30 marzo 2008
16) ivi nota 9.
17) Joseph Ratzinger “Guardare a Cristo”.
RICORDA ANCHE QUI: La pedagogia del dolore innocente di Don Carlo Gnocchi
Dov’è la giustizia di Dio quando si vedono i bambini che soffrono e quando la malattia strappa loro la vita
Questo articolo è dal sito AmiciDomenicani
Caro Padre Angelo,
innanzitutto la ringrazio per il servizio che svolge con i suoi chiarimenti su tanti aspetti della vita cristiana. Vorrei farle una domanda un po’ delicata a cui mi è difficile dare una risposta perché so che entra in campo prepotentemente la fede.. come si può giustificare l’amore di Dio rispetto alla malattia che spesso colpisce soprattutto giovani..?
La sofferenza e poi la morte come possono essere permesse dal Dio della vita?
Sicuramente a livello teologico entra in gioco il peccato originale e la vittoria di Cristo sulla morte.. ma in termini pratici come si può accettare questa condizione di sofferenza?
Cosa dire a chi è nella disperazione per una perdita di un proprio caro? Se penso quanta gente ama la vita e la malattia gliela strappa via, dove è la giustizia?
Dov’è Cristo in tutto ciò?
È una domanda che le avranno certamente posto tantissime volte…
Ammetto che pur essendo fervido credente, tali questioni mi lasciano un tantino perplesso…
Nell’attesa di una sua risposta le chiedo di ricordarmi nelle sue preghiere e la ringrazio anticipatamente.
Manuele
Caro Manuele,
1. è una domanda che in un modo o nell’altro è già venuta fuori.
Ed è una domanda che verrà fuori anche più avanti e verrà fuori sempre perché la sofferenza accompagna ogni uomo.
Giovanni Paolo II nell’enciclica Salvifici doloris osserva che quello della sofferenza “è un tema universale che accompagna l’uomo ad ogni grado della longitudine e della latitudine geografica: esso, in un certo senso, coesiste con lui nel mondo, e perciò esige di essere costantemente ripreso” (SD 1).
2. Dinanzi alla sofferenza, e soprattutto dinanzi alla sofferenza dei bambini e degli innocenti, tutti diventano pensosi e se ne domandano il perché.
Anche qui, come rilevava Giovanni Paolo II, l’uomo istintivamente pone le sue domande a Dio: “L’uomo non pone questo interrogativo al mondo, benché molte volte la sofferenza gli provenga da esso, ma lo pone a Dio come al Creatore e al Signore del mondo” (SD 9).
Anche l’ateo fa così.
E sotto questo aspetto Leon Bloy, che ebbe una parte notevole nella conversione di Raissa e Jacques Maritain, aveva ragione nel dire che la sofferenza ha il compito di risvegliare la presenza di Dio nell’anima.
3. Domandi: “Dove è la giustizia nel bambino che soffre?”
Verrebbe da dire: non c’è nessuna giustizia. In nessun modo la sofferenza può essere giustificata in un bambino.
Chi non è credente e ha una visione immanentista della vita (e cioè pensa che questa sia l’unica vita da vivere) a questo punto chiude il discorso e non riesce più ad andare avanti.
Giustamente il Concilio dice che “l’enigma del dolore e della morte e al di fuori del suo Vangelo ci opprime” (Gaudium et spes, 22).
Solo la luce di Cristo, solo la fede (e qui per fede intendiamo quella teologale ed è teologale solo quella cristiana) illumina questa realtà.
4. Ora la luce di Cristo ci ricorda che “in seno alla vita presente, se ne prepara un’altra, la cui importanza è tale che alla sua luce bisogna esprimere i propri giudizi” (congregazione per la dottrina della fede, De abortu procurato (18.11.1974), n. 25).
Se la vita presente fosse l’unica, vedere un bambino che soffre sarebbe lo scandalo più grosso.
Ma se questa vita è in funzione di un’altra, se questa vita ne prepara un’altra, allora tutto cambia.
5. Cristo ci insegna a valutare la vita presente in funzione di quella futura alla quale ci si prepara conformando il nostro modo di amare con quello di Dio.
Sì, entra in Dio che è Amore solo chi si dilata nell’amore che si fa dono.
Allora si comprende quanto Giovanni Paolo II ha scritto al termine della sua enciclica (Lettera apostolica) sulla sofferenza.
Per inciso mi piace ricordare che l’ha scritta dopo l’attentato, dopo aver sperimentato questa realtà in maniera singolare.
Ebbene, ha detto che “la sofferenza è presente nel mondo per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà umana nella civiltà dell’amore…
Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza e a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza” (SD 30).
6. Circa la domanda: “dove è la giustizia? Dov’è Cristo in tutto ciò?” si risponde dicendo che è una domanda pagana, che valuta solo nell’orizzonte di questo mondo e che cerca Dio come un deus ex machina, un dio esclusivamente in funzione dei bisogni umani, dei bisogni di questo mondo.
Ma un Dio del genere non esiste.
È una domanda dunque che non porta da nessuna parte.
Lascia nel buio come prima.
Anzi, sotto un certo aspetto lo acuisce ancora di più.
Perché il buio, oltre che sulla sofferenza, è anche su un Dio che non esiste.
Il Dio pagano non esiste.
7. L’unica risposta è quella che viene da Cristo, unica luce che illumina le tenebre degli interrogativi e delle risposte umane.
Nella vicenda della sua morte e della sua gloriosa risurrezione e ascensione al Cielo fa comprendere il suo insegnamento: “Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi” (Lc 13,30).
E lo saranno per sempre.
Quello che conta allora è quello che dura sempre, per tutta l’eternità.
Allora dalla luce di Cristo vengono ribaltati tutti i criteri umani.
Quelli che noi consideriamo ultimi e soggetto di ingiustizia sono quelli che di là stanno più vicini a Dio e sono incoronati per sempre.
E quelli che noi di qua consideriamo primi, perché stanno bene e godono di potere, e magari sono privi della grazia, di là saranno ultimi.
Se i bambini che di qua hanno sofferto e adesso sono in Paradiso potessero parlare non direbbero affatto che si è trattato di un’ingiustizia.
8. Infine se proprio si vuole rispondere alla domanda: “Dov’è Cristo in tutto ciò?” per un cristiano la risposta è chiara: “Cristo è lì, nel bambino che soffre”.
È nel bambino che soffre e che si dona, come hanno fatto i santi bambini di Fatima.
Di qua sono stati ultimi. Non sono giunti neanche all’adolescenza.
Da un punto di vista umana la loro vita è stata spezzata e spazzata via prima che cominciasse a fiorire e portare frutto.
Di là sono tra i primi per sempre.
Mentre molti tra quelli che di qua sono stati i primi sono ultimi, e cioè fuori dal Paradiso, “dove c’è pianto e stridore di denti” (Mt 8,12).
9. Ancora: Gesù è nel bambino che soffre e domanda amore, domanda dedizione.
In tal modo fa sprigionare amore in tanti adulti che proprio in questa dedizione riscoprono il senso della vita presente, che non è quello del godere ma del donare.
E così li aiuta “a mettersi da parte un buon capitale per il futuro per acquistarsi la vita vera” (1 Tm 6,19).
Grazie per la domanda che mi hai fatto.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo volentieri al Signore e ti benedico.
Padre Angelo