Le compagnie telefoniche per pubblicizzare il regalo dei giga, gridano e lanciano tormentoni simili: “goditi le tue passioni senza limiti….”, un senso simile lo ricaviamo dai molti interventi recenti di vescovi e sacerdoti vicini al pensiero di Papa Francesco, o che di questo pensiero se ne fanno portavoce ipotizzando e interpretando, ma molti interventi dello stesso pontefice si avvicinano a questa erronea interpretazione della felicità e della carità. Il problema è complesso perché non ha origine oggi, ed è uno dei frutti più velenosi di quel Modernismo condannato da San Pio X del quale, purtroppo, il gesuitismo modernista degli Anni ’50, con la squadra rahneriana e di Pedro Arrupe, se ne è fatto garante e portatore, vedi qui uno studio approfondito.
Carità e felicità sono atti ed atteggiamenti dell’unico comandamento dell’Amore di Dio, dell’Amore vero, autentico. Mentre la Carità è quell’atto che si esprime e si applica attraverso il comandamento divino, l’autentica felicità è il risultato che ne scaturisce. Non parliamo perciò di quella felicità legata alle passioni materiali e terrene, il Vangelo non esprime la felicità mondana, quella del mondo, quella legata alle passioni umane… così come la vera Carità espressa dal Vangelo, reca anch’essa qualcosa di “straordinario”, di soprannaturale legato alla GRAZIA, e non semplicemente a degli atti umani associati a delle soddisfazioni o rivendicazioni personali, o sociali: “Io non vi prometto di rendervi felici in questo mondo, ma nell’altro”, disse l’Immacolata Concezione a santa Bernadette, vedi qui.
La ragione fondamentale del primato della Carità, dell’Amore, è che “Dio è carità, amore” (1Gv.4,7-16) e di conseguenza è questa la nota caratteristica principale della Rivelazione di Dio che “manda il suo unico Figlio” per Amore, per carità verso la creatura impantanata nel fango del peccato, per tirarla fuori. Proprio questo Amor Divino – però – ci rammenta che per amare davvero il nostro prossimo nel modo giusto, e per trovare la vera felicità, dobbiamo “amare PRIMA Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, e così il prossimo….” (cfr.Mc.12,28-34), lo stesso sant’Agostino ha spiegato bene l’insegnamento dei Vangeli, vedi qui. Ricordiamo anche l’enciclica di Benedetto XVI: Deus Caritas est, vedi qui.
Cristo stesso, spiega San Paolo, “vive in noi” mediante la Carità, e se noi ci convertiamo al Cristo, Egli allora “vive in noi mediante la Carità”, in tal modo noi “rimaniamo in Dio, e Dio in noi”. Ed è sempre Gesù a spiegare come avviene: “Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete…. se avrete amore gli uni per gli altri ..”(Gv.13,31-35), l’atteggiamento di Giuda nel contesto del racconto, il traditore, è l’esempio chiaro dell’atteggiamento contrario.
Ma l’amore, la carità e la felicità – conseguenza di questo vero amore – di cui parliamo, esige alcuni elementi fondamentali senza i quali, parlare di carità e felicità, sarebbe “come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna..” (1Cor.13,1-8), parliamo del vero “Amor di Dio”, della vera Carità che mette in moto la vera “relazione” con Dio, l’unica vera relazione dalla quale – poi – scaturisce l’autentica felicità. Una felicità che viene dall’alto e non dal basso, come si pretenderebbe oggi.
Per Amare davvero Dio e perciò il prossimo come il Vangelo insegna, sono necessari questi elementi che tale Amore esige:
- Amore di riconoscenza: Dio non deve nulla a noi, piuttosto noi dobbiamo amare Dio non solo perché “è buono per noi”, ma perché in quanto Padre e Creatore Gli dobbiamo tutto, a cominciare dal dono della vita. A prescindere dal credere o non credere in Dio, l’Uomo in quanto tale deve tutto al Buon Dio che se anche non lo amasse per mancanza di fede, deve almeno portarGli rispetto e riconoscenza;
- Amore di compiacenza: non si ama Dio solo perché “è buono” o perché si sono ricevuti dei doni, lo si deve amare in modo del tutto gratuito per il semplice fatto che Egli “è”. Amare Dio per tutto ciò che ci circonda, dal creato alla natura, al prossimo, persino alla Croce, è l’amore di compiacenza, amore gratuito, è entrare in rapporto con Dio;
- Amore di benevolenza: da un amore di compiacenza, sviluppato poi in modo progressivo, si sviluppa e scaturisce il DESIDERIO di “piacere a Dio”. Vedere ad esempio nei Suoi Comandamenti non un continuo divieto, ma dei “sì” alla volontà di Dio, alla Sua legge. L’insegnamento perfetto a questo amore di benevolenza Gesù ce lo ha dato nel Getsemani: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà»(Lc.22,39-46).
Questa benevolenza si manifesta in più modi, ne segnaliamo due significativi: il primo è quello testimoniato da Gesù stesso, con la vera gioia che si prova della felicità di Dio e che sperimenteremo nel giorno della risurrezione. E’ per questo che il giorno di Pasqua noi già “avvertiamo” il trionfo del Cristo e, come insegnano i veri Santi, sperimentiamo quel dolore e quella tristezza di “saperLo offeso”, si piangono non soltanto i propri peccati commessi, ma si prova tristezza anche per i peccati commessi dal prossimo, come le vicende di Fatima ci insegnano… Il secondo modo significativo è lo zelo per trovarsi al servizio di Dio, nella Sua vigna. L’amore di Dio, infatti, non è l’aggrovigliarsi di buoni sentimenti, ed è quanto Gesù ha letteralmente preteso dai Suoi Discepoli, fino al sacrificio della propria vita. E’ lavorare concretamente per far regnare Dio nelle Anime, nella nostra e in quelle del prossimo.
Il Catechismo dei Santi ci insegna poi come questo autentico Amor divino – e questa carità, questa autentica felicità – ha dei “gradi” molto specifici:
– l’amore di riconoscenza può essere inferiore all’amore di compiacenza. Nel primo infatti, il motivo non è sempre così disinteressato, si ama Dio “perché è buono per noi” e San Tommaso d’Aquino parla di “carità imperfetta”. Nel secondo caso, di compiacenza, il motivo è disinteressato: amiamo Dio “perché è buono in Sè“, allora è carità perfetta. L’Atto di Carità che professiamo, lo spiega chiaramente: «Domine Deus, amo te super omnia et proximum meum propter te, quia tu es summum, infinitum, et perfectissimum bonum, omni dilectione dignum. In hac caritate vivere et mori statuo. Amen.» “Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perché sei bene infinito e nostra eterna felicità; e per amore tuo amo il prossimo come me stesso, e perdono le offese ricevute. Signore, che io ti ami sempre più”. La vera felicità è lasciarsi possedere da Dio.
Seguono poi tre stadi di intensità attraverso i quali amare Dio:
- fino a non commettere alcun peccato mortale;
- fino a non commettere più alcun peccato veniale; ricadendo nei quali si intensifica la confessione, la penitenza, il rimedio;
- fino a vivere per soddisfare tutti i desideri di Dio (cfr Gal.2,16-20), fino al martirio.
Infatti il peccato mortale esclude la carità dall’anima. Dio non abita affatto in un’Anima afflitta dal peccato mortale, come certo insegnamento pastorale oggi, erroneamente affermerebbe… L’autentico Amor divino non può affatto bearsi in un’anima deliberatamente, o meno, peccatrice. Il peccato veniale non esclude l’Amor divino, ma se questo diventasse abituale, condurrebbe a quello mortale, rendendo vana la Grazia. L’Amor di Dio dà luogo alla Grazia di santificare l’anima che l’accoglie. Cacciato il peccato mortale, gradualmente si caccia via anche il peccato veniale, specialmente quello deliberato; poi si lotta quotidianamente contro il peccato di debolezza, le imperfezioni, i vizi, le tentazioni con lo scopo di “compiacere Dio”, questo è l’autentico combattimento e la vera carità, dal quale deriva, quale premio e conseguenza, la vera felicità.
E’ il Vangelo che lo dice, amare Dio “sopra ogni cosa” – «Chi osserva i Miei Comandamenti, è colui che Mi ama..»(Mc.12,28-34).
“Come si dovrebbe amare Dio al di sopra di tutte le cose?” Amare Dio sopra ogni cosa significa: ‘Amare Dio al di sopra di ogni Legge’.
Per capire ciò, si deve comprendere che la legge, in sé e per sè (Rm.3,31 e Apoc.14,12), non è altro che una via “imposta” che porta al vero e proprio “Amor Divino” (Gal.3,19-25). Però, chi comincia ad amare Dio nel suo cuore si è inserito nel percorso, nella Via che è Cristo stesso (Gv.14,6); perché chi ama Dio solo attraverso l’osservanza della Legge, egli è con il suo amore ancora un viaggiatore sulla via nella quale non nasce nessun frutto e dove, non di rado, briganti e ladri stanno in attesa del viandante. Il perché lo dice il Signore stesso: “Io sono la Via, la Verità e la Vita!”… Io stesso sono quell’unica Porta, quella “legge”.
Si approfondisca la catechesi di Benedetto XVI nell’udienza generale del 19/11/2008 e quella del 26 novembre 2008.
Vediamo, infine, le manifestazioni di questo autentico “Amor divino”.
La Preghiera
Avviene così la Preghiera di riconoscenza, la Preghiera di Lode, la Preghiera di benevolenza e di supplica. Ancora una volta sono i Santi i veri Maestri, loro ci insegnano come si Prega e la Chiesa stessa ce li addita come modelli e affidabili Discepoli del Cristo. La Chiesa stessa ci insegna come pregare, il Rosario, o la preghiera del Breviario sono un esempio concreto, l’Adorazione Eucaristica con le Preghiere che si dicono ci indicano quel senso di lode e di gratitudine che dobbiamo a Dio, nel Pater Noster ricordiamo quella dovuta benevolenza che dobbiamo al Padre “Sia santificato il Tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà…”
L’Obbedienza
Oggi c’è molta confusione su questo atteggiamento – clicca qui, ed anche qui per saperne di più. L’Amore di Dio non si prova con le parole e con i sentimentalismi, con i sincretismi o con il popolare “volemose bene”… ma con le opere e la prima vera opera è la premura di compiacere Colui che si ama. Se amiamo Dio per davvero, faremo di tutto per compiacere ciò che a Lui piace, a cominciare dall’osservanza ai suoi Dieci Comandamenti, dal rinunciare al peccato…. «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità….»(1Gv.3,18), anche le opere devono essere compiute “nella verità”, diversamente è perdere di credibilità: «E in questo sta l’amore: nel camminare secondo i suoi comandamenti…..»(2Gv.1,6).
Di conseguenza, l’autentica obbedienza si manifesta soprattutto con la fuga dal peccato mortale, con il combattimento contro il peccato veniale, con la battaglia contro le tentazioni, in sostanza è il Vangelo stesso, tutto il Nuovo Testamento che ci indica la seguente via per capire se siamo davvero obbedienti a Dio:
– l’osservanza ai Comandamenti di Dio e ai Precetti e ai Sacramenti stabiliti dalla Chiesa attraverso i quali siamo aiutati a tale osservanza;
– la fedeltà ai doveri del proprio stato: sia se sposati attraverso il Sacramento del Matrimonio, sia se consacrati al Signore attraverso il Sacramento dell’Ordine Sacro (il sacerdozio) o della consacrazione aggregati a qualche Ordine religioso; sia se impegnati nel mondo, in modo laico, e in qualche modo nella vigna del Signore;
– la docilità alle ispirazioni della Grazia attraverso l’obbedienza ai propri superiori;
– accettazione delle prove della Divina Provvidenza, specialmente a riguardo della propria salute, e della personale situazione in rapporto ai superiori;
– la pratica dei consigli evangelici che ci conduce, alla fine, alle 14 Opere di Misericordia – 7 corporali e 7 spirituali – vedi qui, e quindi all’Amare il prossimo, per davvero.
Oggi va tanto di moda ribaltare queste priorità, si mette al primo posto il prossimo, l’immigrante, il povero, poi – forse – viene Dio, qualunque “dio”, infine il proprio peccato… dimenticando che rimanendo deliberatamente nel proprio peccato, non solo si offende Dio fino a commettere dei veri peccati mortali, sacrilegi e profanazioni, ma finendo anche per rendere vana ed inutile ogni “opera di misericordia”, vedi qui, ed anche qui. Del resto così spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica: n.1849 Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana. È stato definito «una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna».
Se uno è “operatore di iniquità” e non si converte cambiando la propria condotta, non saranno le opere a salvarlo (cfr Ezech.3, 18-21), e neppure la straordinaria capacità di “cacciare i demoni” nel nome di Cristo…. (Mt.7,21-29), ci aveva provato Lutero a modo suo, ma ben conosciamo i frutti velenosi che ha portato. Ciò che era peccato “ieri” è peccato anche oggi e la sovrabbondanza della misericordia di Dio in Cristo Gesù, ci raggiunge nel grado in cui ci pentiamo del nostro peccare, ci convertiamo a Cristo e cerchiamo di cambiare condotta, ogni altra scusa tendente a giustificare il peccato è bestemmia e aberrazione nei confronti della morte di Cristo in Croce, per noi. Chiunque giustifica il peccato e lascia il peccatore tranquillamente nel suo peccare, è operatore di iniquità. Diverso è prendersi cura del peccatore per aiutarlo, con la carità, ad uscire dal suo stato di peccatore impenitente. E’ un po’ come il medico il quale, dopo aver saputo che il suo paziente è afflitto da una grave malattia, se è persona onesta, non gli nasconderà il suo stato e farà di tutto per aiutarlo ad uscire dalla sua situazione; se il malato è persona intelligente e sincera, farà di tutto per seguire le indicazioni del medico.
Fare il vero bene è indicativo anche nelle opere di misericordia corporali e spirituali, è necessaria la retta intenzione, non bisogna essere vanitosi nel dare, non sperare alcun guadagno personale, e capire che fare il vero bene è spesso un grande sacrificio. Nell’Imitazione di Cristo si legge: “non è il tuo dono che io desidero, ma te…” e a lungo andare, chi fa il vero bene, non può continuare a fare peccati perché la contraddizione sarà talmente forte da essere impossibile il non rendersene conto.
Laudetur Jesus Christus