Cooperatores Veritatis

Mi è stata data una spina nella carne (2Cor 12,7)

Menu

Vai al contenuto
  • Home
  • Dottrina
    • Padri e Dottori
    • Teologia
  • Catechesi
    • Catechist’s Mail
  • Apologetica
    • Biblioteca
  • Mariologia
    • Apparizioni
  • Liturgia
    • Crisi liturgica
  • Oremus
  • Santi e Beati
    • Testimoni
  • Interviste
  • Don Camillo
    • Serafino Lanzetta
    • Alfredo M. Morselli
    • Padre Brown
    • Antonio Livi
    • Carlo Caffarra
    • Francesco Marino OP
    • Riccardo Barile OP
    • Giorgio Bellei
    • Leonardo Ricotta
    • Stefano M. Manelli
  • Dossier
    • Falsi profeti
    • Karl Rahner
    • Mario Palmaro
    • Il Matrimonio
    • Il Celibato
    • Fare chiarezza
    • I Gesuiti
    • Il caso Valtorta
  • Storia
    • Curiosità
  • Vitam Ecclesia
  • Magistero dei Papi
  • Ratzinger
    • Vita
    • Magistero
    • Scritti
    • Pensieri
    • Gesù
    • A-Dio Benedetto XVI (1927-2022)
  • Fatima (1917-2017)
  • Dottrina in rima
  • Video
    • SoundCloud
  • E-books
  • Download
  • Appelli
  • Eventi
  • Donazioni
  • Contatti
  • RadioRomaLibera.org

Difesa “scientifica” della verità cattolica sui sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell’Eucaristia

8 novembre 201522 giugno 2016Cooperatores Veritatis Staff

Il teologo domenicano padre Cavalcoli ha preso atto delle precedenti osservazioni di monsignor Antonio Livi e in alcuni punti riconosce la validità dei suoi argomenti, ma in un successivo articolo su isoladipatmos.com insiste ancora sulla sua posizione a difesa della proposta “pastorale” di consentire ufficialmente l’accesso ai sacramenti anche ai fedeli che hanno divorziato dal legittimo coniuge e poi hanno contratto un matrimonio civile. Monsignor Livi è dunque costretto a tornare sull’argomento nell’articolo.

Difesa “scientifica” della verità cattolica sui sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell’Eucaristia. Contro quelle proposte di riforma che pretendono di imporsi all’opinione pubblica, non con argomenti teologicamente fondati ma con sofismi e vuota retorica.

di monsignor Antonio Livi (08-11-2015)

Come ho spiegato fin dall’inizio nel dare vita all’Unione Apostolica Fides et ratio, essa è impegnata in una difesa “scientifica” – e pertanto non ideologica, non retorica, non faziosa – della verità cattolica. Ora, si può considerare “scientifica” un’argomentazione teologica solo quando parte dal dogma — riconosciuto come verità assoluta – e da lì trae ipotesi di interpretazione che, da un punto di vista rigorosamente logico, siano compatibili con il dogma. Ogni argomentazione che parta da altri principi (ossia, da principi non teologici, in quanto non contenuti formalmente nel dogma) non può avere l’autorevolezza che compete alla “scienza della fede”, così come non può avere questa autorevolezza un’argomentazione che, pur partendo correttamente dal dogma, ne trae ipotesi di interpretazione illogiche, incoerenti o ambigue. Ho dovuto riscontrare ambedue questi difetti nella replica di padre Cavalcoli, e ciò mi costringe a degli ulteriori chiarimenti a difesa del retto modo di trattare la dottrina cattolica dei sacramenti, contro i sofismi e la retorica che oggi confondono la coscienza di molti fedeli.

Peraltro, sofismi e retorica hanno prodotto gravi danni dottrinali in questo periodo della vita della Chiesa; non pochi, tra i protagonisti del Sinodo e tra i commentatori esterni, si sono intromessi in un dibattito che avrebbe dovuto essere esclusivamente teologico (perché ci si interrogava su quale dovesse essere la prassi pastorale più confacente alle necessità della famiglia cristiana nel nostro tempo) per fare propaganda dei tanti loro progetti di riforma della Chiesa in senso secolaristico, anti-dogmatico e anti-giuridico. Il background di tutti questi progetti è l’ideologia dell’umanesimo ateo, che io da tempo vado denunciando in riferimento ai discorsi del cardinale Walter Kasper e dei tanti suoi seguaci, come Enzo Bianchi. Il fine ultimo dei provvedimenti “pastorali” suggeriti da questa agguerrita corrente ideologica è il “superamento” (in pratica, la soppressione) dei principi dogmatico-giuridici sui sacramenti e sulla morale contenuti nei grandi documenti dottrinali della Chiesa (non della Chiesa pre-conciliare, si badi, ma proprio della Chiesa post­conciliare), cominciando con l’enciclica Humanae vitae del beato Paolo VI (1968) e finendo con l’esortazione apostolica Familiaris consortio di san Giovanni Paolo II (1981), cui mi preme aggiungere — per i motivi teologici che si vedranno più avanti – l’enciclica Veritatis splendor (1993), sempre di san Giovanni Paolo II. All’opinione pubblica cattolica è stato fatto credere che la proposta di abolire le norme vigenti sull’accesso dei “divorziati risposati” ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia sia quella che meglio risponde ai desideri di papa Francesco, il quale, a detta di quasi tutti, si aspettava dal Sinodo il consenso dell’episcopato mondiale proprio su queste genere di riforme.

Chi si adoperava per questo consenso, come ad esempio il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo metropolita di Ancona-Osimo, non esitava a dire, nel corso di un’intervista a Tv2000, l’emittente televisiva della Conferenza Episcopale Italiana, che

«[tra i padri sinodali] c’è una grande sensibilità d’apertura: questi fratelli non sono fuori della Chiesa, perché sono battezzati, non dobbiamo reintegrare qualcuno. L’importante è ricominciare ad offre a questi fratelli un accompagnamento che traduce la passione della Chiesa per i suoi figli. Un accompagnamento che diventa anche istruzione, invito alla conversione con modalità adatte quella specifica coppia» (cfr I tempi cambiano, dobbiamo tenere il passo: Bergoglio apre ai progressisti, in Libero, 24 ottobre 2015, p. 15).

L’espressione volutamente ambigua «questi fratelli non sono fuori della Chiesa, perché sono battezzati, non dobbiamo reintegrare qualcuno», se presa alla lettera, contraddice il dogma del Battesimo, che rende membra vive del Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa, Cristo attraverso la grazia santificante, che si perde con il peccato mortale e rende necessario il ricorso al sacramento della Penitenza, definito come un “secondo Battesimo”. Alla luce di questa serissima verità dogmatica, la sollecitudine pastorale di un vescovo dovrebbe spingere a trovare i modi di recuperare alla grazia quei fedeli, che solo “anagraficamente” (o meglio, in potenza”) appartengono alla Chiesa, che il Vaticano II definisce «sacramento universale di salvezza». Ma, a parte questo ambiguo orizzonte dogmatico, il discorso di Menichelli (eco fedele dei discorsi di tanti altri, anche più autorevoli di lui), con tutta la sua retorica sentimentale («la passione della Chiesa per i suoi figli»), non riesce a nasconde la gravità della riforma pastorale cui si vorrebbe arrivare, che in sostanza consisterebbe in questo: nuove facoltà ai vescovi per assicurare ai conviventi, non singolarmente presi ma proprio in quanto stabilmente conviventi («quella specifica coppia»), che per loro adesso non vale più la dottrina morale della Chiesa universale ma la “bontà” del vescovo, che non chiede più a ognuno di essi di uscire personalmente da una situazione di peccato qualora desiderino ricevere validamente l’assoluzione sacramentale ed essere in condizioni di poter fare la comunione eucaristica.

Padre Giovanni Cavalcoli ha fatto ricorso alla medesima retorica e ai medesimi sofismi da quando iniziò la sua polemica contro di me e contro altri ecclesiastici e laici intervenuti a criticare questa ipotesi di riforma. Nemmeno la ultima replica (cfr GIOVANNI CAVALCOLI, “Disputationes theologicae” — Replica di Giovanni Cavalcoli alla critica di Antonio Livi, in isoladipatmos.com, 2 novembre 2015) ha addotto argomenti validi, e io ho l’impressione che la sua insistenza a difendere l’indifendibile sia motivata più da interessi ideologi che non da puro amore per la verità della fede, come ci si aspetterebbe da un teologo di chiara fama come egli effettivamente è stato finora.

Parlare di “stato di peccato” costituisce un “giudizio temerario”?

All’origine delle polemiche di Cavalcoli nei miei confronti c’è il fatto che io ho usato l’espressione “stato di peccato” in riferimento alla dottrina della Chiesa sulla condizione di quei battezzati che, dopo aver celebrato in chiesa il loro matrimonio, poi si sono separati dal coniuge chiedendo e ottenendo dalla Stato il divorzio, e ora convivono con una persona diversa dal legittimo coniuge; secondo la legge morale e canonica vigente, ognuno di questi battezzati ha perso con i suoi peccati lo stato di grazia santificante che gli è stato conferito inizialmente dal Battesimo e che si può recuperare solo con la Penitenza, la quale però richiede il pentimento efficace, ossia, in questo caso, la decisione di interrompere la relazione adulterina e di rimediare allo scandalo provocato nella Chiesa con il proprio divorzio e con il susseguente matrimonio civile. Prima di ottenere una valida assoluzione sacramentale, nessuno di costoro può sentirsi in coscienza autorizzato a ricevere il sacramento dell’Eucaristia, anche se qualche ecclesiastico imprudente dovesse consigliarlo di farlo in nome di una nuova legge della Chiesa che ancora non esiste e che mai esisterà (perché sovvertirebbe la sostanza dogmatica della morale cristiana). L’espressione “stato di peccato” l’ho usata per rifarmi appunto a queste verità dottrinali, che costituiscono il motivo teologico (l’unico motivo) per cui vado ripetendo in ogni occasione (a cominciare dal mio libro Dogma e pastorale), che sono teologicamente inammissibili le proposte di riforma, da chiunque formulate, che pretendano di “autorizzare” i cosiddetti “divorziati risposati” a fare la Comunione anche senza una valida Confessione. Nessun artificio retorico e nessun ragionamento sofistico mi possono far credere che sia possibile sovvertire la legge morale della Chiesa, ribadita dalla Familiaris consortio, in base alla quale risulta che queste persone non solo hanno commesso degli atti contrari alla legge di Dio (peccati mortali) ma hanno anche istituito dei nuovi rapporti pubblici e stabili, contraendo un matrimonio civile dopo aver chiesto e ottenuto dallo Stato il divorzio dal precedente matrimonio religioso, che però è l’unico valido per i battezzati e che è indissolubile; ora, tali rapporti pubblici in dispregio della legge divina e delle leggi della Chiesa sono di scandalo per gli altri fedeli (e lo scandalo è un peccato contro la carità) ed equivalgono a una professione di indifferenza nei confronti del dogma cattolico (peccato contro la fede), e per tali ragioni la Chiesa considera giustamente queste persone come in “stato di peccato”, ossia in una situazione oggettiva che li priva della grazia di Dio e che non consente loro di ricevere l’assoluzione sacramentale se non dopo aver mostrato al confessore segni concreti di conversione (pentimento interiore e riparazione esteriore), il che consentirebbe loro di tornare a uno “stato di grazia” e di potersi accostare alla Comunione. Alla luce di tutto ciò è giusto, anzi doveroso parlare, come ho fatto io, di uno “stato di peccato mortale”. Il fatto di richiamare questa dottrina teologico-morale non rappresenta assolutamente un giudizio sulla coscienza di singole persone ma è un servizio alla catechesi in quanto ricorda a tutti gli interessati (fedeli e Pastori) quale sia la “fattispecie” già definitivamente stabilita dalla Chiesa su questo argomento.

Ma Cavalcoli, che fin dall’inizio mi accusa di emettere “giudizi temerari” (accusa pesante, perché il giudizio temerario è un peccato grave contro la prudenza, contro giustizia e contro la carità fraterna), invece di ritirare l’accusa insiste a giustificarsi passando da piano all’altro e da un argomento all’altro. In precedenza, per contraddirmi, aveva scritto che «il peccato è sempre e solo un atto, mai uno stato»; adesso sembra fare retromarcia, ma poi rincara la dose:

«Ho già spiegato altrove che cosa si può intendere per “stato di peccato”. Comunque lo ripeto. Se per “stato di peccato” si intende che i conviventi, in forza della sola e semplice situazione, nella quale si trovano, sono permanentemente e necessariamente, ventiquattr’ore su ventiquattro, privi della grazia di Dio, come fossero anime dannate dell’inferno, quasi con la pretesa di scrutare l’intimo delle coscienze noto solo a Dio, ebbene, non c’è dubbio che questo sarebbe un giudizio temerario. Se invece con la detta espressione si intende la situazione stabile, che può essere indipendente dalla volontà dei due, nella quale essi sono portati facilmente a peccare, l’espressione può essere accettabile, però può apparire equivoca e può condurre a intenderla nel primo significato. Meglio parlare di “situazione pericolosa”, oppure usare il termine giuridico di “unione irregolare” o quello morale di “illecita”».

Cavalcoli, nella foga della polemica, introduce elementi concettuali assurdi, oltre che assolutamente estranei alla materia della quale si tratta («come fossero anime dannate dell’inferno»), per continuare ad attribuirmi la «pretesa di scrutare l’intimo delle coscienze noto solo a Dio»). Così pensa di poter sviare l’attenzione dei lettori dalle ragioni teologiche in base alle quali io ritengo inaccettabile ogni ipotesi di riforma della pastorale che preveda il “permesso” di fare la Comunione anche a quelle persone che non hanno ricevuto l’assoluzione sacramentale perché non vogliono uscire dallo stato di peccato mortale conseguente al divorzio e al susseguente matrimonio civile. Questa mia tesi di teologia sacramentaria non presuppone alcuna pretesa, da parte mia, di «scrutare l’intimo delle coscienze». Direi piuttosto che una pretesa del genere fa parte proprio del discorso di Cavalcoli: la nuova legge che egli sponsorizza prevede infatti che qualcuno (il confessore o il vescovo) presuma di avere la possibilità di «scrutare l’intimo delle coscienze» e utilizzi questa impossibile “scientia arcani” per concedere a un fedele che si trovi in una oggettiva situazione di peccato il “permesso” di fare la Comunione in quanto soggettivamente perdonato da Dio “in forma extrasacramentale”. Qui la contorsione sofistica raggiunge il colmo: la rinuncia della Chiesa ad amministrare con la massima prudenza pastorale tutti i sacramenti, evitando di metterli a rischio di invalidità e di profanazione, dovrebbe avvenire “a norma di legge”, a seguito dell’auspicata abolizione delle norme canoniche che la Chiesa ha stabilito come unica possibile applicazione pastorale del dogma. Ma su questo punto tornerò più avanti.

Ora osservo che il teologo domenicano si ostina a non prendere atto di una fondamentale distinzione che io gli ho ricordato: la distinzione tra “fattispecie” (evento ipotetico considerato in astratto, che può essere soltanto congetturato) e “fatto” (evento concreto che nella realtà storica è oggetto di esperienza soggettiva e intersoggettiva). Se egli tenesse conto di questa logica distinzione non continuerebbe ad accusare di “giudizi temerari” chi, come me, si limita a ricordare che, in base alla dottrina del Magistero, i battezzati che hanno divorziato e hanno istituito una pubblica convivenza adulterina sono oggettivamente (quanto all’oggetto morale dell’azione libera e responsabile) in stato di peccato mortale. Io non faccio che enunciare (riprendendola alla lettera dalle leggi morali della Chiesa) una fattispecie di situazione di peccato, senza volere e senza poter giudicare la coscienza delle persone “in carne e ossa” che si trovano in quella situazione. E Cavalcoli stesso ha riconosciuto, in altre occasioni, che il ricorso alla fattispecie è essenziale all’enunciato di una legge. E dovrebbe anche sapere che il legislatore, in quanto tale, non è un giudice: il legislatore deve solo prevedere e prescrivere il faciendum, specificando il premio spettante a chi vi si adegua e il castigo spettante a chi vi si ribella, mentre il giudice deve esaminare il factum per sanzionarlo equamente con premi o castighi. La legge di Cristo, anche proprio in relazione all’amministrazione dei sacramenti, viene enunciata nel Vangelo con questa logica, che è evidente a tutti nella stessa espressione linguistica, lì dove il Signore ordina agli Apostoli: «Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e si farà battezzare sarà salvo, chi non crederà sarà dannato» (Vangelo secondo Marco, c. 16, 15-16).

A un certo punto della sua replica sembra che Cavalcoli si senta obbligato a ritrattare le sue accuse e mi dia ragione:

«Non ho mai detto che il peccato non dia origine a uno stato o condizione permanente nell’anima. Sostengo proprio il contrario, ossia quel che sostiene Antonio Livi. Ho detto semplicemente che il peccato non va confuso con la situazione conseguente al peccato stesso, situazione di colpa, che può essere più o meno durevole. I conviventi infatti possono e devono far cessare volontariamente in qualunque momento tale situazione interiore col pentimento, mentre si può dare l’impossibilità di interrompere la convivenza. Di fatto però uno dei due si può pentire e l’altro no».

Ma Cavalcoli restringe indebitamente la fattispecie dello “stato di peccato” alla convivenza more uxorio (oggettivamente adulterina) tra persone che hanno divorziato dal legittimo coniuge. Con questa indebita restrizione della materia egli non tiene conto di tutte le altre gravissime responsabilità morali cui ho prima accennato, e poi finge di ignorare che la responsabilità morale è personale: non esiste una responsabilità di coppia, e quindi non esiste nemmeno la possibilità (prospettata, come abbiamo visto, dall’arcivescovo di Ancona) di “assolvere” la coppia come un unico soggetto morale. Ostinata giustificazione di una prassi pastorale che a parole rispetterebbe il dogma ma di fatto lo contraddirebbe.

Cavalcoli, che negli ultimi tempi, nella sua polemica contro i “lefebvriani” ha preteso che siano considerati «infallibili» gli insegnamenti del Vaticano II, che pure ha voluto presentarsi come un Concilio non-dogmatico (“pastorale”), adesso pretende che siano considerati «in fallibili» anche tutti gli insegnamenti contenuti nel magistero ordinario, non-dogmatico ma meramente “pastorale”, di questo Papa. Allo stesso tempo, per giustificare i cambiamenti “disciplinari” (ma tali da implicare una radicale riforma dottrinale) che egli suppone e presuppone che il Papa voglia introdurre nella prassi pastorale sulla famiglia, Cavalcoli pretende che sia considerato meramente “pastorale”, e quindi riformabile, il magistero di san Giovanni Paolo II sul matrimonio: magistero che invece è indubbiamente dogmatico nelle intenzioni e nella materia, essendo questa già definita in termini teologico- morali irriformabili dalla Scrittura e dal Concilio di Trento. Si tratta insomma della legge di Dio, interpretata autorevolmente e proposta infallibilmente dalla Chiesa. Ciò nonostante, Cavalcoli, per quanto riguarda il sacramento del matrimonio e l’accesso ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia da parte di quei fedeli che vivono nel concubinato e non vogliono cambiare il loro stato di vita, insiste a dire che la Chiesa può e deve cambiare questa legge, considerandola di indole meramente “disciplinare”, quindi accidentale e provvisoria, quando invece si presenta come fondamentale e perenne.

«Cristo ci comanda di nutrici del Suo corpo. Questa è legge divina. Ma ci sono tanti modi per poterla o non poterla applicare. Egli infatti ha affidato a Pietro [Mt 16, 19] il compito di regolamentare, determinare o stabilire in dettaglio chi, come, quando, dove, in quali circostanze, a quali condizioni e perché consentire o proibire alle varie categorie di fedeli l’accesso alla Comunione eucaristica. Non vedo che cosa ci sia di strano in questa prassi, che la Chiesa adotta da sempre a sua discrezione per mandato stesso del Signore».

Non si tratta affatto di “dettagli” ma dell’essenza stessa della legge morale circa lo “stato di grazia” necessario per ricevere la Comunione e circa le condizioni spirituali necessarie per ricevere l’assoluzione sacramentale e tornare così in uno “stato di grazia” dopo il peccato.

Le analogie che Cavalcoli adduce (sofisticamente) per equiparare la riforma da lui auspicata a meri ritocchi rituali o disciplinari non sono assolutamente accettabili da un punto di vista teologico:

«Se una legge ecclesiastica ne contraddice un’altra, non c’è da allarmarsi. Si potrebbero indicare mille esempi di ciò nella storia della legislazione ecclesiastica. Si pensi solo alla proibizione fatta alla donna per millenni di servire all’altare, proibizione che è stata superata col concedere alla donna di proclamare le Letture della Messa o di distribuire la Comunione ai fedeli. Quindi non c’è da scandalizzarsi o da fare un dramma, se su questo punto la Familiaris consortio verrà mutata. Quante leggi la riforma attuata dal Concilio Vaticano II ha abolito o mutato, trattandosi di leggi ecclesiastiche e non divine».

In mancanza di serie ragioni teologiche per giustificare la possibilità e la convenienza di quella che sarebbe una vera e propria “rivoluzione”, Cavalcoli si fa sempre scudo della pretesa intenzione di papa Francesco di procedere in questa direzione: io, da parte mia, mi limito a ribattere che le intenzioni più o meno segrete di un Papa non sono ancora una legge (la legge è tale solo se il legislatore la promulga, ossia la espone ufficialmente e con l’intenzione di obbligare), e nessun Papa può mai cambiare quelle leggi già promulgate che sono definitive e irriformabili.

Dogma e pastorale nell’amministrazione del sacramento della Penitenza

Ma non è questa l’unica incongruenza teologica. Cavalcoli vuole che la nuova disciplina sacramentale preveda che “in foro interno” si possa autorizzare un fedele a fare la Comunione «anche se non ha potuto ottenere l’assoluzione», proprio mancanza dei requisiti della vera contrizione e proposito di uscire dalla situazione illegittima. Di questi requisiti, come ho detto, è giudice il sacerdote confessore, il quale opera nel foro interno, ossia durante il colloquio al confessionale. Ma può egli, allo steso tempo, negare al fedele e l’assoluzione sacramentale — per oggettiva mancanza dei requisiti stabiliti dalla legge divina ed ecclesiastica sul sacramento della Penitenza – e al tempo stesso “autorizzarlo” a fare ugualmente la Comunione in quanto soggettivamente convinto che tale penitente sia stato assolto da Dio “direttamente”, ossia per via extrasacramentale? Forse il pensiero di Cavalcoli non è questo, ma le parole, nel contesto ambiguo della proposta di Kasper e di quella di Cavalcoli, danno a intendere proprio questo, e allora bisogna rifare un discorso chiaro su che cosa compete al confessore.

Di che cosa è giudice il confessore? Egli non è chiamato a giudicare se un comportamento del fedele è o non è peccato (questo lo stabilisce la dottrina della Chiesa, e il confessore può solo ricordarlo in fase di opportuna istruzione del penitente perché faccia bene il suo esame di coscienza). Ma è invece chiamato a giudicare se il penitente è nelle condizioni spirituali necessarie per ottenere da Dio il perdono dei peccati dei quali si confessa; in altri termini, il confessore, per concedere o negare legittimamente e validamente l’assoluzione, deve verificare (nel colloquio riservato in sede di celebrazione liturgica del sacramento della Riconciliazione) i requisiti stabiliti dalla legge divina ed ecclesiastica circa gli “atti del penitente”. Alla luce di questa dottrina dogmatica, confermata anche dai documenti del magistero ecclesiastico in applicazione delle direttive pastorali del Vaticano II (cfr san Giovanni Paolo II, esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et poenitentia, pubblicata il 2 dicembre 1984), appare davvero sofistico il tentativo di Cavalcoli di escogitare altri modi per giustificare, ancora una volta, la proposta di una riforma pastorale che comporti la “concessione” della Comunione ai fedeli che si trovano nella situazione di peccato di cui si è parlato finora.

«La legge o meglio la concessione o permesso che può essere auspicato della Comunione ai divorziati risposati in casi speciali, lascia al fedele di riconoscere se egli si trova nello stato di grazia necessario per accedere alla Comunione. È ovvio che vale sempre quel precetto del Concilio di Trento, dato che si fonda addirittura sulle parole di San Paolo. Solo che nel nostro caso la Chiesa potrebbe permettere ai divorziati risposati di verificare ogni volta essi stessi, come deve fare ogni buon fedele, se sono o non sono nelle condizioni interiori adatte per poter fare la Comunione. A questo punto, è chiaro che la Chiesa potrebbe e dovrebbe conceder loro anche la confessione sacramentale».

Sembra proprio un groviglio di contraddizioni, reso ancora più inestricabile dal successivo tentativo di Cavalcoli ridare un certo ordine logico al suo discorso:

«Se la Chiesa nega ai divorziati risposati i Sacramenti, essa non ha potere sulla grazia extrasacramentale, che Dio riserva solo ai disegni misteriosi della sua misericordia. Non occorre che il divorziato risposato mostri al confessore il pentimento: basta che li manifesti a Dio. Tuttavia, nel caso che la Chiesa concedesse la Comunione, dovrebbe concedere anche la Confessione».

Purtroppo, invece di riportare un po’ di ordine logico nel suo discorso, padre Cavalcoli si contraddice di nuovo sul punto fondamentale della discussione. Prima aveva detto che «non occorre che il divorziato risposato mostri al confessore il pentimento: basta che li manifesti a Dio», poi invece riconosce che è vero quello che io dicevo, ossia che il confessore deve giudicare se il penitente è ben disposto a ricevere il perdono di Dio nel sacramento della Riconciliazione:

«Il confessore ha d’ufficio la facoltà di discernere e giudicare se nel penitente esiste o no la buona volontà, in base al modo di accusarsi dei peccati ed ai segni che dà di pentimento e di fiducia nella misericordia divina. E il penitente stesso, illuminato dalla sua fede, dopo un opportuno esame di coscienza, in base alla testimonianza della buona coscienza, è qualificato a dichiarare a chiunque con parresia la propria innocenza davanti a Dio, rimettendosi, sull’esempio dell’Apostolo, al giudizio divino, che scruta i cuori. Quanto al pentimento, esso è efficace, anche senza l’assoluzione sacramentale, perché provvede Dio a perdonarlo. Si auspica pertanto che la Chiesa conceda anche la confessione sacramentale».

Ossia, se ho ben capito, Cavalcoli “auspica” che la Chiesa conceda l’assoluzione extrasacramentale anche quando il confessore non ha potuto verificare se il penitente è nelle condizioni di riceverla. Basterebbe, secondo Cavalcoli, che costui dicesse alla comunità (con “parresia”, che vuol dire coraggio nella testimonianza della propria fede!) di essere stato già assolto direttamente da Dio. In realtà, in questi casi, la Chiesa dovrebbe solo lasciare all’interessato tutta la responsabilità, davanti a Dio, di quello che dice, non senza ricordagli, con autentica carità pastorale, che Dio stesso ha dato alla Chiesa la conoscenza certa delle condizioni oggettive necessarie per essere perdonati (tra queste, ad esempio, il proposito sincero e fattivo di uscire dal proprio stato di peccato e di riparare adeguatamente per le ingiustizie perpetrate e per gli scandali provocati), sicché quel fedele dovrebbe diffidare della sua presunzione di essere di novo in grazia di Dio anche senza il necessario pentimento.

Ecco allora dove si va a finire…

Subito dopo, mettendo da parte la possibile concessione dell’assoluzione sacramentale e della Comunione eucaristica anche a chi non è nelle condizioni per accedere né all’uno né all’altro sacramento, Cavalcoli passa a descrivere una Chiesa senza più dogmi né sacramenti né diritto canonico: una Chiesa che si “autogestisce” anarchicamente, preoccupata non tanto della vita interiore (la vita di grazia, di unione con Dio) dei singoli fedeli, quanto piuttosto dell’ambiente esteriore (fraterno, accogliente, inclusivo) della comunità locale:

«È necessario e sufficiente che il sacerdote controlli se il soggetto è pentito, se vuol correggersi, se vuol migliorarsi, se segue le sue direttive, se vuol far penitenza, se partecipa alla vita ecclesiale e civile, se cura il lavoro, la famiglia e gli amici. Può quindi proporgli un cammino spirituale ad hoc, che utilizzi i doni che Dio gli ha dato e le sue qualità umane al servizio del prossimo e della Chiesa. Quanto al vescovo, può eventualmente approntare un prontuario che, applicando le leggi generali della Chiesa per queste situazioni, offra direttive e consigli, soprattutto per i casi più difficili, ai confessori, alle guide spirituali, ai docenti, agli educatori, alle parrocchie, alle famiglie, agli istituti della diocesi su come condursi con queste persone, come accogliere il loro contributo umano e di fede, come aiutarle e correggerle fraternamente».

Concludo dicendo che ho voluto rispondere alle ultime repliche di Cavalcoli, non per ripicca personale ma per ribadire il carattere “scientifico” delle ragioni teologiche per le quali e io (assieme a molti autorevoli teologi, per non parlare di tanti esponenti della Gerarchia) ho giudicato inaccettabili, perché incompatibili con il dogma, le proposte di riforma della prassi della Chiesa cattolica avanzate dal cardinale Kasper e dai padri sinodali che hanno seguito quella sua impostazione. Sono ragioni teologiche la cui validità ancora più evidente dopo la polemica di Cavalcoli nei miei confronti, visto che egli ha cercato di smentirmi con argomenti che non esito a qualificare come sofistici e retorici, suggeritigli forse dalla necessità di dare man forte a una corrente ideologica all’interno della Chiesa attuale.

Fonte: fidesetratio.it

Condividi:

  • Tweet
  • Altro
  • WhatsApp
  • Telegram
  • Condividi su Tumblr
  • E-mail
  • Stampa
  • Pocket

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

Correlati

DonCamilloadulterio, Antonio Livi, Battesimo, concubinato, confessore, coscienza, Decalogo, disciplina, divorzio, dogma, dottrina, Edoardo Menichelli, eucarestia, Familiaris consortio, fornicazione, Gerarchia, Giovanni Cavalcoli, Giovanni Paolo II, Humanae Vitae, Kasper, legge morale, magistero, matrimonio, morale, Paolo VI, Papa Francesco, parresia, pastorale, peccato, peccato mortale, peccatori, penitenza, Reconciliatio et poenitentia, ripudio, sacramenti, sessualità, sofismi, stato di grazia, stato di peccato, teologia, Vaticano II, Veritatis Splendor, verità

Navigazione articolo

← Il “non possumus” di Mons. Athanasius Schneider. La voce di un intrepido Pastore
Udienza di Papa Francesco ai FFI /1^ prima →

Google Traduttore

Chi siamo

Ave Maria!
Siamo fieri di essere Cattolici Romani e cooperatori della Verità!

 

  • Facebook
  • Twitter
  • YouTube
  • Vimeo
  • Pinterest
  • Soundcloud
  • Telegram
  • Tumblr
  • Link
  • Link

Aggiornamenti Articoli

  • Discorso 46 di sant’Agostino ai Pastori che non fanno bene il loro dovere
  • Pio XI enc. Mit brennender sorge 14.3.1937 sulla purezza della dottrina cattolica in Germania e nel mondo
  • Se il Sinodo o sinodalità non porta la Verità tradisce la propria missione
  • Una scuola sull’Insegnamento sociale di Benedetto XVI. Con il cardinale Müller e il Vescovo Crepaldi
  • Polonia: arriva uno tsunami di fango “rosso” contro Giovanni Paolo II

Aggiornamenti Video

Canta che ti passa…

Calendario liturgico

Lo scopo del Calendario liturgico è quello di contenere le norme che disciplinano le ricorrenze e le celebrazioni di tutti i giorni dell’Anno liturgico.

 

AFORISMA

“Vi sono cristiani più che soddisfatti e senza la minima inquietudine di fronte alla nostra attuale situazione. Ma la loro soddisfazione non è secondo il volere di Cristo. Essa deriva da un compromesso con il mondo, da un rifiuto di guardarlo in faccia per paura di riconoscervi l’opera del demonio e di doversi ricordare della Croce di Cristo.”

— Padre Roger-Thomas Calmel, OP

Le nostre rubriche

Oracolo di Cooperatores Veritatis

Beata Suor Elena Aiello: Dio castigherà l’Italia e il mondo? Sembra proprio di sì…

Beata Suor Elena Aiello: Dio castigherà l’Italia e il mondo? Sembra proprio di sì…

Il 2 marzo scorso ricorreva il 100° anniversario della stigmatizzazione della Beata Elena Aiello. Vogliamo ricordarla elencando alcuni messaggi che ella ha avuto dal Cielo. Si tratta di messaggi drammatici, perché annunciano un grande castigo, ma pieni di speranza perché rimandano alla promessa di Fatima.

Concilio Vaticano II

Il Vaticano II, il concilio degli ideali da raggiungere

Il Vaticano II, il concilio degli ideali da raggiungere

Al Vaticano II ci furono molte idee che furono soprattutto ideali da raggiungere. Quando le idee però non sono ben setacciate e rimangono solo ideali si possono facilmente trasformare in ideologie.

Pius PP. XII

Papa Pio XII, Fatima e il “suicidio della fede”

Papa Pio XII, Fatima e il “suicidio della fede”

Il venerabile Pio XII fece un’impressionante profezia che in parte vediamo oggi realizzata ma che, nel suo contenuto più preoccupante, si apre ad un futuro che sembra non lontano da noi. Vediamo di cosa si tratta.

San Pio da Pietrelcina

Una Confessione per la conversione

Una Confessione per la conversione

Nastava una sola Confessione con padre Pio per cambiare la vita di qualcuno e questo non solo spiritualmente, ma anche materialmente.

Catholic PicQuotes

Catholic PicQuotes

Rassegna Stampa

Rassegna Stampa

Seguiteci anche su

Blogroll

  • Amici Domenicani
  • Antiquo robore
  • Apostoli di Maria
  • Ass. Alessandro Maggiolini
  • Aurea Domus
  • Corrispondenza Romana
  • Cultura Cattolica
  • Difendere la vera Fede
  • Dogma TV
  • Ecclesia Dei
  • Edizioni Fiducia
  • Edizioni Piane
  • Europa Cristiana
  • Fatima Oggi
  • FSSP
  • FSSPX
  • Gloria Dei
  • Il Cammino dei Tre Sentieri
  • Il Pensiero Cattolico
  • Il Timone
  • Istituto Cristo Re
  • La Nuova BQ
  • Lo Straniero
  • Maràna tha
  • Mons. Luigi Negri
  • Muniatintrantes
  • Osservatorio Card. Van Thuan
  • Radicati nella Fede
  • Radici Cristiane
  • Radio Buon Consiglio
  • Rossoporpora
  • Settimo Cielo
  • Sotto il cielo di Roma
  • Stella Matutina
  • Testi del card. Caffarra
  • Tradizione Famiglia Proprietà

Copyright

© 2022 Cooperatores-Veritatis.org

Archivi

Categorie

Statistiche del Sito

  • 2.590.726 visite

Classifica Articoli e Pagine

  • Discorso 46 di sant'Agostino ai Pastori che non fanno bene il loro dovere
  • Home
  • Sanctum Rosarium (in latino e in italiano)
Follow Cooperatores Veritatis on WordPress.com

Inserire l'indirizzo email per seguire il Sito e ricevere notifiche e aggiornamenti.

Unisciti a 765 altri iscritti
Crea un sito web o un blog su WordPress.com
  • Segui Siti che segui
    • Cooperatores Veritatis
    • Segui assieme ad altri 602 follower
    • Hai già un account WordPress.com? Accedi ora.
    • Cooperatores Veritatis
    • Personalizza
    • Segui Siti che segui
    • Registrati
    • Accedi
    • Copia shortlink
    • Segnala questo contenuto
    • View post in Reader
    • Gestisci gli abbonamenti
    • Riduci la barra
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: