Rahner, analisi critica di un mito

Il monolitico pensiero rahneriano (e quello di altri autori come lui) non tocca solo i contenuti dottrinali, ma lo stesso modo di concepire e fare teologia, alterato il quale si passa a revisionare completamente il “Depositum fìdei” alla luce dei nuovi presupposti: 1) rigetto del tomismo essenziale (contro il Concilio che invece indica di prendere San Tommaso come maestro degli studi teologici; cfr. Gravissimi Educationis, n° 10 a; Optatam Totius, n° 16), utilizzo di filosofie moderne spesso ostili o inadeguate al dato rivelato, per creare una “nuova e altra teologia” che faccia da supporto ad una “nuova e altra Chiesa”, un “nuovo e altro magistero”, una “nuova e altra tradizione”, una “nuova e altra spiritualità”, ecc.; 2) un concetto evolutivo della fede e dei dogmi, da adeguare ai tempi e alle mode, che contraddice la posizione di sempre del Magistero; 3) fondazione di una nuova strana “religione” su basi razionalistiche, antropocentriche e moderniste, che mantiene l’involucro esterno della fede, delle definizioni, delle strutture, ma che ne altera la sostanza: vocabolario tomista, con contenuti modernisti! Un metodo astuto per nuocere senza dare troppo nell’occhio. In pratica, come dimostra David Berger, nel suo volume K. Rahner: kritische Annaherungen, l’autore avrebbe avuto un ruolo preponderante nell’inquinare la teologia dogmatica, morale e mistica, oltre che mistificare il pensiero di S. Tommaso. San Paolo ha espressioni molto forti a questo riguardo: “Verrà tempo in cui non si sopporterà più la sana dottrina ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole” (2 Tm 4,3-4).

a cura di Don Guglielmo Fichera (“Fede e Cultura”, Ottobre 2008 – p. 32-40)

PREMESSA

Nella Chiesa è in atto una serie di adeguati movimenti antirahneriani. Uno di questi è la pubblicazione dell’opera omnia di Cornelio Fabro, ad opera dell’Istituto del Verbo Incarnato. Un altro è il buon lavoro operato dall’università dell’Opus Dei. All’Università Gregoriana di Roma è stato chiamato ad insegnare un tomista discepolo di C. Fabro come Mario Pangallo, cosa che fino ad una decina di anni fa non sarebbe stata possibile. Il pericolo che viene dalle posizioni rahneriane è forse più grande, perché più subdolo di quello che viene da teologie più esplicite o estremiste come quelle di Hans Kung, della teologia della liberazione (Leonardo Boff), di quelle moderniste e pseudo-ecumeniche alla Enzo Bianchi (priore di Bose), o di quelle teologie pentecostali a cui fanno riferimento i movimenti carismatici.

Questo era il parere del Cardinale Giuseppe Siri:

«I guai della Chiesa sono derivati da quanto hanno detto e fatto, dopo il Concilio, parecchie persone /…/ Da questo punto di vista, il più pericoloso dei teologi non è Hans Kung, perché sostiene tesi così strampalate che nessuno (o quasi nessuno) gli crede. Il più pericoloso è il gesuita Karl Rahner, il quale scrive benissimo ed ha l’aria di essere ortodosso, ma ha sempre sostenuto che occorre una “nuova” teologia. Una teologia cioè che metta da parte Gesù e che vada bene per il nostro secolo» (Benny Lai, Il Papa non eletto, Giuseppe Siri, Cardinale si Santa Romana Chiesa, Laterza, Bari, 1993, pp. 291, nota 20).

«Rahner mantiene i termini del vocabolario tradizionale, ma dando loro, magari in altra sede, un senso gnostico-idealista. /…/ I frutti non possono essere che velenosi. /…/ La Chiesa ha già condannato i suoi errori quando ha condannato l’ontologismo, il panteismo e quella mescolanza di razionalismo hegeliano e cristianesimo che fu operata in Germania già nell’Ottocento da teologi cattolici come Hermes, Gunter e Frohschammer» (David Berger, Abscied von einem gefahrlichen Mythos. Neue Studien zu Karl Rahner, in Divinitas. Rivista Internazionale di ricerca e di critica teologica 46 (2003) I, pp. 68-69. La traduzione in italiano dell’articolo si trova come Commiato da un pericoloso mito. Nuovi studi su Karl Rahner, in Fides Cattolica. Rivista di apologetica teologica, I (2006) 2, pp. 81-105).

Autori vari

Bisogna prendere coscienza che, a differenza dell’immagine generale ufficiale, non sono poche le voci che si sono levate per denunciare gli sbandamenti del pensiero ranheriano e anche con toni sintetici e decisi. H.J. Vogels così elenca i principali guasti ranheriani: «Modalismo nella dottrina trinitaria e adozionismo in cristologia; rifiuto del carattere di persona dello Spirito Santo e del titolo di Figlio di Dio; monoenergismo e monotelismo, derivante da questo: una negazione implicita della maternità divina di Maria e l’affermazione della possibilità dell’autoredenzione dell’uomo» (D. Berger, Commiato da un pericoloso mito. Nuovi studi su Karl Rahner, in Fides Cattolica. Rivista di apologetica teologica, I (2006) 2, p. 95).

Un filosofo laico tedesco, B. Lakebrink, dichiarava: «Dopo Jaspers-Heidegger e nel campo teologico, soprattutto con il pastore luterano Rudolf Bultmann (1884-1976) e Karl Rahner, questo idealismo trascendentale soggettivo della storicità (in teologia) è diventato un pericolo mortale il quale, poiché sta sorgendo all’interno del nostro Paese, si mostrerà molto più distruttivo del comunismo che ci incalza dall’esterno. La Chiesa Cattolica in Germania, assieme alla sua teologia, è stata precipitata dal nuovo pensiero del cosiddetto “esistenzialismo” antimetafisico, ispirato puramente allo storicismo immanentistico (Hegel), in una delle più gravi crisi che essa abbia mai avuto da sostenere dai giorni della riforma».

G. May, giurista e prelato: «Non tradisco alcun segreto, se attiro l’attenzione sul fatto che la crisi di fede di molti cattolici è quasi totalmente l’opera di non illuminati teologici» (P. Cornelio Fabro, L’avventura della teologia progressista, Rusconi, Milano, 1974, pp. 19-22).

P.M. Fehlner: «Chi accetta il sistema di Rahner non può fare a meno di finire per essere eternamente defraudato. Ciò perché panteismo, pelagianesimo e gnosticismo sono le componenti metafisiche, etiche ed epistemologiche della frode teologica presentata per la prima volta dal serpente ad Adamo ed Eva (cfr. Gen 3,1). Si è in un sistema fraudolento perché, al posto di una teologia incentrata completamente sul Nome “Io sono colui che sono” (Es 3,14), è una teologia incentrata sull’autocoscienza per giustificare un “dio” che è auto-comunicazione infinita, diversamente nota come “orgoglio senza limiti”. Questa è una ragione determinante per cui, la critica a Rahner, dovrebbe ricevere una pubblicità più ampia, all’interno come al di fuori della Chiesa e, assieme ad essa, dare posto alla Donna che ha distrutto tutte le eresie nel mondo intero» (P.M. Fehlner, De Deo Uno e Trino ad mentem Caroli Rahner, in Fides Catholica,  2 (2007) 2, p. 421).

Lo stesso K. Rahner, già solo pochi anni dopo la conclusione del Vaticano II, ammette e riporta, lamentandosene, le critiche di chi aveva giudicato la sua riflessione come «un’acrobazia teologica che purtroppo non regge il confronto con la realtà» e come «un tentativo di saltare a piè pari la questione della verità ricorrendo ad alcune operazioni di politica ecclesiale».

Rahner richiamava con un certo rammarico quel giudizio, poco prima della sua morte, nella prefazione alla raccolta di articoli e di saggi pubblicata in lingua originale, in occasione del suo 80° compleanno, tradotta in italiano con il titolo Società umana e Chiesa di domani auspicando, almeno da parte del lettore di quegli scritti, un giudizio più benevolo” (op. cit., Cinisello Balsamo, 1985, p.8).

Teologia a partire dalla rivelazione

«Bisogna cercare di avere un’idea chiara» su quello che è stato definito «il movimento teologico contemporaneo». /…/ Prima di questo è necessario cogliere i riferimenti fondamentali dati dalla Rivelazione /…/ perché se non c’è un riferimento fondamentale apportato nell’intelligenza e nell’esperienza umana dalla Rivelazione /…/ ogni problema di oggettività è annullato ed ogni tentativo di conoscenza è vano».

La nozione di teologia

«In generale si dice che la teologia è la scienza di Dio fondata sulla Rivelazione. /…/ Si dice anche che la teologia è la scienza della fede. In quanto la fede è la Rivelazione ricevuta, la definizione è esatta, perché il contenuto e l’essenza della fede è la Rivelazione. La teologia è, dunque, la scienza della Rivelazione ricevuta e non abbiamo altra Rivelazione se non quella ricevuta».

S. Tommaso d’Aquino afferma: «Se la teologia si vale della filosofia, non è perché abbia bisogno del suo soccorso, ma per mettere in luce più viva le verità che insegna. Essa non ha trovato i suoi principi sulla terra: essa li ha avuti da Dio stesso attraverso la Rivelazione» (S. Th., I, q. 1 a 5).

Il Concilio Vaticano II dichiara: «La sacra teologia si basa, come su un fondamento perenne, sulla Parola di Dio scritta, insieme con la sacra Tradizione e in quella, vigorosamente si consolida e ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo» (Dei Verbum, n. 24).

Papa Paolo VI precisa: «La teologia è profondamente connessa col Magistero della Chiesa, perché la loro comune radice è la Rivelazione divina» (Discorso, 13/5/1973). Sempre Paolo VI, a proposito dell’interpretazione della Parola di Dio ribadisce con chiarezza: «Esiste la legittimità delle varie scuole teologiche; ma non saremmo fedeli all’univocità della Parola di Dio, al Magistero, che ne deriva, della Chiesa, se ci arrogassimo la licenza d’un “libero esame”, di un’interpretazione della dottrina definita ai criteri delle scienze profane e tanto meno, alla moda dell’opinione pubblica, ai gusti e alle deviazioni /…/ della mentalità speculativa e pratica della letteratura corrente» (Paolo VI, Insegnamenti VI, 1969; Tip. Pol. Vat., 1970, p. 957).

C’è «il pericolo di ambiguità, di reticenza o di alterazione dell’integrità del messaggio /…/ adattando la Parola di Dio alla propria mentalità, alla propria cultura, sottoponendola a quel libero esame, che le toglie /…/ il suo univoco significato e la sua obiettiva autorità, e finisce per privare la comunità dei credenti dell’adesione ad un’identica verità, ad una medesima fede: l’una fides (Ef 4,5) si disintegra e con essa quella stessa comunità che si chiama la Chiesa unica e vera» (Paolo VI, Insegnamenti VI, 1968; Tip. Pol. Vat., 1970, pp. 1043-1044).

(N.d.R.= Già San Pio X, sette anni prima del 1917, aveva descritto questa grande sfida come “il grande movimento di apostasia, organizzato in ogni nazione per l’insediamento di una falsa chiesa mondiale, che non avrà dogmi, né gerarchie, né insegnamenti irreformabili, né freni per le passioni”=N.d.R.).

La dottrina dell’analogia

/…/ Se la teologia sfugge al controllo di queste fonti e di questi principi fondamentali, non sarà più continuamente illuminata dalla Rivelazione. /…/ Potrà sempre parlare di Dio e delle cose di Dio, ma i suoi riferimenti non saranno più quelli immutabili della Rivelazione e quindi non può essere veramente e santamente istituzionale. /…/ Dio, rivelando, “ha calato” cose divine nelle forme umane del pensiero umano. In questo senso è conveniente dire che Dio ha assunto il pensiero umano. Ma questo vuol dire che le forme nelle quali si produce e si manifesta il pensiero umano sono ordinate al reale oggettivo; sono forme assunte da Dio (N.d.R. = mai è possibile dunque, giustificare un’esaltazione unilaterale del pensiero soggettivo e/o relativistico = N.d.R.). Se Dio ha parlato agli uomini, il pensiero dell’uomo deve corrispondere al reale. /…/ E a questo punto, la dottrina dell’analogia appare con tutta la sua indefinibile e insieme incontestabile realtà meravigliosa; appare come una via misteriosa di comunicazione, nell’intelletto, tra il mondo creato e l’eterna realtà divina (N.d.R. = questa distanza tra creazione e Creatore non può essere mai annullata, vanificata, negata o evaporata con sofismi filosofici = N.d.R) ./…/ Il pensiero umano, nel riflettere le cose divine, è analogico. /…/ Le realtà divine sono infinite e noi non possiamo (con i nostri soli mezzi umani) raggiungere l’infinità del reale divino. Per l’analogia abbiamo oggettivamente accesso alla verità divina, perché Dio “ha calato” la sua Rivelazione nei concetti umani, nelle forme del pensiero umano. /…/ Per l’analogia, l’uomo può rendersi conto da dove è caduto ed anche del Regno a cui è chiamato.

Differenza tra natura e soprannatura

Molto spesso l’analogia è stata dimenticata ed ora, a volte, anche svalutata e totalmente rigettata. Così afferma P. Battista Mondin: «I teologi radicali sono concordi nel respingere la dottrina tradizionale, la quale riconosceva al linguaggio teologico valore analogico» (Battista Mondin, Il linguaggio della teologia radicale, in Il linguaggio teologico oggi, Ed. Ancora, Milano, 1970, p. 279). Questo oblio o rigetto è un sintomo di tante correnti, convergenti tutte verso una tendenza unica, un monismo ontologico, cioè ad una visione che conduce ad un concetto di identità di due “parti” che non si devono considerare analoghe.

Questo concetto annulla ogni distinzione di ordine, di essenza e di linguaggio /…/ e comporta intrinsecamente la negazione di ogni principio di oggettività e di ogni principio di verità eterna. /…/ L’analogia manifesta nella mente i due ordini di realtà, come la Rivelazione ce l’ha svelata: l’ordine detto “naturale” e l’ordine “soprannaturale” (N.d.R. = questa differenza tra ordine naturale e ordine soprannaturale, infatti, non può essere mai annullata, vanificata, negata o evaporata con sofismi filosofici = N.d.R). /…/ Certo c’è comunione tra i due ordini, ad esempio nello stato di orazione e in quello di estasi /…/ ma anche in questo caso la comunione si realizza nell’intimo dell’intelletto, cioè nell’intimo dell’anima intelligente per mezzo di percezioni, nozioni, immagini di un’estrema finezza ma che non si situano però al di fuori del carattere dell’intelletto che è analogico. /…/ L’anima può perfezionarsi ed elevarsi, ma questo perfezionamento non può mai raggiungere, per identità, l’infinità di Dio.

Il limite dell’ordine della creazione non è annullato dalla purificazione della visione di Dio, né questa visione comporta una trasmutazione dell’essenza della creatura pensante. /…/ La visione beatifica riguarda l’anima dei beati dopo il pellegrinaggio terreno. Non è possibile all’anima, finché vive nella carne mortale, vedere l’essenza di Dio (cfr. 1 Cor 13, 9.12). S. Tommaso d’Aquino spiega: «Se colui che vede Dio concepisce di Lui qualcosa nel suo pensiero, questo non è Dio stesso, ma semplicemente un effetto divino in lui» (S. Th., Suppl. q. 92 a. 1 ad 4).

L’anima umana non può vedere direttamente l’essenza di Dio sin da questa vita. Solo nella beatitudine l’anima umana vedrà l’essenza di Dio non per immagini create e perderà il carattere dell’analogia.

Modernismo

«Oggi le parole consacrate da Dio nella Rivelazione, per molte persone, hanno cessato di essere punti di riferimento viventi /…/ Le parole che esprimono verità fondamentali e controllate sono ascoltate e trattate da alcuni con diffidenza o indifferenza come se si trattasse di nozioni superate e, a volte, anche con disprezzo e con desiderio accanito di andare oltre non solo ai vocaboli, alle nozioni e ai sensi che essa “incarna”. /…/ Anche in seno alla Chiesa, il riferirsi al Credo come ad un criterio fondamentale di verità, è ora considerato ingenuo ed estraneo alle vie di conoscenza oggettive dell’uomo. Il principio ed i fatti della Rivelazione sono stati “torturati” da interminabili prestidigitazioni di linguaggio. Questo tentativo di deformazione del mistero della Rivelazione si è verificato più volte nella storia della Chiesa, ma oggi ha assunto una connotazione ed uno sforzo sfrenato. /…/» (Card. Giuseppe Siri, Getsemani, Fraternità della Santissima Vergine Maria, Roma, 1987, 2^ Edizione, pp. 11-41).

Caratteri del movimento

“Vediamo alcune caratteristiche generiche del movimento teologico del nostro tempo. /…/ In seno ad esso appaiono due correnti principali: 1) da una parte, una corrente che tende a conservare e promuovere, più o meno fedelmente, la dottrina da sempre professata dalla Chiesa; 2) dall’altra, una corrente perseverante che tende a debordare dall’insegnamento e dal culto della Chiesa. /…/ In questo campo il discernimento è possibile solo e sempre a partire dai principi fondamentali della Rivelazione. /…/

Ermeneutica della frattura

Nella corrente che tende a debordare e ad affrancarsi dall’insegnamento della Chiesa, appaiono simultaneamente: a) una ripresa pura e semplice del razionalismo protestante del secolo scorso, b) ed una rottura di ogni barriera di ordine teologico ed anche filosofico. Questa rottura, questa volontà di affrancamento totale si verifica sia tra i teologi protestanti, sia in seno alla Chiesa.

Quali le cause di questa singolare tendenza? /…/ Possiamo reperire i caratteri particolari di ogni tendenza.

1) Prima di ogni altra manifestazione, si delinea una mentalità che esprime un ritorno all’eresia pelagiana. /…/ Dopo quindici secoli /…/ assistiamo ad un ritorno della dottrina secondo cui non esiste il peccato originale. L’uomo, da solo, con i suoi sforzi, potrebbe vivere secondo il Vangelo, la cui lettura sarebbe l’unica grazia! Ritorna una falsa concezione della libertà dell’uomo: c’è un’esaltazione dell’uomo che non appare più “Cristo dipendente” (cfr. “Io sono la vite, voi i tralci. Senza di me non potete fare nulla”, Gv. 15,5), ma autosufficiente!

(N.d.R. = “Pelagio riteneva che l’uomo, con la forza naturale della sua libera volontà, senza l’aiuto necessario della grazia di Dio, potesse condurre una vita moralmente buona; in tal modo riduceva l’influenza della colpa di Adamo a quella di un cattivo esempio” (C.C.C., n. 406). = N.d.R.)

2) Accanto a questo carattere, appare l’eresia ancora più vecchia, secondo cui il Figlio di Dio era una creatura: ritorna l’eresia ariana.

3) Un terzo carattere di questa corrente, che conduce all’affrancamento totale dalla Rivelazione, è quell’insieme di pensiero costituente il modernismo che San Pio X ha condannato fermamente come “la sintesi di tutte le eresie”, ma non è riuscito ad estirpare completamente. Il modernismo offende la Rivelazione sostituendola con le elaborazioni del “senso religioso” del subcosciente. Il modernismo spinge verso l’agnosticismo (quasi “trascendentale”) e verso il velenoso “evoluzionismo dogmatico” in modo da distruggere ogni nozione di oggettività nella Rivelazione.

Papa Paolo VI denuncia la rinascita del modernismo: “La Rivelazione è un fatto, un avvenimento e nello stesso tempo, un mistero che non nasce dallo spirito umano, ma è venuto da un’iniziativa divina. /…/ La nostra dottrina si stacca da errori che hanno circolato e tuttora affiorano nella cultura del nostro tempo e che potrebbero rovinare totalmente la nostra concezione cristiana della vita e della storia. Il modernismo rappresenta l’espressione caratteristica di questi errori. /…/ Ecco perché la Chiesa Cattolica ha il dovere fondamentale di difendere e trasmettere in termini inequivocabili la dottrina della fede” (Discorso, 19/1/1972).

L’uomo come vitello d’oro

Questi tre orientamenti caratteristici, ariano, pelagiano e modernista, si trovano combinati in un amalgama speculativo che serve di base per una precipitazione verso l’umanizzazione integrale di tutta la religione. /…/ una specie d’iniziazione nuova di origine protestante. Il teologo protestante Oscar Cullmann, osservatore luterano al Concilio Vaticano II, denuncia che, “a partire dal Vaticano II, certi ambienti cattolici non si accontentano di cambiare solo le forme esteriori, ma prendono le norme del pensiero e dell’azione, non dal Vangelo ma dal mondo moderno” (idem, pp. 42-49).

RAPPORTO DA TRA ORDINE NATURALE E ORDINE SOPRANNATURALE

Due casi significativi

1) Henri de Lubac, SJ

Henri de Lubac, SJ

Henri de Lubac, SJ

“Nel 1946, nel suo libro Il Soprannaturale, Henri de Lubac (1896-1991) affermava che l’ordine soprannaturale è necessariamente implicato nell’ordine naturale, per cui il dono dell’ordine soprannaturale non sarebbe gratuito perché sarebbe “debito” alla natura. Esclusa la gratuità dell’ordine soprannaturale, la natura, per lo stesso fatto che esiste, si identificherebbe al soprannaturale, aprendo così il cammino dell’antropocentrismo fondamentale. Il ragionamento era questo: siccome con l’intelletto posso riferirmi alla nozione d’infinito, per questo il soprannaturale sarebbe implicato nella natura umana in sé. Ma il riferimento alla nozione d’infinito, non significa che l’infinito sia colto! Nessun sillogismo può colmare la differenza tra la nozione d’infinito, anche l’aspirazione verso l’infinito e questo Infinito stesso. La nozione d’infinito esprime solo la possibilità per l’uomo di entrare in contatto con l’Infinito, ma non che l’uomo possieda, per natura, la stessa identità di Dio Infinito. In questa aspirazione, in questa possibilità è presente, dunque, la certezza dei nostri limiti e della differenza tra Dio e l’uomo. /…/ L’autore insiste nell’interpretare a modo suo, il passo di San Paolo “rivelare in me il Figlio suo” (Gal 1, 15-16), che per lui significherebbe che il Cristo rivelerebbe l’uomo a se stesso, nel senso che lo spingerebbe a discendere in sé, per scoprire ciò che finora era insospettabile. Come si vede, il de Lubac va ben oltre la spiegazione di tutti gli esegeti che concordano invece con l’interpretazione di Padre M. J. Lagrange (1855-1938), il quale afferma che “in me” significa che grazie ad una comunicazione intima che fa conoscere il Figlio di Dio, l’intelligenza e la volontà scoprono che Cristo è l’unica perla preziosa, l’unico tesoro per cui “tutto ormai si reputa una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, per il quale si lascia perdere tutte queste cose e le si considera come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo” (Fil 3, 8). “In me” significa che viene esaltato e glorificato Cristo, non l’uomo! /…/ L’affermazione di de Lubac significa che 1) o Cristo è solo uomo, 2) oppure l’uomo è divino. Sono le conseguenze di questa idea per cui il soprannaturale sarebbe implicato nella natura umana in sé, aprendo così il cammino all’antropocentrismo integralista. /…/ L’uomo non esiste dall’eternità (l’anima è creata immortale, cioè con un inizio, senza una fine) e quindi non può possedere la pienezza e la totalità eterna di Dio: anche in Paradiso rimarrà sempre un distanza infinita tra il Creatore e le creature sante! /…/ Papa Pio XII, nell’enciclica Humani generis (1950), quattro anni dopo il Soprannaturale di de Lubac, a proposito di queste concezioni afferma: “Alcuni deformano la vera nozione della gratuità dell’ordine soprannaturale, quando pretendono che Dio non può creare esseri dotati d’intelligenza, senza chiamarli e ordinarli alla visione beatifica” (Dz 3891).

Se Dio, quando crea, imprime nella creatura il soprannaturale, cioè se il soprannaturale è implicato nella natura sin dalla creazione, allora cambia la nozione del soprannaturale e della grazia.

(N.d.R. = Ma cambia anche il concetto di peccato originale (cfr. C.C.C., n. 396-421) e si nega quindi, anche la necessità del Battesimo. Il peccato originale “ha intaccato la natura umana che viene trasmessa in una condizione decaduta /…/ privata della santità e della giustizia originali” (C.C.C., n. 404). “La natura umana è ferita e inclinata al peccato. /…/ Il Battesimo cancella il peccato originale, ma rimangono le conseguenze del peccato originale (natura indebolita e incline al male), rimangono nell’uomo e lo provocano al combattimento spirituale” (C.C.C., n. 405). “Il peccato originale comporta “la schiavitù sotto il dominio di colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo” (cfr. Concilio di Trento, Dz 1511, cfr. Ebr 2,14). Catechismo di San Pio X: “Il peccato di Adamo spogliò lui e tutti gli uomini della grazia e d’ogni altro dono soprannaturale, rendendoli soggetti al peccato, al demonio, alla morte, all’ignoranza, alle cattive inclinazioni e ad ogni altra miseria ed escludendoli dal Paradiso. /…/ Il peccato originale consiste nella privazione della grazia originale. /…/ L’uomo, a causa del peccato originale, doveva rimanere escluso per sempre dal Paradiso, se Dio, per salvarlo, non avesse promesso e mandato dal Cielo il proprio Figlio, cioè Gesù Cristo” (nn. 218-222). “Il Battesimo conferisce la prima grazia santificante e le virtù soprannaturali, togliendo il peccato originale e gli attuali, se vi sono, con ogni debito di pena ad essi dovuta; imprime il carattere di cristiano e rende capaci di ricevere gli altri Sacramenti. Il Battesimo trasforma l’uomo nello Spirito e lo fa come rinascere rendendolo un uomo nuovo” (nn. 528-529) = N.d.R.).

Da questo falso concetto di de Lubac deriva una moltitudine di false considerazioni sull’uomo, sulla sua libertà, sulla grazia, sui rapporti dell’uomo con Dio, sulla libertà dell’uomo e sulla libertà di Dio, ecc. False considerazione che possono condurre al capovolgimento dei principi essenziali della Rivelazione. Facilmente, questa non-gratuità dell’ordine soprannaturale conduce ad una specie di monismo cosmico, ad un idealismo antropocentrico. /…/

In un nuovo libro Il mistero del soprannaturale, padre de Lubac, cerca di correggere l’insufficienza di alcune sue espressioni, ma sostiene sempre la stessa tesi, cerca solo di evitare malintesi e di respingere l’accusa della “Humani generis”. /…/ Ma egli parlando di un “desiderio naturale assoluto” della visione di Dio, scarta la gratuità del soprannaturale, cioè della visione beatifica. /…/ L’uomo non avrebbe altro fine reale che quello di vedere Dio, perché questo è già scritto da Dio nel suo essere. /…/ La visione di Dio non è più un fine possibile o futuribile, ma è un fine dovuto. /…/ Padre de Lubac afferma la corrispondenza del suo pensiero con la dottrina “dell’esistenziale soprannaturale permanente, pre-ordinato alla grazia” di Karl Rahner (cfr. Il mistero del soprannaturale, Ed Il Mulino, Bologna, 1967, p. 80-82). /…/ In effetti nessuna “disposizione” della creatura potrà mai, in nessuna maniera, legare il Creatore. /…/ Come il dono soprannaturale mai, in noi, è naturalizzabile, allo stesso modo, mai la beatitudine soprannaturale può diventare per noi, una meta “necessaria ed esigibile” (cfr. Il mistero del soprannaturale, Ed Il Mulino, Bologna, 1967, pp. 306-307). /…/ Stante queste antinomie del pensiero di de Lubac, come capire, ad esempio, che il mio fine reale – cioè “vedere Dio” è assegnato alla mia natura? E che allo stesso tempo è offerto alla mia adesione? Quando accade questo? Al momento della mia creazione o dopo, durante il tempo della vita terrena?

A) Se accade al momento della mia creazione, come posso scegliere la mia adesione?
B) Se accade dopo, durante la mia vita, come posso dire che “la vocazione di Dio è costitutiva” cioè è parte integrante del mio essere creatura?

Se, dal momento che esisto, ogni indeterminazione è tolta, come può aver luogo la mia adesione, dopo essere venuto all’esistenza? Se tutto è determinato in modo assoluto, come insiste de Lubac, non c’è possibilità per me, come per ogni uomo, di adesione o di non adesione. (N.d.R. = cioè non c’è più libero arbitrio e allora siamo fuori dalla religione cattolica! = N.d.R.). /…/

Con lo schemino di de Lubac, Dio una volta che mi ha creato, è impegnato in modo assoluto e non può rifiutarsi di darmi la gioia di vederlo! (N.d.R. = Come a dire che una volta che mi crea è costretto a darmi il Paradiso!! = N.d.R.).

Come si può allora ancora dire che “la gratuità dell’ordine soprannaturale è particolare e totale, in se stessa e per ciascuno di noi”? /…/ de Lubac però, non identifica gratuita dell’ordine soprannaturale e gratuità della creazione. Accetta che le due grazie siano separate. /…/ Se, dal momento che esisto, ogni indeterminazione è tolta, se cioè tutto è scritto nell’uomo, sin dal momento della sua creazione e in modo assoluto, come dice de Lubac, come concepire che la creatura può decidere diversamente dallo stesso fine inscritto in modo assoluto in lei e come concepire ancora, che il Creatore “non sia legato in nessun modo”? (N.d.R. = si entra in un sistema deterministico, sempre bocciato dalla Chiesa e che assomiglia al determinismo della macchina logica hegheliana = N.d.R.). /…/ Per il fatto che l’uomo, sin dalla creazione, porta in sé la possibilità di ascoltare la chiamata di Dio, non significa che questa possibilità di ascoltare sia già la chiamata, coincida con la chiamata e che il soprannaturale è già presente in lui” (Card. Giuseppe Siri, Getsemani, Fraternità della Santissima Vergine Maria, Roma, 1987, 2^ Edizione, pp. 53-66).

2) Karl Rahner, SJ

PRECISAZIONE

Rahner, filosofo più che teologo

Il gesuita K. Rahner (1904-1984) muove dal rifiuto della tradizione scolastica “oggettivistica” cercando di trovare una via mediana tra questa e la filosofia trascendentale immanentistica moderna.

Questa “strada” era già stata condannata dal Magistero nel razionalismo, in Mohler e nella scuola di Tubinga, in Blondel, Rousselot, nel modernismo e nel neo-modernismo. Rahner non si dichiara antimetafisico, ma solo vorrebbe aggiornare la metafisica, improntandola ad una prospettiva idealistica e storicistica, non avvedendosi che così facendo, nega in radice la metafisica stessa. La metafisica è snaturata quando viene fatta cadere solo nei meandri della coscienza umana e della storia: la storia, non solo per Rahner, ma anche per altri autori modernisti, finisce per essere, in un certo senso, quasi il “vero assoluto” di questi autori che hegelizzano l’Assoluto. La sua è una teologia della storia e dalla storia, che riflette sull’esperienza salvifica a partire dalle esigenze epocali! La teologia dovrebbe solo dare risposte a queste esigenze.

Egli propone una ricerca teologica che deve prescindere dai dogmi e dal Magistero e che, di fatto, finisce per fare da “magistero” al vero Magistero della Chiesa.

Il filosofo Cornelio Fabro ha smascherato gli ascendenti idealistici ed esistenzialistici di Rahner. Egli afferma che “Rahner ha per di più travisato i testi tomistici e travisato i contesti, capovolgendone il senso. /…/ Egli avrebbe voluto accordare Kant e lo stesso San Tommaso con Heidegger e far confluire l’actus essendi tomistico con la “presenza di coscienza” del Dasein heideggeriano”; “egli opera la riduzione della filosofia e della stessa metafisica ad antropologia trascendentale” (C. Fabro, La svolta antropologica di Karl Rahner, Rusconi, Milano, 1974, pp. 5-6 e p. 9).

FILOSOFIA RAHNERIANA

Rahner vorrebbe che si rinunciasse al linguaggio aristotelico-tomista tradizionale, che reputa addirittura adulterante la Rivelazione, per tornare ad un presunto linguaggio biblico, da lui ritenuto esistenzialista.

Dominique Chenu OP

Dominique Chenu OP

In questo campo specifico, il suo precursore fu Marie-Dominique Chenu (1895-1990) il quale:

  • rigettava la filosofia aristotelico-tomistica in favore delle filosofie moderne;
  • negava il concetto di immutabilità della dottrina Cattolica;
  • riteneva che la religione può cambiare a seconda dei tempi e dovrebbe cambiare col passare del tempo, secondo le circostanze;
  • affermava che la Chiesa non deve cristianizzare il mondo (sic!).

Il grande teologo domenicano Padre Reginald Garrigou-Lagrange (1877-1964), uno dei più grandi autori neo-tomistici del XX secolo è autore del famoso saggio Dove ci sta portando la Nuova Teologia? del 1946, dove dimostrò che i sostenitori di questa nuova e particolare teologia (Blondel, de Lubac, Chenu) giungono a corrompere interamente il concetto di immutabilità della Verità. In questo modo, egli avvertì, questa nuova e particolare teologia può portare in un’unica direzione: direttamente, verso il Modernismo.

I seguaci del gruppo ranheriano furono: Hans Küng (1928), John Courtney Murray, Yves Marie Joseph Congar (1904-1995), Henri de Lubac (1896-1991), Edward Schillebeeckx (1914) e Gregory Baum.

Una recente foto di Kung

HANS KÜNG

Hans Küng (1928), questo presunto “luminare” del periodo post-conciliare, lavorò al Concilio, a contatto stretto con altri radicali come Congar, Rahner e Schillebeeckx.

Nel 1970 tuttavia, poiché Küng era andato “troppo in la”, venne censurato dal Vaticano per alcune sue opinioni eretiche, tra cui: il rifiuto dell’infallibilità della Chiesa; la pretesa che i vescovi non ricevano la loro autorità da Cristo; l’idea che ogni persona battezzata abbia il potere di impartire la Santa Eucaristia; la negazione che Cristo sia “consustanziale” con il Padre; il sottominare alcuni dogmi riguardanti la Vergine Maria.

Va fatto notare che queste sono solo alcune delle opinioni eretiche di Küng, in uno dei suoi libri più famosi, intitolato Essere un Cristiano, Hans Küng riesce a:

  1. Negare la divinità di Cristo (p. 130)
  2. Trascurare i miracoli del Vangelo (p. 233)
  3. Negare la resurrezione del corpo di Gesù (p. 350)
  4. Negare che Cristo abbia fondato una Chiesa istituzionale (p. 109)
  5. Nega che la Messa rinnova in maniera di rendere presente il sacrifico del Calvario (p. 323).

Oltre questo Kung ha anche pubblicamente chiesto alla Chiesa di rivedere i propri insegnamenti:

  • sull’infallibilità papale,
  • sul controllo delle nascite,
  • sull’obbligatorietà del celibato per i sacerdoti,
  • e nei riguardi delle donne nel sacerdozio.

VERITÀ SOLO SOGGETTIVA

Ritornando al rifiuto di Rahner per il tomismo e la sua opzione solo per un presunto linguaggio biblico, da lui ritenuto esistenzialista, bisogna dire che in realtà, come afferma la Dei Verbum, la Bibbia, senza la Tradizione e il Magistero è facilmente manipolabile da chiunque e così è stata utilizzata da parecchi autori modernisti. Egli afferma che la Chiesa dovrebbe arrendersi al pluralismo secolarista e farlo addirittura proprio: in questo ha avuto molti discepoli soprattutto nelle Facoltà teologiche e in vari Istituti di Scienze Religiose, dove il tomismo è ridicolizzato e il Magistero presentato come una fra le tante opinioni.

Nella teologia cattolica la verità proviene dall’essere tramite la tomistica “adaequatio intellectus ad rem” (“conformità dell’intelletto con la cosa”) e quindi c’è una verità oggettiva e immutabile. Nella filosofia rahneriana, invece, la verità è frutto della coscienza nella storia (storicismo idealista) e quindi la verità è soggettiva ed esistenziale. In Rahner non c’è nulla di oggettivo tranne che Dio ci vuole bene e si adopera per salvarci; tutto il resto (dogmi, sacramenti, norme morali oggettive, ecc.) sarebbe un corredo alla risposta dell’uomo, variabile col variare delle nuove culture. Rahner dichiara le realtà oggettive della Chiesa come non vincolanti, ma dotate solo di valore indicativo. Cambiando le culture le forme dovrebbero adeguarsi.

Come a dire:

  1. se in una società edonista e consumista, parlare di sacrificio diventa insignificante o controproducente sul piano pastorale, non se ne parla e si cambia la teologia della Messa;
  2. se parlare di “penitenza” risulta sgradevole alle orecchie dei modernisti non se ne parla e/o la si sostituisce solo con attività sociali.

NIENTE PECCATO ORIGINALE

Rahner ridimensiona il peccato originale fino a negarlo. Secondo lui Cristo avrebbe automaticamente salvato tutti quelli che con Lui condividono la natura umana. Egli credeva che una persona per dannarsi deve solo giungere a porre un rifiuto esplicito e dichiarato a Dio (deve rifiutare “l’opzione fondamentale”, e quindi forse si dannerebbero solo i satanisti!), non basterebbe una vita peccaminosa (ecco perché i rahneriani rifiutano la distinzione tra peccato mortale e veniale, parlano invece di peccato grave non mortale, insufficiente per la dannazione eterna.

Altri pongono il peccato grave come terza via tra quello veniale e mortale). In ogni caso questa posizione è stata rifiutata come contraria alla Tradizione della Chiesa da Giovanni Paolo II nella Reconcilatio et penitentia, nella quale si ribadisce che ogni peccato mortale infrange l’opzione fondamentale (n. 17).

“La concezione del soprannaturale necessariamente legato alla natura umana è chiaramente proposta da Karl Rahner sin dagli anni ’30. Nella sua tesi Geist im Welt presenta nettamente questa concezione del soprannaturale non-gratuito. Negli scritti di Rahner il principio dialettico hegeliano è flagrante come attesta lo stesso Hans Kung (sacerdote, nato nel 1928, perito al Concilio Vaticano II, a cui è stata tolta la facoltà di insegnare teologia) discepolo incontestato di Rahner: “Nella più recente teologia cattolica, è stato Karl Rahner ad aprire nuovi orizzonti e a porre la cristologia classica a confronto col pensiero moderno. Lo spirito insigne che aleggia sullo sfondo di questo approfondimento /…/ altri non è che Hegel (non sono assenti comunque influssi heideggeriani). Gli sporadici tentativi di distanziarsi, in affermazioni secondarie, da Hegel, non fanno che sottolineare questo fatto” (H. Kung, Incarnazione di Dio, Queriniana, Brescia, 1972, pp. 643-644).

Questo stesso principio dialettico hegeliano rende molto fluido e poco afferrabile il cardine del suo pensiero. Ad esempio, all’inizio, Rahner esprime una posizione giusta, rigettando la concezione della “nouvelle theologie” secondo la quale non esiste una natura pura e la grazia sarebbe già un costitutivo della sua natura. Rahner dice che c’è apertura della natura alla grazia, ma senza però esigere la grazia da sé, incondizionatamente, perché la grazia di Dio è assolutamente gratuita. Ma poi, in seguito, egli non solo accetta ciò che prima rifiuta, ma lo propone in modo ancora più forte. /…/ Comincia infatti a dire che “l’apertura della natura all’esistenziale soprannaturale è un’ordinazione intima” e poi aggiunge “purché non sia incondizionata”. In queste dichiarazioni c’è un’ evidente contraddizione./…/ In seguito, slitta verso le posizioni che all’inizio rifiutava e afferma che: “parlare di un dinamismo illimitato della natura che include obiettivamente nella sua essenza il soprannaturale come fine intrinseco necessario” non costituisce una “minaccia immediata alla soprannaturalità e gratuità di questo fine” (K. Rahner, Rapporto tra Natura e Grazia, in “Saggi di antropologia soprannaturale”, Ed. Paoline, Roma, 1969,p. 63). Nell’uomo c’è un “esistenziale soprannaturale, permanente, previamente ordinato alla grazia” (idem, p. 68 e nota). /…/ Ma se questa disposizione è necessaria essa annulla il concetto della gratuità della grazia. /…/ Per Rahner non esiste la natura in uno stato chimicamente puro, separata dal suo esistenziale soprannaturale. /…/ Su questo argomento torna con un vocabolario e con espressioni che se fossero accettate condurrebbero ad un capovolgimento di tutti i fondamenti della teologia e che sono i presupposti della sua errata ipotesi sui cosiddetti (e insistenti) cristiani anonimi. “L’uomo vive sempre consapevolmente, anche se egli non lo ‘sa’ e non lo crede (ossia se non lo può rendere oggetto particolare del suo sapere mediante riflessione introversa), dinanzi al Dio Trino della vita eterna” (idem, p. 109).

GNOSTICISMO

“La predicazione è l’esplicitazione e il risveglio di ciò che c’è nel profondo dell’essere umano, non di natura, bensì di grazia. Una grazia che avvolge l’uomo, anche il peccatore e l’infedele (sic!), come ambito inevitabile della sua esistenza” (idem, p.110).

(N.d.R. = Qui si vede con chiarezza quanto questa strampalata dottrina sia infetta di gnosticismo. Per lo gnosticismo, pur articolandosi in sfumature diverse, fondamentalmente l’uomo sarebbe una scintilla divina racchiusa in un corpo. Quindi c’è già in partenza la negazione gravissima del dogma del peccato originale. Questa scintilla divina a contatto con la predicazione, con l’ascolto della dottrina gnostica, si risveglierebbe, capirebbe da dove viene e chi è e questa sola conoscenza costituirebbe il processo di realizzazione di sé. Quindi c’è già in partenza la negazione di un Redentore (l’uomo si redime sa solo), la necessità della grazia e di aderire in pienezza alla Rivelazione cristiana, la necessità dei sacramenti, la necessità della Chiesa Cattolica, ecc. Questa falsa dottrina gnostica è molto simile alla dottrina induista, nella quale pure non c’è nessun peccato originale, nessun Redentore, ma l’uomo attraverso un cammino di risveglio che avviene attraverso vie diverse, giunge a riconoscere che egli è …….. dio (sic!). È famosa la frase delle Upanishad (commento ai Veda) che sintetizza bene questa strampalata credenza: “Tat twan asi” (= “tu sei quello” cioè l’Atman e il Brahman si identificano, in pratica , togliendo il velo della Maya, “tu sei dio!”). Questa dottrina induista è particolarmente accentuata nell’Advaita Vedanta di Shankara. Ricordiamo che negli anni in cui si formava e affermava l’idealismo tedesco, non pochi autori conobbero e vennero a contatto con la filosofia orientale (Goethe, Schopenhauer, ecc.) che, in qualche modo, ha influenzato certi sistemi filosofici occidentali = N.d.R).

L’INCARNAZIONE

Rahner ha una concezione effettivamente modalista e adozionista dell’Incarnazione, nega la preesistenza del Cristo-Logos, perché – a suo modo di vedere – le Persone divine non sarebbero altro che le “forme” (sic!) della “esprimibilità di Dio” (per lui infatti “la Trinità economica è la Trinità immanente” e viceversa) (cfr. D. Berger, Commiato da un pericoloso mito. Nuovi studi su Karl Rahner, in Fides Catholica. Rivista di apologetica teologica, I (2006) 2, pp. 97-102).

“Secondo Rahner “La natura effettiva non è mai ‘pura’ natura, bensì una natura nell’ordine soprannaturale, dal quale l’uomo (anche incredulo e peccatore) non può uscire” (Natura e Grazia, in “Saggi di antropologia soprannaturale”, op. cit., p. 112). (N.d.R. = L’uomo non esisterebbe né sarebbe mai esistito allo stato puramente naturale: ciò che la teologia classica chiama “soprannaturale” sarebbe solo un’apertura insita nella natura umana che alla grazia tenderebbe di per sé, per cui la grazia e la salvezza non sarebbero gratuiti, ma dovuti all’uomo in forza di questa ricettività naturale che fa parte della sua costituzione naturale. Questo è ciò che egli chiama “esistenziale soprannaturale”, oppure “potentia oboedentialis” non intesa però in senso tomistico = N.d.R.). /…/ L’antropologia fondamentale di Rahner concorda col De Lubac ma lo supera, stravolgendo articoli di fede come l’Incarnazione e l’Immacolata Concezione di Maria SS. Per Rahner lo spirito dell’uomo sarebbe necessitato alla grazia, non esisterebbe senza la grazia, addirittura “Si può tentare di vedere la unio Hypostatica nella linea di questo perfezionamento assoluto di ciò che è l’uomo” (?) (idem, p. 120). In pratica l’Unione Ipostatica (cioè l’Incarnazione del Verbo eterno, della 2^ Persona della SS. Trinità), non sarebbe altro che il…… perfezionamento dell’uomo!??? A volte Rahner sfuma linguisticamente le sue affermazioni ma il concetto, gravissimo, è che il perfezionamento dell’uomo realizzerebbe l’unione ipostatica !!??? Rahner, in accordo con la dottrina gnostica, dichiara in tutti i modi che l’essenza in Dio e in noi è la stessa (sic!). “Quando il Logos si fa uomo /…/ questo uomo in quanto uomo è precisamente la auto-manifestazione di Dio nella sua auto-espressione, – “il ‘cosa’ infatti è uguale in noi e in lui; noi lo chiamiamo ‘natura umana’” (K. Rahner, Teologia dell’incarnazione, in Saggi di Cristologia e di Mariologia, Ed. Paoline, 2^ ed., Roma, 1967, p. 113). (N.d.R.= una specie di divinizzazione della natura e dell’uomo = N.d.R.). “Nell’incarnazione chi si spoglia di sé, non solo rimane ciò che era, ma diventa nel senso più radicale quel che è: una realtà umana. La tendenza ad annientarsi per abbandonarsi al Dio assoluto è un costitutivo della natura umana /…/ Solo nell’unione ipostatica si realizza in sommo grado e si rende pienamente cosciente che questo spogliamento di sé può essere un dato dell’autocoscienza umana. Infatti a questa (autocoscienza umana) spetta il possedere questa disponibilità all’annientamento di sé, che si attua in sommo grado nella unio hypostatica” (K. Rahner, Problemi della cristologia d’oggi, in Saggi di Cristologia e di Mariologia, ed. Paoline, 2^ ed., Roma, 1967, p. 41).

Insomma l’unione ipostatica sarebbe il risultato della perfezione nella vita interiore dell’uomo. Il protagonista è l’uomo, non Dio, come nello gnosticismo. Il brano si riferisce chiaramente al testo della Lettera ai Filippesi e alla dottrina sull’Unione Ipostatica. È evidente che quando si pone l’identità dell’essenza di Dio e dell’uomo, si capovolge tutta la Rivelazione e si entra nell’errore, nell’eresia. /…/ Se non lo si può accusare di panteismo, si può però definire il suo pensiero e la sua dottrina come “panantropista”. /…/ Per Rahner l’umanità di Cristo è la realtà stessa del Logos: l’umanità di Cristo non è unita al Logos ma sarebbe la realtà stessa del Logos (K. Rahner, Problemi della cristologia d’oggi, in Saggi di Cristologia e di Mariologia, ed. Paoline, 2^ ed., Roma, 1967, p. 75). Rahner compie una serie di acrobazie linguistiche, improbabili e contraddittorie, senza mai insegnare chiaramente la dottrina della Chiesa sull’Incarnazione e sulla Creazione. Nella lettera ai Filippesi il Verbo, uguale a Dio nella natura, si è spogliato solo della sua gloria per prendere forma umana. Non si spoglia della propria natura. San Paolo dice : “Si spoglia”, non dice “di sé”. Invece in Rahner è l’uomo che si spoglia per offrirsi a Dio. Nella Rivelazione è esattamente il contrario: l’Incarnazione e l’Unione Ipostatica, in Cristo Gesù, hanno dato all’uomo la perfezione”. (Card. G. Siri, Getsemani, ed. cit. p. 72-79).

INDIFFERENTISMO RELIGIOSO

Non è più il Battesimo ad inserire il solo credente nella vita soprannaturale, infondendo le tre virtù teologali (cfr. C.C.C., nn. 1812-1829) ma, in pratica, chiunque accetta la propria umanità (sic!), pur senza riferimento a Cristo, alla fede cattolica, ad un’adesione personale e motivata al Vangelo, senza sacramenti, sarebbe addirittura identico ad un cristiano battezzato! Se la grazia fosse una “determinazione interiore universale”, appartenente a tutti perché ogni uomo, solo perché uomo, avrebbe costituzionalmente questa ricettività al soprannaturale, per cui grazia e salvezza sarebbero dovuti a tutti, è chiaro che anche chi non ne è consapevole sarebbe ugualmente cristiano, un “cristiano anonimo”. La grazia sarebbe data, indistintamente, ad ogni uomo, solo perché uomo: Gesù sarebbe solo una “manifestazione storica” di una grazia più estesa (sic!).

La mediazione di Gesù è relativizzata ad un “fatto storico” o meglio ad un concatenamento di fatti storici. Pare che Rahner etichettasse la divinità di Gesù come “mitologismo” che, se ribadito, avrebbe fatto perdere al cristianesimo credibilità (sic!). Gesù e la Rivelazione sarebbero dunque solo l’occasione per “risvegliare nell’uomo la consapevolezza latente di tendere alla salvezza divina”, con evidente e palese risvolto gnostico.

In pratica, in Rahner, sembra proprio che è la natura umana a garantire la salvezza, in una sorta di auto-redenzione gnostica.

Che differenza con S. Agostino che afferma, da una ben superiore cattedra: “Che cos’è l’uomo, ogni uomo, se è solo uomo?” (Confessioni, Libro IV, Cap. 1, p. 120). Nella sacramentaria rahneriana sembra non esserci spazio per il conferimento della grazia tramite i sacramenti. Questi diventano piuttosto momenti celebrativi della comunità (come nel più classico protestantesimo) o delle tappe dell’individuo nella comunità, con cui questa celebra se stessa. Per Rahner la liturgia doveva esprimere il nuovo rapporto col mondo e quindi adeguarsi e sprofondarsi nel mondo, mentre il Concilio indicandola come “fonte e culmine di tutta la vita cristiana” e ciò “a cui tendono tutte le opere di evangelizzazione”, capovolge la prospettiva: è il mondo che deve adeguarsi alla liturgia. I cristiani devono cristianizzare il mondo, non farsi paganizzare da esso.

Bisogna cristificare il mondo, non secolarizzare il Vangelo e la fede cattolica! Si afferma infatti, giustamente, che chi partecipa alla Messa deve prolungare la S.Messa nella sua vita, cioè deve cristificarsi e cristificare il mondo.

Questa è la sana prospettiva. Inoltre per Rahner la liturgia sarebbe “culmen” ma non “fons” (cfr. Meitattini Giulio, Liturgia e visita spirituale in K. Rahner. Liturgia come “culmen”, non come “fons”, in Rivista di Scienze Religiose 16 (2002) 1, 19-44).

IL SOGGETTO AL PRIMO POSTO

Rahner trasforma l’unione ipostatica in un avvenimento che è avvenuto “nella” e “per” la coscienza umana: “L’immediata ed effettiva visione di Dio null’altro è fuorché l’originaria consapevolezza, non oggettiva, di essere il Figlio di Dio; tale consapevolezza si dà per il solo fatto che essa è l’unione ipostatica” (cfr. K. Rahner, Considerazioni dogmatiche sulla scienza e autocoscienza di Cristo, in Saggi di Cristologia e di Mariologia, ed. cit., p. 224). Non c’è dubbio che qui Rahner altera radicalmente il pensiero e la fede della Chiesa a proposito del mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio in Gesù Cristo: “L’incarnazione può apparire ciò che uomo in generale significa” (K. Rahner, Lexikon fur Theologie und Kirche, V, 956; trad. ital. di Franca Janowski in “Incarnazione di Dio” di Han Kung, Queriniana, Brescia, 1972, p. 644).

Questo modo di vedere e presentare il cristianesimo ha prodotto grandi conseguenze e ripercussioni nella formazione del clima teologico attuale, da sconvolgere la vita e la fede della Chiesa. Oggi si sente gente che crede che l’Incarnazione del Verbo si sarebbe realizzata a poco a poco (sic!) nella vita di Cristo.

Queste speculazioni, infatti, alterano l’oggettività dell’insegnamento rivelato. Oggettività che viene addirittura perseguitata come mitologia: “Una soddisfacente definizione della grazia, se non vuole fatalmente cadere nel vuoto verbalismo, nella mitologia, nell’affermazione gratuita, potrà solamente partire dal soggetto, dalla sua trascendentalità e dalla sua esperienza di un orientamento necessario verso la verità della verità assoluta e dell’amore che ha acquistato validità assoluta” (K. Rahner, Teologia ed antropologia, in “Nuovi Saggi III”, ed. Paoline, Roma, 1969, p. 58).

RELIGIONE DELL’UOMO CHE SI FA DIO

Ancora una volta Rahner conclude che la grazia è il compimento della nostra essenza, rifiutando così – di fatto – la vera gratuità dell’ordine soprannaturale. In questo modo, come conseguenza, basta fare riferimento al compimento dell’essenza umana per accettare il Figlio dell’uomo (sic!).

(N.d.R. = Insomma la “religione dell’uomo che si fa dio” si sostituisce alla “religione del Dio che si fa uomo”, come ebbe a dire Papa Paolo VI. Il Papa Benedetto XVI ha affermato: “Perdendo la propria identità e dichiarando se stesso “dio”, l’uomo si ritrova più solo e rischia il castigo divino. /…/ Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni, ora vanno smarrendo la propria identità, sotto l’influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna” – cfr. Il Giornale, 6/10/2008, p. 18 = N.d.R.).

“Chi perciò (pure ancora lontano da ogni rivelazione esplicitamente formulata in forma verbale) accetta la sua esistenza (???), quindi la sua umanità (???) /…/ costui, pur non sapendolo, dice di sì a Cristo. Chi accetta completamente il suo essere-uomo /…/ ha accettato il Figlio dell’uomo, poiché in esso Dio ha accettato l’uomo” (K. Rahner, Teologia dell’incarnazione, in “Saggi di Cristologia e Mariologia”, pp. 119-120). /…/ È chiaro che se tutto consiste nell’accettare solo la propria umanità, per accettare il Figlio dell’uomo (e così addirittura pur non sapendolo, accetterebbe Cristo) da questo deriva l’inutilità del vero atto di fede (cfr. C.C.C., nn. 153-155; nn. 176-181) che addirittura diventerebbe un non senso. Con questo errato impianto tutti i fondamenti della vera fede sono messi in questione e si sfaldano.” (Card. G. Siri, Getsemani, ed. cit., pp. 79-82).

Sappiamo che falsi principi teologici possono condurre al capovolgimento dei principi essenziali della Rivelazione. Questi stessi falsi principi hanno un effetto a cascata: se cade un punto-chiave dottrinale, cadono anche altri. Ad esempio, universalizzare la grazia, come fa Rahner, considerandola trascendentale, vuol dire, di fatto, vanificare la Redenzione, l’unica Redenzione e questo, a sua volta, significa anche naturalizzare i sacramenti, minimizzare l’Immacolata Concezione, la realtà dell’Inferno, negare la necessità della Chiesa, rendere la natura umana in sé autosufficiente, ecc. Tutte conseguenze a cui Rahner, infatti, perviene. Di fatto, si distrugge o si stravolge ciò che è specificamente cattolico, per entrare inuna nuova, falsa religione mondiale, un nuovo gnosticismo, “senza dogmi, senza gerarchie, senza insegnamenti irreformabili, senza Verità e senza freni per le passioni” (S. Pio X).

ECCLESIOLOGIA

Rahner chiamava la Chiesa Cattolica “Chiesa ufficiale”, “Chiesa istituzione”, per distinguerla da un’ipotetica “chiesa ufficiosa”, da quella “cosa strana” che stavano creando i teologi modernisti e/o sessantottini, insomma una “chiesa parallela” dentro la “Chiesa Ufficiale”, creando una frattura che la Lumen gentium non autorizza per nulla (cfr. n. 8 ).

Per Rahner, Cristo si è limitato a fondare la Chiesa e ad assisterla in qualche modo, ma la sua guida effettiva sarebbe compito dello Spirito Santo, i cui legittimi interpreti sarebbero tutti i fedeli operanti collegialmente insieme ai Pastori, ridotti a semplici portavoce o presidenti della Comunità: la nuova “dittatura” della comunità (traslato ecclesiale del collettivismo politico) fa in modo che la “vox populi” non rivela solo la “vox Dei”, ma addirittura la stabilisce e la interpreta.

Il fenomeno del “carismatismo profetico”, mal inteso e mal vissuto, era indicato come un errore da evitare già al tempo di Pio XII. Uno studio a parte meriterebbe poi, il grave errore del pentecostalismo, a cui i falsi principi evidenziati aprono la strada, in modi diversi e sotto spoglie diverse.

IMMACOLATA CONCEZIONE

Tra le conseguenze di questi principi errati si trova il modo in cui Rahner ha considerato l’Immacolata Concezione negli anni ’50 e poi più tardi. /…/ Come al solito, da una parte riconosce che la SS. Vergine fu preservata dal peccato originale, dall’altra parte afferma: “Il dogma dell’Immacolata Concezione non significa in nessun modo che la nascita di un essere umano sia accompagnata da qualche cosa di contaminante, da una macchia e che per evitarla, abbia perciò dovuto avere un privilegio. L’Immacolata Concezione della Santa Vergine consiste, dunque, semplicemente nel possesso, dall’inizio della sua esistenza, della vita di grazia divina, che le è stata donata. Fin dall’inizio della sua esistenza, Maria fu avvolta dall’amore redentivo e santificante di Dio. Questo è il contenuto della verità di fede cattolica solennemente definita da Pio IX nel 1854” (K. Rahner, Maria, Meditazioni, p. 50).

Purtroppo per lui, il testo del dogma dice che la SS. Vergine fu preservata da ogni macchia del peccato originale (Dz 1641). Il Concilio Vaticano II afferma che la Madonna fu “immune da ogni macchia di peccato, /…/ preservata da ogni macchia di colpa originale” (Lumen gentium, Cap. 8, nn. 56 e 59). Se, come pensa Rahner, l’uomo non nasce col peccato originale, di quale macchia parla la Bolla di Pio IX? A quale singolare privilegio si riferisce il Papa? (Card. G. Siri, Getsemani, ed. cit., pp. 83-85).

In Rahner alla “cristologia dal basso” fa da corrispondente una “mariologia dal basso” che svuota la Madonna di tutte le sue prerogative, riducendola solo ad una mera “figura paradigmatica del cristiano” (come nel migliore stile protestante), la donna del popolo che più di ognuno ha realizzato in sé l’esperienza salvifica, ovviamente costituita non sopra, ma tra gli uomini, nonostante. La Lumen gentium invece, afferma che: “La Vergine Maria /…/ per il dono di grazia esimia, precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri. /…/ Solo Maria SS. ha cooperato con la carità alla nascita dei fedeli della chiesa /…/ per questo è anche riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa e sua figura ed eccellentissimo modello nella fede e nella carità” (n° 53). “Solo la Vergine Maria ha cooperato sotto la croce, in modo del tutto speciale, all’opera dell’unico Salvatore Gesù e per questo solo Lei è invocata nella Chiesa come Avvocata, Ausiliatrice, Soccorritrice, Mediatrice.” (L.G. nn° 56-62).

CONSTATAZIONE FINALE

Rivelazione alla mano, alla luce del Magistero, si vede come questi ed altri principi errati (non solo quelli di Rahner) introdotti in teologia, conducono a false dottrine come alla dottrina del “cristiano anonimo”, alla dottrina della “morte di Dio”, della “secolarizzazione”, della “demitizzazione, della “liberazione” e tante altre correnti fatte di contenuti e di vocabolari effimeri” (Card. Giuseppe Siri, Getsemani, Fraternità della Santissima Vergine Maria, Roma, 1987, 2^ Edizione, pp. 67-86).

RAHNER E IL CONCILIO

Tutta da esplorare è la questione del rapporto tra Rahner e il Concilio e della sua effettiva influenza sui documenti conciliari.

Un campione del progressismo estremo, il Card. Lehmann, afferma con certezza: “Il Concilio convocato da Papa Giovanni XXIII stava ormai per iniziare i suoi lavori. L’acutezza di K. Rahner (sic!) e la sua voce inconfondibile erano temute negli ambienti ultraconservatori /…/ La storia dell’influsso esercitato da Karl Rahner sul Concilio Vaticano II è ancora tutta da scrivere. La sua importanza non deriva soltanto dal tipo di collaborazione ch’egli diede al corso dei dibattiti conciliari, ma assai più dalla larghissima diffusione del suo pensiero teologico che già prima del Concilio contribuì a preparare lo spirito di quest’assise della Chiesa. In virtù di questa “autorevolezza” gli riuscì più volte, con Y. Congar, E. Schillebeecks, J. Ratzinger, H. Kung ed altri, di far saltare alcuni schemi accuratamente prefabbricati e a presentare prospettive teologiche più “libere”. I Cardinali F. Koning e J. Dopfner lo annoverano tra i loro consiglieri. Le numerose relazioni che tenne davanti alle varie conferenze episcopali sulla tematica conciliare, lo accreditarono quale consulente discreto presso moltissimi padri” (K. Lehmann, Karl Rahner, in R. Vander Gucht – H. Vorgrimler, Bilancio della nuova teologia del XX secolo, IV, Ritratti di teologi, Città Nuova, Roma, 1972, pp. 151-152).